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n. 1/2005 - © copyright

FEDERICO GUALANDI*

L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria tra “condono ambientale” (legge n. 308/2004) e la disciplina del nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 146, comma 10, lettera c) del d.lgs. n. 421/2004).

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1. La precedente ammissibilità dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

Tra i profili innovativi di sicuro interesse contenuti nel nuovo ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ – approvato con D.Lgs. n. 42/2004 ed entrato in vigore il 1° maggio 2004 [1] – v’è senz’altro il disposto di cui all’art.146, comma 10, lettera c), in forza del quale «l’autorizzazione paesaggistica […] non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».

Come noto, in effetti, l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria è stato il risultato di un articolato percorso pretorio, che si è affermato in ragione di argomentazioni che anche ora difficilmente possono essere disattese.

Per consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, per vero, l’autorizzazione di cui all’art. 151 D.Lgs. n. 490/99 (ex art. 7 L. n. 1497/39) poteva essere rilasciata in sanatoria – pur in assenza di espressa previsione in tal senso – qualora sussistesse il presupposto della compatibilità dell’intervento abusivo con il paesaggio, ossia il presupposto della “mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione alla stato di luoghi antecedente all’edificazione” [2]. In tal caso, infatti, non si ravvisava alcun motivo – né logico, né di diritto – per imporre la demolizione a spese del trasgressore delle opere abusivamente eseguite.

Più in particolare, i giudici amministrativi non ritenevano ostativa la positiva previsione di previetà dell’autorizzazione paesaggistica sulla base di un’interpretazione sistematica tesa a valorizzare – da un lato – l’istituto del c.d. “accertamento in conformità” di cui all’art. 13 L. n. 47/85 (ora trasfuso nell’art. 36 del recente T.U. sull’edilizia) [3] e – dall’altro – la possibilità del privato, derivante dal c.d. istituto del “silenzio-assenso” ex art. 8 D.L. n. 9/1982, di edificare anche in assenza di un provvedimento previo ed espresso dell’Amministrazione [4].

In buona sostanza, secondo i giudici dei TT.AA.RR. territoriali e quelli di Palazzo Spada, era senz’altro ammissibile la sanabilità di un intervento già eseguito in assenza del relativo titolo edificatorio a fronte di una verifica tesa a valutarne la compatibilità paesistica, ossia la mancanza di danno al paesaggio.

Il tutto, si badi, mantenendo comunque ferma l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 164 D. Lgs. n. 490/99, comminata in ragione della violazione formale consistente nella realizzazione dell’intervento in assenza di preventiva autorizzazione.

In questo modo, pertanto, si avvalorava la natura prettamente formale sottostante alle fattispecie sanabili, ancorando l’esperibilità di tale rimedio al dato – viceversa squisitamente sostanziale – dell’assenza di danno ambientale (rectius, della compatibilità al paesaggio) [5]; esclusivamente in quest’ultima evenienza - lo si ribadisce - era possibile evitare la demolizione delle opere non previamente assentite.

Tale opzione ermeneutica, nondimeno, ha incontrato il forte dissenso di una parte della dottrina, che – in virtù anche del noto brocardo ubi lex voluit, dixit – ha sostenuto l’inammissibilità dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria.

A tale proposito, è opportuno analizzare – pur succintamente – le argomentazioni di detta impostazione, non foss’altro perché è ragionevole ritenere che alcune di esse coincidano con la ratio del divieto contenuto nel nuovo ‘Codice’.

In primo luogo e da un punto di vista rigorosamente giuridico, si è contestata la configurabilità dell’autorizzazione in sanatoria sulla base della violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, non rientrando l’autorizzazione de qua nel novero degli atti previsti espressamente dalla legge [6].

A ben vedere, tuttavia, l’obiezione non poteva essere più di tanto persuasiva, giacché – come puntualmente osservato dallo stesso Consiglio di Stato – «il principio di tipicità degli atti amministrativi non può essere interpretato con un rigore tale da escludere in radice la possibilità di modificare il momento nel quale effettuare le medesime valutazioni alla base dell'esercizio del potere amministrativo conferito dalla legge» [7], così da essere inteso nel senso della necessaria nominatività degli atti autoritativi. Se ciò è vero – come è vero – è pertanto pacifico come il principio in discorso non potesse essere considerato come ostativo ad un mero differimento nel tempo del momento in cui si procede a quel contemperamento degli interessi tipico dell’esercizio del potere amministrativo, rimanendo ferma l'identità sostanziale del potere esercitato (così come peraltro avviene nei c.d. provvedimenti “in autotutela” della P.A.).

