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n. 2/2009 - © copyright

GIORGIO GIALLOMBARDO
(Presidente del T.A.R. Sicilia)

Inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 del T.A.R. Sicilia
(Palermo, 14 febbraio 2009)

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Autorità, Signore, Signori,

                1. - Adempio anche quest’anno al gradito dovere, in occasione della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario presso la Sede di Palermo del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, di presentare la relazione sull’attività svolta e sull’andamento della Giustizia amministrativa in questa circoscrizione giudiziaria nel decorso anno 2008.

                É questa ormai una consuetudine che, per determinazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, si inserisce a pieno titolo nel contesto delle analoghe iniziative da più tempo praticate presso altre Magistrature, al condivisibile fine di fornire, oltre che agli addetti ai lavori anche all’opinione pubblica, la più ampia informazione sull’andamento e sulle prospettive di questo settore della giustizia, divenuto sempre più fenomeno di massa, così nel Paese come nella nostra realtà territoriale.

                L’anno che si è appena concluso è stato caratterizzato da una significativa attività dei tribunali amministrativi regionali, ormai in funzione da trentacinque anni.

                Non è questo un periodo particolarmente lungo nella complessiva storia del Paese, ma è pur sempre significativo e rilevante, essendo stato caratterizzato da una costante più diffusa esigenza di giustizia da parte dei cittadini anche nei rapporti con la pubblica amministrazione, strettamente collegata ad una crescita di coscienza civile e di consapevolezza di diritti e doveri cui l’opera dei ”nuovi” giudici amministrativi dislocati sull’intero territorio nazionale ha dato un contributo non indifferente. Contributo che certamente continuerà ad avere un ruolo fondamentale nel nuovo contesto ordinamentale che va delineandosi dopo le recenti riforme costituzionali, caratterizzato da una trasformazione profonda della struttura stessa dello Stato, tendente ad un federalismo che vede sempre più affermarsi i centri decisionali regionali e locali ed affievolirsi, fino talora a venir meno, le tradizionali forme di controllo tipiche della precedente struttura statale tendenzialmente accentratrice.

                I nuovi modelli organizzativi che vanno via via precisandosi, ispirati ai principi del federalismo solidale, della sussidiarietà e quant’altro, postulano invero la presenza attiva di una giurisdizione speciale e specializzata, quale è quella amministrativa, che il più rapidamente ed efficacemente possibile sia in grado di assicurare al cittadino, ovunque residente ed operante, una tutela effettiva nei confronti di qualsivoglia eventuale prevaricazione dei pubblici poteri onde perseguire l’obbiettivo di una costante osservanza del principio di legalità anche attraverso la legittimità dell’azione amministrativa ed, al contempo, della realizzazione, quanto meno tendenziale, di condizioni di pari opportunità per tutti.

                Non posso tuttavia non rilevare, con rammarico, come negli ultimi tempi, da parte di taluni settori dell’informazione e della politica, si indulga frequentemente a sommarie quanto ingenerose valutazioni negative sulla attività e sulla stessa presenza dei Tribunali amministrativi regionali nella realtà del Paese, sottolineando enfaticamente una sorta di “tuttologia” interventistica in ogni settore della vita e stigmatizzando taluni casi di pronunce contrastanti su tematiche ritenute (dai critici) analoghe; e, fatto ancor più grave, alimentando la “leggenda metropolitana” secondo cui proprio l’azione dei giudici amministrativi (anche di secondo grado) sarebbe fra le principali cause ad ostacolare la realizzazione delle grandi opere e quindi, in definitiva, lo sviluppo del Paese.

                A fronte di tal genere di critiche, purtroppo suggestive nei confronti di larga parte dell’opinione pubblica, ovviamente non in condizione di valutare appieno gli aspetti tecnici di problemi così disinvoltamente ed unilateralmente prospettati, mi sia consentito di rilevare che è mancata finora una risposta adeguata sia nella sedi istituzionali (mi riferisco in particolare al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa) che da parte delle associazioni rappresentative della Magistratura amministrativa, queste ultime occupate più a curare interessi settoriali segmentati di varie componenti interne che ad assumere un ruolo deciso di sostegno e tutela dell’impegno profuso dai giudici amministrativi nell’esercitare la propria difficile funzione di salvaguardia della legittimità dell’azione amministrativa in favore dei cittadini.

