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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

STEFANO GLINIANSKI*

Il recesso dal rapporto di lavoro e la revoca degli incarichi dirigenziali ai sensi del nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti delle regioni e delle autonomie locali parte normativa quadriennio 2002 – 2005 e parte economica biennio 2002 – 2003

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SOMMARIO: 1. Premessa; 2. L’ambito di applicazione degli istituti della revoca e del recesso con riferimento alla struttura contrattuale complessa che caratterizza in generale il rapporto di lavoro della dirigenza; 3. La revoca quale istituto incidente sul mantenimento del contratto accessivo al contratto principale di impiego. 4. Il recesso quale istituto influente negativamente sul mantenimento del rapporto di lavoro principale; 5. Il rapporto tra la disciplina contrattuale e la regolazione normativa. L’art. 109, comma 1 del D.Lvo 267/2000.

 

1. Il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti delle Regioni e delle Autonomie locali parte normativa quadriennio 2002 – 2005 e parte economica biennio 2002 – 2003 – a distanza di pochi mesi dalla sua vigenza necessita di alcune riflessioni relativamente ai complessi e delicati istituti della revoca dell’incarico dirigenziale e del recesso dal rapporto di lavoro.

Compito del presente intervento sarà quello – cogliendo l’occasione della nuova formulazione degli istituti citati da parte della contrattazione collettiva nazionale – di individuare sistematicamente l’ambito di applicazione degli stessi con riferimento al dualismo contrattuale che caratterizza in generale il rapporto di lavoro della dirigenza; di poi analizzare le novità introdotte dal nuovo contratto collettivo. Infine evidenziare eventuali distonie che emergono tra quanto disciplinato dalla legge nazionale e le innovazioni introdotte dalla recente fonte contrattuale collettiva.

2. Analizzando il primo dei citati punti, per comprendere il reale ambito di applicazione dell’istituto della revoca così come dell’istituto del recesso è opportuno ricordare come il rapporto di lavoro del dirigente operi su due livelli contrattuali e normativi diversi.

Il primo livello contrattuale - che definiremo incentrato sul c.d. “contratto base” - è la fattispecie negoziale che determina l’inserimento del dirigente nella struttura a seguito della procedura di reclutamento.

E’ noto, infatti che, in considerazione della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, la procedura amministrativa di reclutamento costituisce il presupposto per la stipulazione del contratto individuale di lavoro che è l’unica fonte legittimante la corretta costituzione del rapporto lavorativo.

Più precisamente, la fonte negoziale, nella forma bilaterale del contratto, rappresenta sia la formalizzazione di un vincolo generante una relazione lavorativa, normalmente a tempo indeterminato, tra il dirigente e la struttura pubblica presso la quale lo stesso dovrà espletare la sua prestazione professionale, sia l’atto dal quale discendono diritti e doveri per entrambe le parti del neonato rapporto sinallagmatico.

Successivamente a tale inclusione nella struttura segue il conferimento dell’incarico dirigenziale da parte dell’organo a ciò preposto – Sindaco o Presidente della Provincia- dal quale si sviluppa un secondo livello contrattuale nella forma di un contratto accessivo al contratto principale con il compito di specificare le concrete funzioni di settore richieste al dirigente.

Per inciso, di rilevante importanza è la novità introdotta dal CCNL del 22 febbraio 2006 che sancisce il c.d. diritto all’incarico da parte di ciascun dirigente.

Infatti, ferma restando la facoltà per ciascun ente di attribuire ai dirigenti nel corso del tempo, naturalmente nel rispetto della disciplina contrattuale e regolamentare interna, incarichi nuovi senza il vincolo della equivalenza delle mansioni discendenti dal nuovo incarico con le mansioni in precedenza conferite [1], rappresenta un evidente segnale di civiltà giuridica avere consacrato in una norma contrattuale il diritto per il dirigente all’ esercizio delle funzioni dirigenziali - ancorché, per un principio di rotazione degli incarichi, eventualmente diverse da quelle tradizionalmente svolte - con l’unica eccezione, ma si verte nella patologia che può inficiare una relazione lavorativa, dell’ipotesi della sospensione dall’incarico per un periodo massimo di due anni .