Del resto – ed il punto è assolutamente stringente – così non potrebbe non essere, anche con riferimento al principio di economia dei mezzi giuridici, principio anch’esso richiamato dal Supremo Giudice amministrativo: al proposito, in effetti, assumerebbe connotati paradossali una interpretazione che imponesse la demolizione di un’opera effettivamente conforme alle prescrizioni urbanistiche e paesaggistiche, e cioè di un’ opera che potrebbe essere comunque realizzata in seguito ad un successivo conseguimento dei titoli formali originariamente pretermessi [8].

Secondariamente, ma il rilievo è più afferente a profili di opportunità che a profili di stretto diritto, la dottrina ha eccepito l’inesattezza dell’assioma secondo cui la mancata demolizione ex post, ancorché accompagnata dalla sanzione pecuniaria, equivale all’autorizzabilità ex ante dell’intervento [9].

Tale percorso argomentativo, segnatamente, ha posto l’accento sulla circostanza per la quale il differimento nel tempo del momento in cui si procede alla decisione amministrativa non sarebbe affatto privo di conseguenze: solo un controllo preventivo del progetto d’intervento, infatti, consentirebbe l’approntamento di prescrizioni modali tali da calibrare effettivamente il futuro intervento con l’interesse pubblico concreto proprio di una data fattispecie. Il tutto, peraltro, all’interno di un procedimento amministrativo quale quello avente ad oggetto una verifica di compatibilità ambientale, procedimento che è caratterizzato da discrezionalità amministrativa e non da un’operazione vincolata di mero riscontro di conformità [10].

In questo senso, ancora, si è lamentata una forte sottovalutazione della specificità della materia della tutela dei beni paesaggistici, che – a differenza di quella urbanistico-edilizia – è assistita da una esplicita e speciale copertura costituzionale e, pertanto, meritevole di “prioritaria protezione”.

Anche tale argomentazione, nondimeno, non riesce a persuadere, per almeno un duplice ordine di motivi.

In primis, perché tali argomentazioni non sembrano tanto incisive da inficiare la garanzia derivante dalla necessaria interdipendenza tra l’eventuale danno ambientale e la sanzione demolitoria. Al proposito, in effetti, non v’è chi non veda come un eventuale vulnus a danno della tutela paesaggistica sia configurabile se ed in quanto si renda meno stringente il controllo di compatibilità ambientale a cui l’autorizzazione paesaggistica è preordinata. Come già più volte evidenziato, tuttavia, il nulla osta paesistico a posteriori non incide affatto su tale vaglio, che – al contrario – viene tanto valorizzato da essere eletto quale discrimine per l’ammissibilità della sanatoria stessa.

Ancora, a parere di chi scrive, è di intuitiva evidenza che un controllo di compatibilità mirato proprio a verificare la mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione allo stato dei luoghi antecedente all’edificazione non è affatto ostacolato dalla realizzazione dell’opera, giacché – nella peggiore delle ipotesi – l’effetto pregiudizievole è concretamente percepibile icto oculi.

In secondo luogo, non convince neppure l’eccezione volta a sostenere la rilevanza del momento temporale in cui viene compiuta la valutazione di compatibilità dell’intervento, potendo essa risultare preclusiva di «misure prescrittive o modali – poste a condizione dell’atto di assenso – capaci di compatibilizzare l’intervento con il vincolo o, comunque, di mitigare significativamente l’impatto dell’opera sul bene paesaggistico protetto» [11].

Ammesso e non concesso che effettivamente sia così, in tal caso non sarebbe comunque messa a rischio la tutela ambientale; a ben vedere, per vero, del tutto distinti ed impermeabili sono i piani afferenti – da un lato – al controllo di compatibilità ambientale da eseguirsi sull’opera compiuta e – dall’altro – alla possibilità per l’Amministrazione di ordinare prescrizioni progettuali.

Casomai, nel caso in questione, un “pregiudizio” sarebbe unicamente configurabile in capo al privato, il quale – in caso di controllo postumo – si troverebbe nell’impossibilità materiale di poter fruire di un possibile “suggerimento” della P.A. volto ad indicargli – ex ante – i confini di un intervento paesaggisticamente compatibile (impossibilità, peraltro, di cui il richiedente non potrebbe più di tanto dolersi, stante la violazione procedimentale posta in essere).

In ultima analisi, ancora una volta si ribadisce che se il presupposto per il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria risiede nella natura meramente formale della violazione (ed è unicamente tale – giova ribadirlo – quella violazione che non è in alcun modo foriera di danno ambientale), allora è la natura stessa violazione che – per definizione – vale a scongiurare qualsivoglia profilo di danno all’ambiente.