                Ed invero alle facili critiche che ho ricordato è agevole rispondere precisando:

              quanto alle – peraltro non frequenti – ipotesi di orientamenti contrastanti fra giudici diversi, trattasi di un inconveniente ascrivibile al sistema di giurisdizione diffusa sul territorio, tipico del nostro ordinamento giuridico, e come tale riscontrabile, in misura ben maggiore che nella giustizia amministrativa, anche in altri settori della attività giudiziaria.

                Proprio perché l’inconveniente è caratteristico della giurisdizione diffusa, lo stesso ordinamento prevede gli strumenti per ricomporre, nelle sedi di giudizio superiori e definitive (Corte di Cassazione e, per la giustizia amministrativa, Consiglio di Stato), gli eventuali orientamenti difformi, a garanzia di una univoca interpretazione ed applicazione del diritto: che, comunque, non può mai essere assoluta, a meno che non si preferisca dar vita ad un ordinamento processuale gerarchizzato, ove dai vertici si diano delle indicazioni interpretative assolute e cogenti; ma questa sarebbe una scelta all’evidenza impraticabile nell’attuale assetto costituzionale.

                Quanto alla pretesa “tuttologia” del giudice amministrativo ed al ruolo di freno che questo eserciterebbe nella realizzazione delle opere pubbliche, va intanto ricordato che l’intervento di tale giudice, nel nostro ordinamento, non procede d’ufficio (nella giurisdizione amministrativa, come è noto, non esiste il pubblico ministero, a differenza che in quella ordinaria ed in quella contabile) bensì su ricorso di parte, cioè su richiesta di chi ritenga di essere destinatario di attività illegittima della Pubblica Amministrazione. L’estensione di questa giurisdizione ad una sempre più vasta gamma di materie che investono i più disparati settori della vita è conseguenza, per un verso, del progressivo estendersi dell’attività pubblica sempre più invasiva anche in campi nei quali un tempo era inimmaginabile la sua presenza, e per altro verso, del sostanziale azzeramento del preesistente sistema dei controlli sulla attività amministrativa medesima, essendosi il controllo trasformato in larga misura, oggi, in esercizio di quella che suole definirsi “moral suation” (moniti, raccomandazioni, inviti), altrimenti definibile, con un pizzico d’ironia, “vox clamantis in deserto”: sicché il ricorso al giudice amministrativo rimane l’ultimo approdo per il cittadino che abbia (o ritenga di avere) subito un torto da parte del potere pubblico.

                Può facilmente sfatarsi, dati alla mano, anche quella che ho definito la “leggenda metropolitana” del giudice amministrativo che paralizza l’attività dell’Amministrazione anelante alla rapida realizzazione delle opere di cui il Paese ha urgente bisogno per il suo sviluppo. Il contenzioso in materia, da quando il legislatore ha finalmente ritenuto di fornire degli strumenti processuali acceleratori adeguati (mi riferisco in particolare alle procedure rapide introdotte con la legge 205 del 2000), non staziona presso i Tribunali amministrativi (ed anche presso il giudice di appello – Consiglio di Stato e Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana – ove attivato il secondo grado di giudizio) che per brevi periodi, di molto inferiori all’anno (presso questa Sede, mediamente meno di sei mesi: ma di ciò più avanti).

                È quindi il caso di dire, con estrema chiarezza, come le cause dei blocchi o dei ritardi delle opere pubbliche vadano ricercate altrove: nella farraginosità delle procedure, nel groviglio delle competenze fra organi ed enti diversi, sia a livello centrale che territoriale, tali da dare luogo a veri e propri veti incrociati con effetti paralizzanti, nel campanilismo esasperato spesso gabellato per autonomismo e decentramento, e quant’altro.