Tornando, dunque, al secondo livello contrattuale che, come detto, è un diritto conseguirlo per il dirigente, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 50, comma 10 e 109 comma 1 del D.lvo 267/2000 – Testo Unico delle Leggi sull’ordinamento degli enti locali – il Sindaco o il Presidente della Provincia – attribuiscono ai dirigenti presenti nella struttura gli incarichi dirigenziali che, per contratto, non potranno essere di durata inferiore a due anni, fatte salve le specificità da indicare nello stesso atto e gli effetti derivanti da valutazioni dei risultati.

3. Ricostruita, dunque, la struttura contrattuale complessa attraverso la quale si articola su due livelli il rapporto lavorativo del dirigente, risulta più comprensibile la differenza tra l’istituto della revoca e l’istituto del recesso.

La revoca, infatti, opera sul rapporto funzionale, il recesso sul rapporto genetico.

Più precisamente, con l’atto di revoca anticipata dell’incarico – da non confondere con la revoca quale provvedimento amministrativo di secondo grado emanato per sopravvenute ragioni di opportunità - si è in presenza di un atto negoziale interruttivo di un rapporto contrattuale accessivo al rapporto ( principale e presupposto) contrattuale di impiego che nasce, come detto, con la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro a seguito di una procedura di reclutamento.

Orbene, tale revoca anticipata dell’incarico, stando al dettato contrattuale (artt. 22 del CCNL come da ultimo modificato), potrà avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive o per effetto dell’applicazione del procedimento di valutazione della prestazione dirigenziale.

Accanto, dunque, alla revoca anticipata per motivate ragioni organizzative e produttive che un ente intende operare, si badi, in corso di esecuzione del contratto accessorio tra amministrazione e dirigente che segue all’atto di conferimento sindacale e non nella diversa ipotesi di scadenza degli incarichi ove si verifica il c.d. azzeramento degli stessi con possibilità di rivisitazione generale dell’organizzazione interna della struttura, vi è la c.d. revoca anticipata dell’incarico rispetto alla sua naturale scadenza per effetto del procedimento di valutazione.

Il procedimento di valutazione – i cui criteri generali ai quali lo stesso deve uniformarsi devono essere concertati ed oggetto di comunicazione prima dell’inizio del periodo di riferimento ( art. 14 del CCNL del 23.12.1999) - può, infatti, condurre, in relazione alla gravità del risultato dell’accertamento a:

  - riassegnazione alle funzioni di categoria di provenienza per il personale interno al quale sia stato eventualmente conferito con contratto a termine un incarico dirigenziale semprechè detto conferimento sia consentito dalla normativa vigente nell’ente.

Trattasi della ipotesi contrattuale, da taluni contestata, che consente alle amministrazioni, previo aggiornamento della loro normativa interna, di conferire, in virtù della dichiarazione congiunta n. 1 del 22.02.2006, incarichi dirigenziali a personale inquadrato in categoria D che in caso di loro valutazione negativa ritorneranno alla loro categoria originaria di appartenenza.

-  affidamento di un incarico dirigenziale con un valore di retribuzione di posizione inferiore;

- sospensione, nei confronti di personale a tempo indeterminato con qualifica dirigenziale da ogni incarico per un periodo massimo di anni due;

- recesso dal rapporto di lavoro nei casi di particolare gravità.

Tanto premesso, allo stato attuale possono, dunque, prospettarsi le seguenti ipotesi.

In corso di esecuzione del rapporto discendente dal contratto accessivo al rapporto principale di lavoro, motivate esigenze di riorganizzazione e/o produttive potrebbero imporre prima della scadenza dell’incarico dirigenziale una diversa organizzazione interna con contestuale revoca anticipata di un incarico dirigenziale.

E’ evidente che la necessità di una diversa organizzazione interna dovrà essere adeguatamente motivata con il richiamo alle esigenze sopravvenute con l’obbligo di una particolare cautela là dove il riassetto organizzativo comporti l’affidamento di un incarico caratterizzato da una indennità di posizione inferiore a quella originaria.

Tale facoltà riorganizzativa, potendo prestarsi a facili strumentalizzazioni e/o a suoi utilizzi non corretti, pone il dubbio, tra l’altro, dell’applicabilità o no anche a tale fattispecie dell’art. 4 del CCNL del 12.02.2002.