Di più. L’indirizzo giurisprudenziale formatosi prima dell’entrata in vigore del ‘Codice’ ha pure statuito che «in caso di autorizzazione postuma, l’amministrazione deve essere posta in grado di effettuare tale comparazione [tra la situazione antecedente all’intervento e l’impatto derivante dall’edificazione, N.d.R.] da parte dell’interessato, su cui graverà, ove necessario, l’onere di produrre la documentazione relativa alla condizione dei luoghi antecedentemente all’intervento» [12], di talché non vi potrà essere un giudizio positivo di compatibilità anche nel caso in cui non si possa procedere comparazione de qua, «stante il mancato assolvimento del descritto onere da parte del privato, così come nel caso in cui la realizzazione dell'opera abbia cancellato il bene sottoposto a tutela» [13].

Con ciò considerato, pertanto, sembra che le tesi avverse all’ammissibilità dell’autorizzazione postuma – pur nel lodevole intento di voler evitare sanatorie a danno del paesaggio – abbiano voluto contrastare l’interpretazione giurisprudenziale che la consentiva non tanto per la sua infondatezza in diritto, quanto – piuttosto – per un sorta di sfiducia nella corretta applicazione che ne veniva data da parte degli Amministratori pubblici.

Come visto, infatti, la realizzazione dell’opera senza autorizzazione non poteva incidere – in punto di diritto – sulla latitudine del vaglio di compatibilità ambientale, poiché – in costanza di un accertamento di danno paesaggistico – si sarebbe comunque dovuto procedere alla demolizione. Di talché, più in generale, argomentare adducendo la «sottovalutazione della specificità della materia della tutela dei beni paesaggistici», altro non significa che temere che il controllo di compatibilità ambientale sia in qualche modo depotenziato dalla circostanza dell’avvenuta realizzazione dell’opera, quasi a voler dimostrare una sorta di timore ad ordinare una demolizione piuttosto che l’irrogazione di una pena pecuniaria.

Ma, si ribadisce, tale considerazione non è assistita da alcuna reale consistenza giuridica [14].

2. L’art. 146, comma 10, lett. c) del Codice ed il divieto di autorizzazione postuma: la immediata operatività del divieto e i dubbi di legittimità.

Come si è detto, l’art. 146, comma 10, lett. c) ha risolto positivamente la questione all’esame, disponendo – come visto – il divieto di rilascio di autorizzazione c.d. “in sanatoria”.

Il dato normativo, dunque, parrebbe essere tranciante, soprattutto perché la stessa Adunanza Generale del Consiglio di Stato aveva precisato che «con riferimento all'autorizzazione paesistica, la possibilità di una verifica ex post di compatibilità paesistica dell'intervento non è contraddetta né dalla peculiarità della fattispecie né dal sistema normativo» [15].

Nonostante la perentorietà dell’ affermazione, in realtà, la conclusione non è così scontata.

Al riguardo, infatti, occorre necessariamente considerare anche la Legge delega, in attuazione della quale è stato predisposto il D.Lgs. n. 421/2004.

Segnatamente, in virtù dell’art. 10 della L. n. 137/2002, si pone al Legislatore delegato il divieto – nell’aggiornare gli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali ed ambientali – di «determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata, né l’abrogazione degli strumenti attuali»: all’evidenza, dunque, è possibile sostenere con ragionevolezza un eccesso di delega[16] ad opera del c.d. ‘Codice Urbani’, soprattutto laddove si consideri la già citata giurisprudenza amministrativa che ha ammesso costantemente l’istituto dell’autorizzazione postuma [17].

Non vi è dubbio, infatti che non solo si modificano “strumenti attuali” (ancorché basati sul “diritto vivente”), ma si va certamente a introdurre “ulteriori restrizioni alla proprietà privata”, perché essa, ancorché “compatibile” con il contesto paesaggistico ed urbanistico e conforme agli strumenti urbanistici, deve essere necessariamente demolita.

Senza considerare che se il “diritto vivente” consentiva la possibilità di ottenere l’autorizzazione paesistica in sanatoria e, di conseguenza, la possibilità di ottenere – ove ne ricorressero le condizioni – l’accertamento di conformità ex art. 1 3 della L. n. 47/1985, con la conseguente estinzione del reato (sotto il profilo edilizio), non può che destare qualche perplessità una modifica normativa che elimina tale possibilità, rendendo punibili violazioni meramente “formali” (la mancanza del titolo) che - in quanto tali – il Legislatore aveva inteso sottrarre al vaglio del giudice penale., ritenendole sostanzialmente “non offensive” del bene giuridico tutelato.