                Una adeguata razionalizzazione del settore, più volte tentata (si pensi alle vicende del recente codice degli appalti pubblici, ripetutamente modificato appena dopo essere stato varato) ma ancora non realizzata, comporterebbe verosimilmente anche l’effetto indotto di una riduzione del contenzioso.

        Diversa, purtroppo, si presenta la situazione per il contenzioso c.d. “normale” (ossia non beneficiario delle procedure accelerate prima ricordate): poiché la struttura e l’organizzazione del giudice amministrativo territoriale non è stata potenziata, anzi ha subito in questi anni di “vacche magre” una progressiva erosione degli organici, specie del personale di segreteria e di collaborazione (indispensabile ed insostituibile ausilio del giudice per lo svolgimento dell’attività giudiziaria) falcidiato da prolungati e tuttora vigenti blocchi del “turn over”, nonché una cospicua riduzione delle risorse finanziarie, i tempi di trattazione dei ricorsi non rientranti nelle tipologie “privilegiate” si sono ulteriormente dilatati, con la conseguente crescita esponenziale dei giudizi risarcitori per i ritardi, introdotti in attuazione della c.d. “legge Pinto”, di cui accennerò più oltre, ed il diffondersi di un sempre maggiore senso di sfiducia del cittadino nei confronti del sistema giudiziario nel suo complesso, che purtroppo accomuna, nell’opinione diffusa sui responsabili della situazione esistente, anche gli operatori giudiziari (in particolare i magistrati) che ne sono vittime non meno degli utenti giustamente insoddisfatti.

                Comunque, pur in presenza della non favorevole situazione attuale e nella consapevolezza dei consistenti limiti oggettivi che si frappongono in concreto alla nostra opera ritengo che il Giudice amministrativo non si sottrarrà anche per l’avvenire a questo fondamentale impegno civile al servizio del Popolo Italiano, nel cui nome è chiamato a pronunciare.

                Desidero innanzi tutto rivolgere un deferente saluto al Signor Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che impersona l’unità nazionale ed assolve con grande equilibrio ed autorevolezza all’altissimo ruolo di garante della Costituzione e degli assetti ordinamentali in questa consacrati.

                Un particolare saluto all’Arcivescovo Metropolita della Diocesi di Palermo, S.E. Mons. Paolo Romeo, che da circa due anni svolge egregiamente l’impegnativa funzione pastorale in questa Città, alla quale è stato chiamato dal Sommo Pontefice, Benedetto XVI, quale successore dell’Eminenza Rev.ma Cardinale Salvatore De Giorgi, Arcivescovo Metropolita Emerito di Palermo, di cui non posso non ricordare la grande attenzione che ha sempre manifestato, nei lunghi anni di permanenza nell’Alto Ministero, per la nostra attività.

                Un caloroso saluto e un sentito ringraziamento, anche a nome dell’Ufficio, a tutti gli intervenuti – rappresentanti dei vari settori delle Istituzioni, delle Magistrature, del Foro, dell’Università, della Dottrina giuridica e dell’Informazione – che, con la loro presenza, dimostrano l’attenzione e l’interesse con cui le componenti della Società – e non soltanto gli (strettamente) addetti ai lavori – seguono l’attività della Giustizia amministrativa.

                Un particolare saluto al Presidente del Consiglio di Stato, Paolo Salvatore, al quale mi legano antichi sentimenti di stima ed amicizia, che con grande prestigio e competenza onora la carica di vertice della Giustizia Amministrativa italiana e che oggi, con la Sua autorevole presenza a questa cerimonia, della quale gli siamo profondamente grati, testimonia attenzione per questo Tribunale amministrativo – il terzo d’Italia per volume di contenzioso – operante nella Regione di più antica e vasta autonomia speciale.

                Un affettuoso saluto ed un ringraziamento per l’opera svolta ai Presidenti Emeriti del Consiglio di Stato che l’hanno più di recente preceduto, Alberto de Roberto e Mario Egidio Schinaia, che per la ineludibile legge del tempo hanno lasciato l’ufficio, dopo vari decenni al servizio dello Stato.

                Un cordiale saluto anche al nostro Organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, presente alla odierna cerimonia con una autorevole rappresentanza.