La disposizione testé citata, infatti, recita che “qualora in presenza di processi di riorganizzazione al dirigente sia conferito un nuovo incarico tra quelli previsti dall’ordinamento organizzativo dell’ente, per cui è prevista una retribuzione di posizione di importo inferiore a quella connessa al precedente incarico, la contrattazione collettiva decentrata integrativa definisce criteri e modalità per la disciplina egli effetti economici derivanti dal conferimento del nuovo incarico”.

L’incertezza nasce dalla circostanza che la stessa disposizione in esame nega la sua applicabilità a seguito di valutazione negativa del dirigente o passaggio dello stesso ad altro ente per effetto di trasferimento o delega di funzioni o attività mentre tace sul punto oggetto della nostra osservazione ( riorganizzazione in corso di mandato dirigenziale).

In sostanza è da chiedersi se tale disciplina sia applicabile solo a seguito di un processo di riorganizzazione che segue ad un azzeramento per naturale scadenza degli incarichi dirigenziali o viceversa la disciplina in esame sia estensibile anche a ipotesi di revoca anticipata per effetto di motivate esigenze di riorganizzazione e/o produttive.

A parere dello scrivente, considerato che la disposizione in esame consente una risoluzione anticipata del rapporto accessorio al principale per ragioni oggettive (riorganizzazione) e non soggettive ( accertamenti negativi imputabili al dirigente), non si vede come non possano essere richiamate tutte le disposizioni al dirigente più favorevoli che la contrattazione decentrata integrativa dovrà poi calare nella realtà concreta in cui si dovrà operare [2].

Viceversa si assisterebbe alla assurda ipotesi di revoche anticipate degli incarichi in corso di esecuzione di un mandato tecnico per motivi di riorganizzazione, avulse da qualsivoglia garanzia di salvaguardia, almeno economica, per l’interessato al provvedimento.

Diversa è la revoca dell’incarico per accertamento negativo a seguito di valutazione.

Anche nella fattispecie in esame ci troviamo dinanzi ad una risoluzione anticipata del rapporto accessorio al principale non però per ragioni oggettive (riorganizzazione) bensì soggettive ( accertamenti negativi imputabili al dirigente).

In tale delicata ipotesi un importante ruolo lo assumeranno sia la concertazione sindacale, che avrà il compito di fare condividere alla dirigenza, ove possibile, attraverso un procedimento non negoziale, i criteri generali che uniformano i sistemi di valutazione della stessa, sia la regolamentazione interna che avrà il delicato onere di individuare il procedimento, gli strumenti di tutela, tra cui le contestazioni e il contraddittorio, graduando, vera novità rispetto al passato, gli effetti della valutazione alla gravità dell’accertamento.

4. Gravità dell’accertamento che potrà condurre anche alla ipotesi più grave del recesso dal rapporto di lavoro.

Come già anticipato, accanto alla fisiologica ipotesi dell’azzeramento degli incarichi dirigenziali per la naturale loro scadenza temporale - che consente di rivisitare la propria organizzazione interna con l’unico onere di definire criteri e modalità per gli effetti economici discendenti da tale processo ove ciò comporti nella fase di passaggio da un incarico ad altro una retribuzione di posizione inferiore a quella connessa al precedente incarico - alla patologica ipotesi della revoca anticipata dell’incarico dirigenziale operante sul rapporto funzionale e non genetico nelle tre forme analizzate, così come disciplinate dall’art. 13 del CCNL del 22.02. 2006, vi è la più grave ipotesi del recesso dal rapporto di lavoro.

La cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato può, infatti, avvenire o a seguito del compimento del limite massimo di età o al raggiungimento della anzianità massima di servizio o per recesso del dirigente o per recesso dell’amministrazione.

Tale ultima ipotesi è disciplinata dall’art. 27 del CCNL del 10.04.1996 così come integrato dal comma 1 dell’art 11 del CCNL del 22.02.2006.