Ancora, non deve neppure essere sottovalutata il fatto che la norma transitoria che disciplina il “procedimento di autorizzazione in via transitoria” (art. 159 del D.Lgs. in esame) non contiene affatto un analogo divieto.

Pertanto, può fondatamente sostenersi come detto divieto non abbia efficacia immediata, stante la disposizione – contenuta nel successivo art. 159 del medesimo Codice – in virtù della quale è sostanzialmente mantenuta la previgente disciplina. Ciò fintantoché non vengano approvati i piani paesaggistici ex art. 156 ed ex art. 143, con conseguente e necessario adeguamento agli stessi da parte degli strumenti urbanistici [18].

A ben vedere, tale “ultra attività” della disciplina previgente, che senz’altro è importante nella valutazione globale della novella all’esame, vale comunque – ex se – a richiamare gli assunti alla base della precedente ammissibilità del nulla osta paesistico a posteriori.

Come più sopra rilevato, infatti, è previsto che l’art. 146 del nuovo ‘Codice’ entri a regime solo successivamente al recepimento da parte degli strumenti urbanistici dei piani paesaggistici elaborati ed approvati secondo le norme del ‘Codice’ medesimo.

Tale circostanza è senz’altro significativa, almeno per due ordini di ragioni.

In primo luogo, perché – come già evidenziato da parte della dottrina – il differimento dell’entrata in vigore del divieto di autorizzazione postume “rischia di rendere meno appetibile il passaggio dal regime transitorio a quello ordinario”[19].

Secondariamente, perché non deve sfuggire come l’art. 143 del ‘Codice’ esponga dettagliatamente le prescrizioni minime mediante le quali si deve articolare la nuova pianificazione [20]; l’insieme di tali disposizioni, a ben vedere, certo vale dotare i piani in discorso di un apprezzabile margine di dettaglio, circostanza che – all’evidenza – non può essere considerata indifferente per la soluzione della questione all’esame.

Ebbene, al riguardo, si è già evidenziato come uno degli argomenti che nel recente passato si è utilizzato per osteggiare l’ammissibilità dell’autorizzazione postuma sia stato proprio quello facente leva sull’esercizio – nel procedimento de quo – di ampia discrezionalità..

Come visto, segnatamente, si è sostenuta l’inammissibilità dell’equivalenza tra l’accertamento preventivo ed quello successivo proprio sottolineando il fatto che la scelta amministrativa da compiersi non può ridursi a mero riscontro – interamente vincolato – di conformità (così come viceversa avviene nella materia edilizia in virtù dei contenuti di dettaglio propri dei singoli strumenti urbanistici).

Orbene, con i “nuovi” piani paesaggistici ex art. 143, ben potrebbe essere ipotizzabile – anche in materia paesaggistica – un semplice controllo di corrispondenza del progetto con le previsioni della pianificazione ambientale, così da fugare qualsivoglia perplessità in merito alla possibilità di differire il momento in cui provvedere alla valutazione di compatibilità ambientale (rectius, di corrispondenza ai piani).

Può aggiungersi che, nel sistema a regime, muta anche il ruolo della Soprintendenza, che passa dall’ esercizio di funzioni di controllo (quelle che attualmente esercita) a funzioni di tipo consultivo, con l’espressione di un parere obbligatorio, ma non vincolante.

In questo senso, appare abbastanza logico che nel sistema “a regime” (ma solo in quello) si escluda – sulla base di principi generali del tutto pacifici – che la funzione consultiva possa essere esercitata ex post, costituendo un evidente non senso l’acquisizione “a sanatoria” di una parere, senza che la Soprintendenza abbia la possibilità di “lumeggiare” previamente la decisione che l’ Autorità preposta alla gestione del vincolo deve assumere.

In conclusione e per quanto sopra esposto, rimane l’impressione che la novella avente ad oggetto il procedimento di autorizzazione paesaggistica sia dovuta più a ragioni riconducibili ad una sorta di sfiducia circa le effettive possibilità di tutela dell’ambiente da parte delle competenti Amministrazioni che a ragioni di tipo prettamente logico – giuridiche [21]. Così come le tesi avverse al “vecchio” istituto giurisprudenziale dell’autorizzazione postuma, infatti, anche il “nuovo” divieto non pare assistito da ragioni prettamente giuridiche, connotandosi – viceversa – per una malcelata intenzione di controllo “preventivo” dell’operato dell’Amministrazione.