                Un particolare saluto al Foro di Palermo e della Sicilia occidentale tutta – in questa espressione ricomprendo anche l’Avvocatura dello Stato e le Avvocature degli enti pubblici – qui largamente presente, che vanta una lunga brillante tradizione anche nel settore amministrativo e che ha sempre contribuito in modo determinante all’evoluzione giurisprudenziale.

                Un cordiale saluto ai Colleghi tutti, del Consiglio di Stato, del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e dei Tribunali amministrativi regionali, ed alle rispettive Associazioni; un particolare saluto e ringraziamento al Personale di segreteria ed amministrativo della Giustizia amministrativa, che condivide con encomiabile spirito di servizio il nostro quotidiano impegno, ed ai rappresentanti sindacali, che sempre hanno dimostrato grande equilibrio e collaborazione.

                Un pensiero affettuoso e riconoscente verso i Presidenti che mi hanno preceduto: in particolare, fra i più antichi, il Presidente emerito del Consiglio di Stato Giorgio Crisci ed il Presidente emerito della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa, che ho avuto la fortuna di avere come maestri nei primi anni della mia attività; fra i più recenti, i Presidenti Guglielmo Serio e Giovanni Castiglione: quest’ultimo purtroppo venuto a mancare.

                Un commosso ricordo per quanti, al servizio della Repubblica nelle sue varie articolazioni, hanno sacrificato la vita nell’adempimento del dovere per la difesa della legge e delle istituzioni, della civile convivenza e della sicurezza dei cittadini.

                Un pensiero riconoscente ai nostri connazionali, militari e civili, impegnati in varie parti del mondo in missioni di pace e di sostegno umanitario in favore delle popolazioni meno fortunate: missioni connotate sovente da rischi elevati, affrontati con coraggio e determinazione, talvolta fino all’estremo sacrificio.

                2. - Ricordo brevemente alcuni eventi significativi che hanno riguardato questa Sede nel corso dell’anno 2008.

                2.1. Nella relazione dello scorso anno avevo ricordato, come evento di segno positivo, il ripristino a 16 unità della dotazione organica “di fatto” del personale di Magistratura presso questa Sede, rispetto all’organico “di diritto” previsto in 19 magistrati, peraltro finora mai integralmente coperto: ciò per l’immissione in servizio avvenuta alla fine del 2007, di tre referendari vincitori di concorso, nonché di un 1° referendario proveniente da altra sede e qui trasferito a domanda.

                Deve, ora, purtroppo registrarsi come evento di segno negativo una inversione di tendenza in materia: infatti nel mese di settembre 2008 ha lasciato questo Ufficio il Consigliere Calogero Ferlisi, magistrato anziano qui in servizio da molti anni, meritatamente chiamato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ad esercitare le funzioni di Presidente di Sezione interna presso la Sezione staccata di Catania di questo Tribunale, ove è stato trasferito; mentre con recente provvedimento dello stesso Consiglio di Presidenza – adottato nel dicembre scorso – sono stati trasferiti, a domanda, presso altri uffici giudiziari, con decorrenza dal prossimo 1° marzo 2009, i primi referendari Agnese Anna Barone ed Achille Sinatra, nonché il referendario Antonio De Vita.

Ancora, è prossimo a lasciare questa Sede, dove ha svolto servizio per molti anni, un altro validissimo magistrato anziano, il Consigliere Salvatore Veneziano, anch’egli meritatamente chiamato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa (deliberazione del 15 gennaio 2009) alle funzioni di Presidente di Sezione interna presso la Sede di Napoli del T.A.R. Campania.

                Verranno meno, pertanto, nell’anno appena iniziato, ben cinque dei 16 magistrati qui in servizio nel decorso 2008.

                Il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ha provveduto ad una parziale sostituzione, assegnando presso questa Sede quattro giovani referendari vincitori dell’ultimo concorso espletato, che hanno assunto servizio il 1° febbraio scorso: i referendari Pier Luigi Tomaiuoli, Maria Barbara Cavallo, Anna Pignataro e Giuseppe La Greca; sicché nell’anno 2009 il numero complessivo di Magistrati in servizio a Palermo sarà di 15 unità, quattro delle quali di nuova nomina, con una carenza di circa il 21% rispetto all’organico “di diritto” (19 unità).