La norma, in apparenza chiara, a ben vedere, non brilla per linearità

Ciò in quanto se da un lato la disposizione contrattuale – art. 27 comma 2- sancisce genericamente che la giusta causa consiste in fatti e comportamenti, anche estranei alla prestazione lavorativa, di gravità tale da essere ostativi alla prosecuzione del rapporto di lavoro, dall’altro, in modo specifico, ribadendo tautologicamente che la responsabilità particolarmente grave costituisce giusta causa di recesso, cristallizza, correlandola a due sole ipotesi, cosa deve intendersi per responsabilità particolarmente grave.

Il dubbio è, dunque, se, per i comportamenti non estranei alla prestazione lavorativa, la responsabilità particolarmente grave deve intendersi solo quella specifica correlata al mancato raggiungimento di obiettivi particolarmente rilevanti per il conseguimento dei fini istituzionali dell’ente individuati con tale caratteristica nei documenti di programmazione e formalmente assegnati al dirigente o alla inosservanza delle direttive generali per l’attività amministrativa e la gestione formalmente comunicati al dirigente i cui contenuti siano stati qualificati di rilevante interesse o le ipotesi di responsabilità per giusta causa siano più ampie.

A favore della tesi che propende per la non esclusività delle sole due ipotesi di recente introdotte depone, oltre che la difficile sostenibilità, in via di principio, di una tesi diversa, altresì, la circostanza che la norma distingue per esse un procedimento distinto da quello generale di cui all’art. 27 commi 1 e 2.

Ricordiamo, infatti, che l’art. 27, comma 1, ancorché non in modo esplicito, disciplina l’ipotesi di recesso per giustificato motivo soggettivo che impone il rispetto del termine di preavviso.

Il comma 2 della medesima disposizione contrattuale, richiamando l’art. 2119 c.c., disciplina l’ipotesi di giusta causa (o giustificato motivo oggettivo) che al contrario non impone tale onere di preavviso.

Per entrambe le fattispecie il procedimento da applicare è quello di cui al successivo comma 3 che dispone la contestazione dell’addebito con la discendente relativa procedura.

Orbene, al di là della difficoltà di cristallizzare cosa deve intendersi per giustificato motivo soggettivo, essendo di ausilio il richiamo all’art. 3 della L. 604/1966 e la giurisprudenza in materia , nonché per giusta causa, descrivendo la norma solo che essa consiste in fatti e comportamenti, anche estranei alla prestazione lavorativa, di gravità tale da essere ostativi alla prosecuzione, sia pure provvisoria, del rapporto di lavoro, a parere dello scrivente la norma da ultimo introdotta cristallizza e, dunque rende certe due specifiche ipotesi di responsabilità particolarmente grave che consentono di recedere per giusta causa, ma non intende ipotizzare che i due casi siano esaurienti e unici.

Il recesso a seguito di responsabilità particolarmente grave a seguito di accertamento valutativo del dirigente, sia con riferimento al mancato raggiungimento di obiettivi ritenuti strategici per l’ente, sia relativamente a comportamenti adottati in spregio a direttive generali inoltrate ai dirigenti con i crismi richiesti dalla disposizione contrattuale correlano, forse discutibilmente, la responsabilità gestionale ad una responsabilità disciplinare, ma non esauriscono le ipotesi di recesso per giusta causa che possono manifestarsi in diverse forme comportamentali, anche estranee alla prestazione lavorativa, ma comunque ritenute per il datore di lavoro, salvo diverso parere giurisdizionale, di gravità tale da impedire la prosecuzione di un a relazione lavorativa.

In conclusione, sembra che accanto alle tradizionali ipotesi di recesso che seguono quanto disposto dall’art. 2119 del c.c. così come integrato dall’articolo 27 del CCNL del 10.04.1996, commi 1,2,e3, siano stati introdotti due specifici casi di recesso correlati al risultato negativo discendente da un processo valutativo sulla gestione e sul comportamento, ma comunque sempre ancorato alla prestazione lavorativa, i cui criteri generali, come detto, devono essere concertati con la dirigenza, così come impone il richiamo che la recente disposizione contrattuale fa dell’art. 14 del CCNL del 23.12.1999.

5. Individuata così la distinzione tra la revoca, il recesso e la naturale scadenza di un incarico dirigenziale resta da verificare il rapporto tra quanto disciplinato in sede contrattuale e quanto già regolato dalle disposizioni normative vigenti.