Nondimeno, a parere di chi scrive, non è ammissibile, né utile, confondere il piano “generale” della tutela ambientale con quello – affatto distinto, per sua stessa definizione – della sanabilità, previa irrogazione di sanzione pecuniaria, di violazioni meramente formali [22].

In questo senso, pertanto, il nuovo ‘Codice’ “tradisce” le sue stesse promesse di razionalizzazione della materia e – con specifico riguardo all’autorizzazione paesaggistica – introduce nel sistema normativo elementi di una qualche irrazionalità ed incoerenza (oltre che di “novità”, in probabile violazione della Legge delega).

3. L’interpretazione del Ministero ed il recente condono “ambientale”.

Poiché sussisteva più di una perplessità sulla immediata operatività del divieto posto dall’ art. 146 del Codice, l’ Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con nota del 22 giugno 2004, prot. n. 11758, ha precisato che il divieto deve ritenersi immediatamente operativo, con necessità di revoca delle autorizzazioni ex post rilasciate dopo la data del 1° maggio 2004 (data di entrata in vigore del Codice).

Secondo l’ Ufficio legislativo, infatti, si tratta di “norma sostanziale di delimitazione del potere autorizzatorio” su cui non incide la disciplina transitoria che contiene solo previsioni di tipo strettamente procedurale.

In altri termini, la norma che vieta il rilascio successivo dell’autorizzazione, riguarderebbe la stessa delimitazione e configurazione del potere autorizzatorio, che ha natura sostanzialmente tecnico – discrezionale e che si differenzierebbe, radicalmente, dalla sanatoria “edilizia” che si risolve, invece, in una mera verifica di conformità.

Anzi, secondo l’ Ufficio Legislativo, tale divieto troverebbe una ragione ulteriore nella vigenza della fase transitoria, posto che ancora non esiste una pianificazione paesistica che funga da vincolo della decisione amministrativa dell’ Autorità preposta alla gestione del vincolo.

Presumibilmente per superare il “rigore” della interpretazione testè delineata, che si salda con l’altrettanto rigore dimostrato dalla giurisprudenza [23] e da alcune Regioni [24] nel escludere il condono edilizio per abusi realizzati in aree vincolate, che è stato recentemente introdotta una duplice possibilità di “sanatoria” (una temporanea e l’altra “a regime”), nella recente Legge-delega per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale (L. n. 308 del 15 dicembre 2004).

Come è già stato sottolineato in alcuni primi commenti [25], la previsione è però alquanto oscura, in quanto il Legislatore – almeno apparentemente – si occupa del solo aspetto penale, e dell’ estinzione del reato di cui all’ art. 181 del Codice, estinzione che consegue alla accertata “compatibilità” degli interventi con il contesto paesaggistico.

Vi è però più di una ragione che induce a ritenere che all’estinzione del reato non possa che conseguire anche la sanatoria (sotto il profilo amministrativo) della mancanza del previo ottenimento della autorizzazione paesistica.

La sanatoria “temporanea” (cioè quella che è possibile conseguire presentando apposita domanda entro il 31 gennaio 2005, per lavori eseguiti entro il 30 settembre 2004), si consegue – una volta che l’Autorità preposta alla gestione del vincolo abbia accertato, previo parere della Soprintendenza [26], la compatibilità degli stessi con il contesto paesaggistico - pagando la sanzione pecuniaria di cui all’ art. 167 del Codice, maggiorata da un terzo alla metà (oltre ad una sanzione pecuniaria aggiuntiva da 3.000 a 50.000 Euro).

A prescindere dai dubbi che possono sorgere circa la corretta determinazione di dette sanzioni, per la determinazione delle quali non sarebbe stato inutile che il Legislatore avesse fornito qualche indicazione ulteriore[27], pare, a chi scrive, che siano perfettamente calzanti le considerazioni contenute in una recente pronuncia del Consiglio di Stato, laddove si sottolinea come una volta che si opti per una sanzione pecuniaria (come in effetti fa la norma testè richiamata), peraltro maggiorata, la verifica di compatibilità ambientale implicita nel meccanismo sanzionatorio “conferisce alla legittimazione paesaggistica una veste formale spendibile ai fini della favorevole definizione del separato procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985. Una diversa interpretazione condurrebbe, oltre tutto, anche all’irragionevole conseguenza della demolizione di un edifico conforme alla normativa urbanistica ed al contesto paesaggistico e, quindi, realizzabile nuovamente e nella stessa forma dopo la demolizione, previo conseguimento dell’ autorizzazione e del titolo concessorio” (Cons. di Stato, sez. VI, 10 marzo 2004, n. 1205).