                Né va sottaciuto che nei primi mesi di servizio i colleghi di nuova nomina, pur validissimi e provenienti da una severa selezione concorsuale, in forza di precise direttive del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa non potranno assumere lo stesso carico di lavoro dei magistrati anziani, dovendo essere avviati gradualmente all’esercizio delle funzioni giurisdizionali, anche attraverso idonei percorsi formativi.

                Dirò più avanti, comunque, della situazione deficitaria degli organici del Personale, sia di Magistratura che di Segreteria, amministrativo e di collaborazione e delle conseguenze negative sull’ efficienza del servizio.

                Al momento desidero formulare ai colleghi passati ad esercitare le funzioni presso altri Uffici giudiziari ed ai colleghi che hanno recentemente assunto servizio presso questa Sede, vincitori dell’ultimo concorso di accesso alla Magistratura amministrativa, il più cordiale saluto con l’augurio di buon lavoro e di meritate affermazioni nel prosieguo della carriera.

                Un particolare, affettuoso augurio ai neo Presidenti di Sezione interna, Calogero Ferlisi e Salvatore Veneziano, con i quali ho condiviso lunghi anni di lavoro e di impegno in questo Tribunale.

Desidero infine ricordare che il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ha designato, unico magistrato amministrativo italiano, quale referente nazionale della Commissione Europea EJTN di Bruxelles [1] per conto del plesso giurisdizionale T.A.R. – Consiglio di Stato, il Collega Primo Referendario Giovanni Tulumello, qui in servizio, che da più di un anno si è impegnato in tutta una serie di attività a livello europeo che hanno condotto anche a proficui scambi di magistrati dei vari Paesi dell’Unione, sostanziatisi in veri e propri “stages” di grande interesse ed utilità culturale e professionale.

                2.2. - Nella relazione dello scorso anno avevo ricordato, come altro evento positivo, la definitiva copertura del posto dirigenziale di Segretario Generale presso questo Tribunale amministrativo, rimasto vacante dagli ultimi mesi del 2005 e, dopo brevi e saltuari periodi di interinato, conferito al dirigente del ruolo della Giustizia amministrativa avv. Antonino Maria Fortuna, proveniente per trasferimento da analoga funzione già rivestita presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia, con Sede in Trieste.

Purtroppo il nuovo Segretario Generale, che aveva assunto servizio nel giugno 2007, e che aveva iniziato a dare un significativo apporto all’organizzazione ed al funzionamento dei servizi amministrativi e di segreteria di questa Sede, a circa un anno di distanza ha ritenuto di rientrare nei ruoli dell’Agenzia Nazionale dei Segretari comunali e provinciali, da cui originariamente proveniva, per assumere un incarico dirigenziale (verosimilmente meglio remunerato) presso un ente locale.

Questa Sede è rimasta quindi ancora una volta priva di dirigente titolare dei Servizi amministrativi e di segreteria, con notevoli inconvenienti di natura organizzativa e gestionale.

Devo dare atto, per quanto attiene all'esercizio delle funzioni di Segretariato Generale, che dallo scorso ottobre 2008 queste sono state svolte "ad interim" per alcuni giorni al mese, da dirigente amministrativo dott. Elio Peduto, titolare della Sezione staccata di Latina del T.A.R. - Lazio,  il quale ha accettato, ancora una volta, di sobbarcarsi all'onere di un nuovo impegnativo incarico in aggiunta a quello intrattenuto, e che desidero ringraziare pubblicamente di questa sua disponibilità.

Il dott. Peduto, tuttavia, da pochi giorni ha lasciato il servizio per raggiunti limiti di età: circostanza, questa che impone la ricerca urgente di una soluzione definitiva del problema in termini di titolarità, stante le dimensioni dell'Ufficio, che mal si prestano a prolungati periodi d'interinato. Devo pertanto rivolgere ancora una volta un pressante appello agli Organi di vertice della Giustizia amministrativa - che già si sono dati carico del problema - di adoperarsi per una rapida, positiva soluzione.

3. Nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2007 avevo espresso l’auspicio che – trascorso un decennio dalle innovazioni introdotte nel settore della Giustizia amministrativa con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 e con la legge 21 luglio 2000, n. 205, interventi legislativi che, com’è noto, hanno ampiamente modificato il tradizionale campo d’azione assegnato alla giurisdizione amministrativa – si fosse prossimi a pervenire ad un definitivo assestamento applicativo di dette innovazioni, destinato a ridare qualche certezza operativa a tutti gli ”attori” del ”servizio giustizia” – magistrati, avvocati e cittadini utenti – troppo spesso occupati più nella ricerca del “giudice competente” che nella risoluzione della controversia sostanziale oggetto del giudizio.

In particolare, avevo sinteticamente ricordato come all’iniziale attribuzione legislativa di nuovi e più impegnativi spazi di intervento nei rilevanti settori dei servizi pubblici (new economy) e dell’urbanistica ed edilizia (uso del territorio, in senso lato) - anche attraverso il superamento del tradizionale riparto di giurisdizione fondato sulla secolare dicotomia ”diritti soggettivi” – ”interessi legittimi” integrato dall’attribuzione di competenza per materie o per “blocchi di materie” - fosse seguito un sostanziale ridimensionamento derivante dagli interventi della Corte Costituzionale (sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006) che hanno ricondotto la nuova giurisdizione esclusiva per materie o “blocchi di materie” nel tradizionale alveo interpretativo di cui all’art. 103 Costituzione, secondo il quale l’attribuzione al Giudice Amministrativo di giurisdizione anche su diritti è giustificata solo dalla effettiva compresenza e connessione tra diritti ed interessi legittimi.

Avevo, quindi, rilevato come fosse possibile delineare una nuova configurazione della giurisdizione esclusiva che radica la sua esistenza non già e non più genericamente sulle materie e sui ”blocchi di materie” in quanto tali, ma piuttosto sull’esercizio, quantomeno iniziale, di un potere pubblico nella materia considerata.

All’originario avvio di un procedimento amministrativo e/o all’esercizio di un potere amministrativo risulterebbe, quindi, assegnata la funzione pregnante e centrale di permettere al sindacato del giudice amministrativo di irradiarsi estendendosi alla cognizione degli atti e dei comportamenti attuativi e conseguenziali rispetto a quel potere nonché alle connesse posizioni giuridiche di “diritto soggettivo” dai privati vantate in dette materie.

4. Sempre nella precedente relazione avevo segnalato la gravità di una situazione nella quale i dubbi e le incertezze nella individuazione del giudice competente, e le connesse pronunzie declinatorie del giudice erroneamente adito, finivano per costituire un ulteriore fattore di allungamento dei tempi della giustizia e, quindi, una ulteriore remora alla concreta realizzazione del principio costituzionale della effettività della tutela giurisdizionale, con evidenti riflessi negativi sulla già compromessa immagine del servizio giustizia presso i cittadini direttamente interessati e, più in generale, presso tutta l’opinione pubblica.

Avevo, però, anche rilevato come due pronunzie intervenute nel 2007 (sentenza 22 febbraio 2007, n. 4109 delle SS.UU. della Corte di cassazione e sentenza 12 marzo 2007, n. 77 della Corte costituzionale) aprivano la strada all’applicabilità ai rapporti tra giurisdizioni di un meccanismo che consenta, allorquando un giudice declini la propria giurisdizione, la prosecuzione del giudizio presso il giudice avente giurisdizione, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta avanti al giudice privo di giurisdizione in materia: c.d. translatio judicii.

In particolare la Corte Costituzionale – ritenendo, in contrario avviso dalla Corte di cassazione, l’impossibilità di diretta applicazione dell’art. 50 cod. proc. civ. ai rapporti tra giurisdizioni - fa discendere dal principio che la previsione di una pluralità di giudici non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione, della tutela giurisdizionale, l’affermazione dell’esigenza di un intervento del legislatore, finalizzato a dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, propri della domanda proposta a giudice privo di giurisdizione, risultando il legislatore ordinario libero di disciplinare nel modo ritenuto più opportuno il meccanismo della riassunzione (forma dell'atto, termine di decadenza, modalità di notifica e/o di deposito, eventuale integrazione del contributo unificato, ecc.).

