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Articoli e note

n. 1/2004 - © copyright

STEFANO GLINIANSKI (*) 

L’organizzazione del personale negli enti privi di qualifiche dirigenziali. Breve commento all’art. 15 della nuova ipotesi di accordo comparto Regioni ed Autonomie locali.

 

L’indubbia chiarezza [1] caratterizzante la recente formulazione dell’art. 15 di cui all’ipotesi di accordo relativa al Contratto Collettivo Nazionale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002 – 2005 e il biennio economico 2002 – 2003 ripropone all’attenzione degli interpreti e degli operatori il complesso e delicato dibattito circa l’organizzazione del personale in seno alle autonomie locali in cui è assente la classe dirigente.

In sostanza, la necessità di distinguere l’attività di direzione e di gestione delle strutture amministrative dall’attività propriamente di indirizzo politico e di controllo aveva indotto il legislatore prima e la contrattazione collettiva poi ad individuare modelli organizzativi rispettosi di detto principio.

Da tali premesse è iniziato un vero e proprio affrancamento da una visione tradizionale “statica” della figura del dipendente locale per giungere ad una concezione dinamica dello stesso.

La conseguenza più immediata e diretta discendente da questa rivoluzione culturale ha determinato che  in talune ipotesi un dipendente da mero istruttore, sovente, è stato trasformato in responsabile di un servizio e/o di un ufficio con potere  di azione e di adozione di atti sinora di competenza dei dirigenti  legittimante a ritenerlo – correttamente – il responsabile – rectius, il dirigente – di una struttura di vertice;  in altre è rimasto, ancorché a capo di una struttura di vertice a “guardare” i suoi colleghi  trasformarsi in dirigenti – senza percepire gli stessi    compensi accessori corrisposti ai primi in quanto correlati alla nuova funzione.

Il tutto nella confusione generata da una carenza di chiarezza normativa che è sembrata in certe ipotesi derogare al principio civilistico per cui a parità di mansioni non possono essere corrisposti trattamenti economici differenti [2] e con buona pace di chi, già assunto quale funzionario responsabile di area, si vedeva non riconosciuta  la corresponsione dell’ indennità di posizione accessoria di cui all’art. 10 del Contratto Collettivo Nazionale di lavoro del Comparto Enti Locali e Regioni siglato il 31.03.1999, per il solo fatto di essere preposto per legge e per contratto in una “posizione” direzionale [3] e di vertice.

Ecco, dunque, che in questa confusione organizzativa facilmente individuabile in seno a numerosi enti locali, appare l’art. 15  testé richiamato.

Quale, dunque, l’effetto principale della norma?

L’avere finalmente chiarito che, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato ai fini di inquadramento di un dipendente, la circostanza che questi sia responsabile di una struttura apicale – o perché inquadrato ab origine in tale posizione  in qualità  di funzionario direttivo – o perché – individuato quale  responsabile di un servizio ai sensi dell’art. 50 comma 10 del D.Lvo 267/2000 e   investito di funzioni dirigenziali ai sensi dell’art. 109 comma 2 del medesimo decreto – comporta la titolarità di una posizione organizzativa ex articoli 8 – 11 del contratto siglato il 31 marzo 1999 con tutte le garanzie contrattuali che da essa discendono.

Tuttavia, pur nell’innegabile chiarezza della disposizione in esame è necessario precisarne alcuni punti.

In primo luogo è da evidenziare che l’art 15 non deroga nel modo più assoluto al principio della equiordinazione    tra le categorie professionali che rappresenta il presupposto per un legittimo modello di organizzazione del personale.

La regola, dunque, per cui a parità di mansioni non possono essere corrisposti trattamenti economici differenti rimane ferma evitando così il paventato rischio di una distribuzione degli incarichi direttivi a dipendenti inquadrati in categorie professionali diverse.