Si tratta di considerazioni perfettamente calzanti anche per il recente “condono ambientale”, in cui non pare proprio che il richiedente - dopo aver corrisposto la sanzione di cui all’ art. 167 (peraltro in misura maggiorata) – possa veder limitati gli effetti di detta sanatoria ai soli fini penali, e si trovi nell’impossibilità di “spendere” la accertata compatibilità anche ai fini del perfezionamento della sanatoria edilizia, ove ne sussistano i presupposti.

In particolare - a tale riguardo - la sanatoria (sotto il profilo edilizio) sarà integrale se sussiste la cd. “doppia conformità”, ma potrà essere anche parziale (e cioè non estinguere la contravvenzione di cui all’ art. 44 del DPR n. 380/2001), qualora sussista solo una conformità agli strumenti vigenti e ci si debba perciò limitare a richiedere quella che viene comunemente identificata come “sanatoria giurisprudenziale”.

Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento al recente condono edilizio (chiusosi in data 10 dicembre, salvo “riaperture” imposte dalla Corte Costituzionale per effetto dell’ accoglimento dei ricorsi proposti dal Governo nei confronti di molte Leggi regionali), con la conseguenza che potrebbero trovare positivo riscontro molte istanze che, viceversa, incontravano prima quei limiti insuperabili di cui si è detto.

Potrebbe però argomentarsi, a contrario, che il condono è istituto eccezionale e di stretta interpretazione e che pertanto i limiti alla condonabilità (di tipo oggettivo e per categorie) introdotti dal Legislatore (nazionale e regionale) non risultano derogabili, cosicché anche il previo ottenimento dell’ autorizzazione paesaggistica “in santoria” non varrebbe a rendere condonabile (sotto il profilo edilizio), categorie di abusi (quelli realizzati in zone vincolate o su immobili vincolati) che il Legislatore ha inteso sottrarre all’ ambito di operatività del condono stesso.


 

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(*) Avvocato in Bologna e Modena - Dottore di ricerca in diritto pubblico.

[1] Per un’esauriente analisi e commento del nuovo ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’, cfr. A. MANSI, La tutela dei beni culturali e del paesaggio – Analisi e commento del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 “ Codice dei beni culturali e del paesaggio” e delle altre norme di tutela con ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza; nonché sulla circolazione delle opere d’arte nel diritto interno, in quello comunitario ed in quello internazionale e sul commercio dei beni culturali, CEDAM, 2004; nonché Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di CAMELLI M., il Mulino, 2004.

[2] Così Cons. Stato, Sez. VI, 21.07.2003, n. 4192, in http://www.giustizia-amministrativa.it; per l’ammissione della legittimità dell’autorizzazione “postuma”, cfr. – ex plurimis – Cons. Stato, Sez. VI, 09.10.2000, n. 5373 e 31.10.2000, n. 5851, in Urbanistica e appalti, 2000, 1311, con nota di R. DAMONTE, Il «punto» del Consiglio di Stato su autorizzazione paesistica in sanatoria e sanzione pecuniaria ex art. 15 l. 1497/39 (Nota a C. Stato, sez. VI, 31 ottobre 2000, n. 5851).

[3] E’ notorio che il c.d. istituto dell’“accertamento in conformità” ammette il rilascio in sanatoria del titolo edilizio quando l’opera sia conforme alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione, sia a quello della presentazione della domanda. Come è noto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ammette pure la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, ovverosia il rilascio in sanatoria del titolo ad aedificandum per le opere conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’Amministrazione provvede sull’istanza per la sanatoria stessa (sul punto, cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21.10.2003, n. 6498, in Foro Amm. CdS, 2003, 2983). Tale sanatoria, come è ovvio, ha effetti solo sul piano amministrativo e non comporta l’estinzione del reato.

[4] Sul punto, cfr. D. CHINELLO, Autorizzazione paesaggistica a sanatoria e regime transitorio del D.Lgs. n. 42/2004, in http://www.giustamm.it/new_2003/1785.pdf , pag. 4;