La Corte ha, comunque, ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 30 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali propri della domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione e concluso che, laddove possibile utilizzando gli strumenti ermeneutici, i giudici ben potranno comunque dare attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto.

Nel corso dell’anno 2008 è proseguita l’applicazione di siffatto principio, per altro già iniziata nello stesso anno 2007 con le pronunzie di cui avevo già dato conto.

        4.1. Con riferimento alle ipotesi nelle quali sia il giudice amministrativo a declinare la giurisdizione, ritenendo che il giudice competente sia quello ordinario, è, peraltro, dato rilevare la formazione di una pluralità di orientamenti:

-                          tra le pronunzie che alla affermazione della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda già proposta aggiungono la fissazione di un termine di riassunzione in sostanziale applicazione dell’art. 50 cod.proc.civ. (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 giugno 2008 n. 3065 e T.A.R. Lombardia, Milano, 17 giugno 2008 , n. 2087);

-                          quelle che si limitano alla citata affermazione della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda già proposta, probabilmente sull’implicito presupposto che la pronuncia declinatoria della giurisdizione debba limitarsi ad indicare il giudice che si ritiene munito di giurisdizione, spettando solo a quest'ultimo la decisione in ordine alla conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto, sia per quanto riguarda i profili di merito, che di rito (Consiglio di Stato,sez. VI, 17 gennaio 2008 n. 111 e 18 marzo 2008 n. 1059, T.A.R. Abruzzo, L'Aquila 6 ottobre 2008 n. 1134 e T.A.R. Campania, Napoli, 2 settembre 2008 n. 9985);

-                              e quella della V Sezione del Consiglio di Stato (n. 1605 del 14 aprile 2008) che ha espressamente rilevato la non condivisibilità di soluzioni sostanzialmente conformi alla pronunzia della Corte di cassazione (applicazione dell’art. 50 cod.proc.civ.) argomentando come la sentenza che declina la giurisdizione deve indicare il giudice che la ha, ma non può però statuire sulle modalità della riassunzione e sulla conservazione degli effetti della domanda, trattandosi di questioni che vanno esaminate dal giudice ad quem.

        Sotto tale angolazione, stante la chiarezza e vincolatività del percorso argomentativo posto a base della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 30 cit. (che ha escluso espressamente la possibilità di applicare l’art. 50 c.p.c. al processo amministrativo ritenendo espressiva di una scelta di fondo rimessa alla discrezionalità del legislatore l’individuazione della disciplina della riassunzione), la Sezione ha espressamente ritenuto non condivisibile l’orientamento giurisprudenziale che in sede di declinatoria della giurisdizione non si limiti ad indicare il giudice avente giurisdizione, ma affermi anche direttamente la conservazione degli effetti della domanda.

        A tale ultimo orientamento si è ispirata la pronunzia n. 614 dell’8 maggio 2008 di questo Tribunale che, all’esito di un’attenta rassegna dei principi contenuti nella pronuncia della Corte costituzionale n. 77/2007, esclude l’esistenza di una qualche attribuzione al giudice amministrativo del potere di dichiarare in positivo, con statuizione destinata a formare giudicato, la giurisdizione di altro giudice, ordinario o speciale, non risultando siffatto potere desumibile, nell’attuale contesto, da alcuna esplicita previsione di legge, né dal complessivo quadro normativo vigente per la regolazione del sistema di tutela giurisdizionale, che, viceversa, riserva, in base al dettato degli artt. 111 Cost., 382, 362 e 368 c.p.c., ogni statuizione positiva sulla spettanza della giurisdizione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