Di poi che con tale disposizione si è voluto chiarire in via definitiva che – ferma restando la necessità di una struttura organizzativa di vertice fondata su categorie omogenee per i motivi suddetti – non si possono creare sperequazioni tra dipendenti titolari di strutture apicali a cui è stata conferita la  posizione organizzativa e, dunque, la legittimazione, in forza di un  incarico aggiuntivo, ad essere retribuiti nelle misure previste in sede di contrattazione sindacale prima e individuale poi, e dipendenti ugualmente responsabili di strutture apicali –  o perché investiti dell’atto di nomina di cui all’art. 50, comma 10 e di conferimento di funzioni dirigenziali di cui all’art 109, comma 2 o in quanto originariamente assunti quali   funzionari direttivi -  non retribuiti in via accessoria secondo le modalità di cui alle disposizioni del contratto siglato il 31 marzo 1999, artt 8 – 11.

Infine che l’apicalità in seno ad una struttura – comunque conseguita –  o per assunzione  diretta ( esempio, per inquadramento contrattuale quale funzionario nel profilo professionale responsabile di area amministrativa ex VIII qualifica funzionale)  o per percorso contrattuale interno nato dal combinato disposto di cui agli articoli 50, comma 10 e 109, comma 2 del D.Lvo 267/2000 – e comunque denominata – responsabile di area, di settore, di servizio o di ufficio, in relazione alla tipologia organizzativa interna adottata dall’ente locale – comporta l’applicazione della disciplina di cui agli articoli 8 e 11 del  Contratto Collettivo Nazionale di lavoro del Comparto Enti Locali e Regioni siglato il 31.03.1999.

Conseguenza diretta di tale impostazione organizzativa sarà, in conclusione,  il chiarimento  che non vi è un parallelismo tra un responsabile di un servizio e/o di un ufficio ed un responsabile di struttura apicale -  così come tra l’altro già si ricava dall’art. 11 del CCNL siglato il 31 marzo 1999, che impone l’avvalimento da parte del Sindaco della facoltà di cui all’art. 109, comma 2 con il conferimento delle funzioni di cui all’art. 107 del T.U. EE.LL. al dipendente per mutuare la posizione dello stesso da mero responsabile a responsabile di una struttura di vertice con poteri dirigenziali – essendo necessario  un inquadramento organizzativo del dipendente  in posizione verticistica,  non nominale – la categoria -  ma sostanziale – l’esercizio di un potere direttivo -  che solo l’affidamento delle funzioni di cui all’art. 107 del Testo Unico Enti Locali da parte del primo cittadino, può conferire.

Più delicato e complesso è l’apporto dell’art. 15 nei confronti dei funzionari direttivi dell’ex VIII qualifica funzionale.

In tale ipotesi dovrebbe essere identificabile un parallelismo tra chi è inquadrato ab origine quale funzionario direttivo ex VIII q.f. e il responsabile di struttura apicale con conseguente applicazione allo stesso della disciplina di cui agli articoli 8 – 11 del  CCNL siglato il 31 marzo 1999.

Ciò in quanto il funzionario – per il fatto stesso di identificarsi nell’ apicale di un  sistema organizzativo  -  stando alla logica contrattuale -  in assenza di dirigenza -  assume una elevata responsabilità di prodotto e di risultato che richiede, tra l’altro, un alto grado di autonomia gestionale e organizzativa.

Pertanto,  la collocazione di un funzionario già in posizione di vertice nell’ente, impone l’adozione di un criterio di inquadramento dello stesso, come  tra l’altro si ricava dalle funzioni richieste dagli art. 8 – 11 del citato contratto,   secondo una logica di prodotto e risultato, tipica del dirigente.

Ne discende l’immediata applicazione delle indennità accessorie di posizione e di risultato che assorbono tutte le altre competenze accessorie  e le altre indennità, compreso il lavoro straordinario, e l’applicazione al funzionario della disciplina contrattuale che potrà sfociare o in un risultato premiante   o, in caso di valutazione  negativa, in una non conferma o in una  revoca anticipata dalla posizione.

Il problema si pone, allora, proprio in relazione alle conseguenze di una valutazione negativa.

Se tale esito  – così come un mutamento organizzativo - comporta la perdita della posizione e il ritorno al profilo di appartenenza iniziale,  l’automatismo tra responsabilità di una struttura apicale e titolarità della posizione  rende effettivamente complesso disgiungere nei confronti del funzionario le due posizioni.