[5] La giurisprudenza è approdata all’affermazione della possibilità di un’autorizzazione successiva poiché la stessa «oltre a non essere contraddetta dalle caratteristiche precipue all’atto di assenso, è implicitamente ammessa anche dallo stesso Legislatore. Ed infatti, la tesi della non assentibilità a posteriori dell’intervento avrebbe avuto una reale consistenza sul piano positivo laddove la procedura sanzionatoria ex articolo 15 della legge n. 1497 del 1939, prevedendo l’esito vincolato della demolizione anche in ordine a violazioni di carattere formale, non avesse posto l’alternativa tra la demolizione a spese del trasgressore delle opere abusivamente eseguite ed il pagamento di un’indennità equivalente alla maggior somma tra danno arrecato ed il profitto conseguito» (così, da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 15.10.2003, in http://www.reteambiente.it/ ra /normativa/ territorio/4686_ConsStato2653_03_comp.htm)-

[6] Più specificatamente, la tesi del Ministero per i Beni Culturali  ed Ambientali argomentava nel senso che non essendo stata prevista dal Legislatore tale forma di esercizio del potere autorizzatorio, non sarebbe possibile all'Amministrazione fare esercizio di un potere atipico, che si tradurrebbe nell'applicazione analogica della disciplina dell'autorizzazione a sanatoria;

[7] Così, Cons. Stato, Adunanza Generale dell'11.04.2002 n. 2340/2001, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[8] Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 27.03.2003, n. 1590, in Foro Amm. CdS, 2003, 1105;

[9] Sul punto, diffusamente, cfr. P. CARPENTIERI, L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria (alcune considerazioni a margine del disegno di legge A.S. 1753-B di delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, in Urbanistica e Appalti, 4, 2004, p. 385;

[10] Non così, invece, il procedimento di cui all’accertamento di conformità, che – viceversa – risulta caratterizzato da una mera sussunzione tra il progetto da assentire e lo strumento urbanistico vigente (al proposito, cfr. P. CARPENTERI, Op. cit., 390).

[11] Così P. CARPENTIERI, Op. cit., 389, il quale – sul punto – precisa che «una simile esplicazione della funzione discrezionale autorizzatoria è in tutta evidenza preclusa in radice dallo spostamento del momento autorizzatorio a “dopo” che l’intervento sia stato realizzato».

[12] Così Cons. Stato, Sez. VI, 13.01.2004, n. 1695, in http://www.giustizia-amminstrativa.it.

[13] Così Cons. Stato - Adunanza Generale dell'11 aprile 2002 n. 2340/2001, loc. cit.; sul punto, ancora, cfr. P. BRAMBILLA, L’autorizzazione ambientale c.d. in sanatoria. Gli ultimi approdi del giudice amministrativo, in Cons. Stato, 2004, 2, 472 (nota a Cons. .Stato - Adunanza Generale dell'11 aprile 2002 n.4/2002 e a Cons. Stato, Sez. IV, 25.11.2003, n. 7766);

[14] Sul punto, nello stesso senso, cfr. S. CIVITARESE MATTEUCCI, L’autorizzazione paesaggistica postuma e la valutazione del danno arrecato al paesaggio, in Riv. giur. amb., 2001, pag. 103 e D. CHINELLO, Op. cit., pag. 8.

[15] Così Cons. Stato - Adunanza Generale dell'11 aprile 2002 n. 2340/2001, loc. cit.

[16] Per un’analoga ipotesi di eccesso di delega anche con riguardo alla trasformazione del potere di “annullamento”, accordato dal regime precedente, in “parere preventivo”, cfr. L. GRACILI, Brevi notazioni sulle misure di protezione e sul controllo e gestione dei beni soggetti a tutela contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché sulle disposizioni di prima attuazione, in Prime note zoom, aprile 2004, n. 62, pagg. 30 e ss.

[17] In dottrina, sul punto, si è già sottolineato che «il divieto dell’autorizzazione in sanatoria non è condivisibile. […]» (così G. ALTAVILLA, Il codice dei beni culturali e del paesaggio. I beni paesaggistici. Note brevi e spunti critici, in Prime note zoom, aprile 2004, n. 62, pagg. 173 e ss.). L’A. evidenzia che il divieto di cui all’art. 146 «fa ritenere che ai fini della sanatoria edilizia “a regime”, ex art. 13 della legge 28 febbraio 1983, n. 47, nel caso di immobili abusivi realizzati in zona paesaggisticamente vincolata, pur nel caso in cui essi siano conformi allo strumento urbanistico vigente al momento della loro realizzazione e in quello in cui si vorrebbe regolarizzarli, e siano compatibili con la bellezza dei luoghi circostanti, la p.a. non potrà “condonarli” a causa del divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria e quindi per l’insussistenza di uno dei presupposti per il rilascio della concessione in sanatoria. Non sfugge l’impressione di una inutile severità della norma in esame, di scarso valore deterrente e foriera di conseguenze che nulla avranno a che vedere con la maggior tutela dei beni paesaggistici»;