Alla luce della disamina effettuata sui dati discendenti dalle disposizioni contrattuali in materia di revoca e di recesso e dalla lettura dell’art. 109 comma del D.Lvo 267/2000 emerge forse una apparente invasione di campo da parte di una fonte contrattuale nei confronti del disposto normativo.

L’art. 109 del TUEL, infatti, riferendosi alla revoca dell’incarico dirigenziale e non, si badi, al recesso dal rapporto contrattuale principale, stabilisce che essa può avere luogo quando vi sia una inosservanza delle direttive sindacali, del Presidente della Provincia, della Giunta o dell’assessore di riferimento, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati con il PEG, per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dalla contrattazione collettiva.

L’art. 11 del nuovo CCNL, disciplinando il recesso dell’amministrazione, stabilisce che la responsabilità particolarmente grave costituisce giusta causa di recesso e correla a due sole ipotesi cosa deve intendersi per responsabilità particolarmente grave: mancato raggiungimento di obiettivi particolarmente rilevanti per il conseguimento dei fini istituzionali dell’ente previamente individuati con tale caratteristica nei documenti di programmazione e formalmente assegnati al dirigente; inosservanza di direttive generali per l’attività amministrativa e la gestione formalmente comunicate al dirigente, i cui contenuti siano stati qualificati di rilevante interesse.

Tentando una lettura delle disposizioni in esame in armonia con il sistema relazionale tra le fonti del diritto e, dunque, diretta a ritenere che il contratto collettivo non abbia invaso sfere di competenza non proprie dovendo la contrattazione collettiva, ai sensi dell’art. 109 del TUEL, introdurre al più altre ipotesi di revoca e non modificare il contenuto della legge apportandovi elementi di novità ( ad esempio stabilendo che direttive devono avere contenuti di rilevante interesse o che gli obiettivi, devono essere rilevanti e formalmente assegnati), si potrebbe ipotizzare che il contratto, nel rispetto dell’art. 109 TUEL abbia disciplinato altre ipotesi di revoca ( e non di recesso) non con l’introduzione dell’art. 11 del CCNL del 22.02.2006, bensì con le lettere a), b) e c) dell’art. 23 bis così come novellato dall’art. 13 del CCNL del 22.02.2006.

Ne consegue, dunque, da tale ricostruzione che l’art. 11 del nuovo CCNL non ha invaso l’operatività dell’art. 109, ma ha solo disciplinato due ipotesi nuove di responsabilità la cui particolare gravità, cristallizzata nelle tre tipologie individuate di inadempimento, comporta la più grave sanzione della risoluzione del contratto che abbiamo definito inizialmente primario e che rappresenta la fonte originaria del rapporto di lavoro.

Altre ipotesi di responsabilità grave – ma non confluenti nelle due ipotesi cristallizzate - o di responsabilità reiterata e, dunque, in tale ultima ipotesi magari non grave nella sua unicità, ma solo nella sua ripetitività , potranno indurre il datore di lavoro a revocare l’incarico dirigenziale – influendo così sul solo contratto accessivo - e non alla più grave soluzione del recesso.

Recesso, dunque, la cui determinazione avverrà, oltre che per i due comportamenti da ultimo tipizzati dalla nuova disposizione contrattuale, altresì, quale conseguenza estrema di comportamenti e fatti di gravità tale da essere ostativi non alla continuazione di un rapporto fiduciario tra dirigente e Sindaco o Presidente della Provincia, ma addirittura alla prosecuzione del rapporto di lavoro tra un dipendente pubblico e l’amministrazione di appartenenza.


 

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(*) Segretario generale e Direttore generale del Comune di Sanremo.

[1] Non risultando applicabile alla dirigenza, statale e locale,  l’art. 2103 del codice civile.

[2] Sul punto si veda nota Aran del 11.08.2003 – DB 43 – nella quale, con riferimento all’art. 4 comma 1 del CCNL del 12.02.2002,  si afferma come la contrattazione decentrata non deve stabilire quale debba essere il valore della retribuzione di importo più basso corrispondente al nuovo incarico, ma solo limitarsi a definire il percorso per passare da uno ad altro valore.


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