Unica soluzione alternativa è separare l’inquadramento quale funzionario  direttivo ex VIII q.f. dall’apicalità in seno alla struttura attraverso processi riorganizzativi dell’ente, in sostanza nominando un altro responsabile di struttura apicale che surroghi il primo, ma è evidente la difficoltà operativa che tale processo riorganizzativo potrà  comportare.

Si ipotizzi un ente nel quale sono presenti cinque posizioni organizzative afferenti tutte alla categoria D, di cui, però, tre, originariamente istruttori, e che, dunque,  nascono professionalmente da un percorso contrattuale interno in virtù del combinato disposto di cui agli articoli 50, comma 10 e 109, comma 2 del D.Lvo 267/2000  e due  funzionari di ex VIII qualifica funzionale ai quali sono state conferite le funzioni dirigenziali.

E’ evidente, infatti,  che mentre la valutazione negativa di chi originariamente non era funzionario comporterà il suo ritorno in seno all’organizzazione in una posizione non verticistica – e sarà, altresì, più facilmente sostituibile – la valutazione negativa del funzionario investito della posizione organizzativa  lo farà  ritornare nella sua posizione originaria, che è comunque di vertice.

Orbene, stando alla formulazione dell’art. 15 il funzionario, ancorché negativamente valutato, per il fatto stesso di essere apicale di una struttura si vedrà riconosciuta la posizione a meno che non si modifichi l’assetto organizzativo interno dell’ente collocando lo stesso non più in posizione di vertice nell’area di appartenenza.

Tale ultima prospettiva è sicuramente e teoricamente una soluzione praticabile, tanto che lo stesso articolo 15 parla di responsabili di strutture apicali secondo l’ordinamento organizzativo dell’ente, ma è innegabile che, al di là della difficile realizzazione pratica di ciò,  in tal modo, attraverso una previsione contrattuale, ci si ingerisce forzosamente nell’organizzazione interna di un ente.

Mentre, infatti, in precedenza, la valutazione negativa di una P.O. comportava il venir meno della stessa, in  quanto accessoria, oggi una valutazione negativa determinerà una necessaria modifica dell’assetto organizzativo interno che, attraverso diverse modalità di attuazione dello stesso, quali, ad esempio, ipotesi tipica, l’ accorpamento di aree o l’assunzione di personale a tempo determinato,  potrà ovviare a delle carenze nel conseguimento degli obiettivi da parte di un responsabile di struttura.

Oppure, in un ottica diversa e, forse, anche più corretta, sarà opportuno considerare l’art. 15 come norma che formalizza un radicale mutamento culturale nella gestione del personale degli enti locali che impone una riconsiderazione del dipendente non dirigente alla stessa stregua del dirigente.

Ne consegue, pertanto, che il protrarre da parte dello stesso  comportamenti inadempienti, anche in una visione di assenza di risultati conseguiti, dovrà essere  sanzionato non ledendo eventuali posizioni di lavoro accessorio, ma contestando, con la necessaria gradualità e proporzionalità, il protrarsi di una relazione lavorativa principale.

  Ancora una volta, dunque, è stata introdotta una disposizione - della cui utilità onestamente fortemente si dubita -  la quale,  ancorché motivata dall’esigenza di evitare il proliferare di trattamenti sperequativi tra dipendenti,  che già potevano essere evitati con una corretta applicazione del precedente contratto, nasconde nuove insidie di difficile risoluzione.

 


 

(*) Segretario e Direttore generale del Comune di Riva Ligure (IM).

[1] Quanto meno espositiva, considerato che una disposizione contrattuale di così rilevante importanza è stata collocata in un capo intitolato “Disposizioni per le unioni di Comuni e servizi in convenzione”.

[2] Si pensi ai dibattiti intervenuti in merito alla originaria formulazione dell’ art 51, comma 3 bis della L. 142/1990, così come introdotto dalla L. 191/1998 e riprodotto all’art. 109 comma 2, del D.Lvo 267/2000 ove recita “Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all’art. 107, commi 2 e 3, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del Sindaco,…ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”, e che sembrava legittimare un abbandono del criterio dell’equiordinazione tra le categorie professionali alle quali conferire le funzioni dirigenziali.

[3] Il riferimento è ai dipendenti assunti in qualità di funzionari direttivi ex VIII qualifica funzionale.


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