[18] Sulla disciplina previgente e transitoria, cfr. D. CHINELLO, Autorizzazione paesaggistica a sanatoria e regime transitorio del D.Lgs. n. 42/2004, in http://www.giustamm.it/new_2003/1785.pdf. . In particolare, l’A. evidenzia come l’iter di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, nel periodo transitorio, non si differenzi sostanzialmente da quello di cui all’art. 151 D.Lgs. n. 490/99, con la salvezza di alcune modifiche che recepiscono alcuni consolidati orientamenti giurisprudenziali formatisi sulle norme del procedimento de quo. Dal che, prosegue l’A., «l’ulteriore conseguenza che dovranno necessariamente trovare applicazione la prassi e l’interpretazione giurisprudenziale formatesi sotto l’imperio della norma previgente, ivi compresa la possibilità – per il privato – di conseguire il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria»;

[19] Così, V. MILANI, Il paesaggio, in Gior. dir. amm., 2004, pagg. 486 e ss.;

[20] Al proposito, P. CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, nella sezione “Studi e contributi” del sito del Consiglio di Stato, all’indirizzo http: // www.giustizia-amministrativa.it / documentazione / studi_contributi / Carpentieri4.htm, § 8.

[21] Al proposito, in dottrina, si è pure ravvisata una “sfiducia” del Legislatore nei confronti delle Autorità competenti anche nella singolarissima norma di cui all’art. 146, comma 11, del ‘Codice’, la quale dispone che «il ricorso (giurisdizionale, avverso le autorizzazioni) è deciso anche se, dopo la sua proposizione, ovvero in grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. Le sentenze e le ordinanze del tribunale amministrativo regionale possono essere impugnate da chi sia legittimato a ricorrere avverso l’autorizzazione paesaggistica, anche se non abbia proposto il ricorso in primo grado». Sul punto, cfr. G. ALTAVILLA, Op. cit., pagg. 140 e ss., il quale denuncia un certo scetticismo nei confronti delle Amministrazioni che «ha spinto a voler “approfittare” dell’impugnazione del privato per “vederci chiaro” fino in fondo, a prescindere dalle dinamiche processuali»;

[22] Sul punto, peraltro, si consenta un parallelismo con la dottrina in tema di violazioni meramente formali dell’atto amministrativo: tali patologie, come noto, si contraddistinguono per la loro inidoneità a mutare la ponderazione sostanziale degli interessi sottostanti all’atto stesso e – per tale ragione – non ne comportano l’annullamento, ma la mera irregolarità. Ebbene, mutatis mutandis ed alla luce di tali considerazioni, il divieto di cui all’art. 146 pare dunque pure irrimediabilmente in aperta distonia con le più generali linee di evoluzione dell’Ordinamento Amministrativo.

[23] Cfr. Cass., sez. III penale, 21.12.2004, n. 48956, secondo la quale “l’ art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 ammette la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alla tipologia di illecito di cui ai nn. 4,5 e 6 dell’ Allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) previo parere favorevole da parte dell’ Autorità preposta alla tutela del vincolo”.

[24] Si veda, ad esempio, la L.R.. Emilia – Romagna n. 23/2004.

[25] Cfr. BARBIROTTI G., Prime riflessioni sul cd. “condono ambientale” contenuto nel ddl . n. 1798/04 con uno sguardo alla sanatoria edilizia in aree vincolate  prevista dal dl. N. 269/03  e sua conversione in L. n. 326/2003, in www.Lexitalia.it  n, 12/2004.

[26] Parere che sembrerebbe non vincolante, stante l’assenza della precisazione contenuta nel precedente comma 36, laddove – per la sanatoria “a regime” – si precisa che il parere della soprintendenza è, viceversa, “vincolante”.

[27] Per la sanzione di cui all’ art. 167 del Codice, una recente pronuncia del Consiglio di Stato, ritiene che, ai sensi del D.M. 26 settembre 1997, “i parametri e le modalità per la qualificazione (mediante perizia) dell’indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo, sono sganciate dal valore di mercato del bene, assumendo quale canone di valutazione il 3% del valore d’estimo della unità immobiliare (o il diverso incremento della predetta aliquota eventualmente determinata dalla Regione”. (Cons. di Stato, sez. IV, 15.11.2004 n. 7405).

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G. BARBIROTTI, Prime riflessioni sul cd. "condono ambientale" contenuto nella L. n. 308/2004, con uno sguardo alla sanatoria edilizia in aree vincolate prevista dal dl n. 269/03 e sua conv. in L. n. 326/03.

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