        La sentenza, peraltro, indaga anche in ordine al valore della mera affermazione, eventualmente contenuta nella parte motivazionale delle pronunce declinatorie di giurisdizione, di salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice che declina la giurisdizione anche nel processo da proseguirsi davanti al giudice che ne è munito e conclude nel senso che siffatta affermazione non può interferire né pregiudicare l’accertamento giurisdizionale concreto spettante al giudice ad quem su quali degli effetti, cui l’atto introduttivo del giudizio è astrattamente idoneo secondo legge, si siano realmente prodotti e quali siano stati invece travolti o siano decaduti, trattandosi oltretutto di accertamento che il giudice ordinario è sempre tenuto a compiere ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p.c. (e lo era anche in epoca antecedente alla sentenza Corte Cost.le n. 77/2007) e che può coinvolgere posizioni di terzi, dunque necessita della previa integrazione del contraddittorio ed in definitiva appartiene alla sfera del sindacato di merito sulla ammissibilità e fondatezza della domanda.

        La sentenza conclude nel senso che il controverso passaggio motivazionale non può esser considerato idoneo ad acquistare efficacia di cosa giudicata (o comunque vincolante) sulla concreta produzione di ciascuno degli effetti sostanziali e processuali della domanda, ma che tuttavia tale inciso si rende necessario nella sentenza declinatoria di giurisdizione per consentire la piena e sicura attuazione del principio di conservazione degli effetti della domanda anche nei casi di trasmigrazione del giudizio per questioni di giurisdizione, affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2007.

        4.2. Con riferimento, invece, alle ipotesi nelle quali il giudice amministrativo sia investito della controversia a seguito della declinatoria di altro giudice (usualmente il giudice ordinario) deve segnalarsi T.A.R. Sardegna 13 marzo 2008 n. 452 che ha ritenuto l’operatività della translatio judicii anche nell’ipotesi in cui il giudizio introdotto di fronte al giudice ordinario debba proseguire davanti a quello amministrativo, quantomeno laddove la situazione soggettiva azionata abbia consistenza di diritto soggettivo come nel caso all’esame. Il Collegio ha invece, volutamente, evitato di prendere posizione con riferimento alle ipotesi nelle quali la situazione controversa abbia natura di interesse legittimo, osservando che in tale evenienza i principi del giusto processo e dell’economia processuale (posti a fondamento della translatio judicii) potrebbero assumere valenza recessiva di fronte a valori dell’ordinamento altrettanto pregnanti, quali quelli facenti capo al principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico a salvaguardia dei quali è posta la regola dei termini brevi di impugnazione dei provvedimenti amministrativi: valori che potrebbero restare pregiudicati dalla proposizione dell’azione di fronte ad un giudice privo del potere di incidere sugli atti espressione di pubbliche potestà. E ciò, vieppiù, in un contesto in cui, affermata l’operatività della translatio judicii anche fra ordini giudiziari diversi, resta, tuttavia, ancora indeterminata la disciplina in base a cui regolare modalità e termini della riassunzione del processo.

    In tema, nella relazione dell’anno scorso, avevo menzionato la sentenza di questo Tribunale n. 2254 del 24 ottobre 2007, con la quale è stato dichiarato irricevibile un ricorso proposto in data successiva al 15 settembre 2000 sia innanzi al giudice ordinario che a quello amministrativo, in quanto, in tal caso, il termine posto perentoriamente dall’art. 69, comma 7, del D.leg.vo 30 marzo 2000, n. 165, non è stato rispettato ed il principio della translatio judicii non è stato ritenuto utile ad impedire la decadenza dall’azione. Si è infatti ritenuto che ammettendo la tempestività dell’azione in conseguenza della proposizione della azione medesima innanzi al giudice ordinario senza limiti di tempo, si sarebbe arrivati alla creazione di un meccanismo di facile elusione del termine decadenziale de quo, in quanto sarebbe sufficiente proporre, nel rispetto del termine di prescrizione del diritto, azione innanzi al giudice ordinario, per ottenere, successivamente alla pronuncia del difetto di giurisdizione, la definizione da parte del giudice amministrativo delle controversie attinenti a questioni relative al periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998, seppur instaurate in data successiva al 15 settembre 2000.

    Più recentemente, con sentenza n. 85 del 15 gennaio 2009 (ma deliberata nell’anno 2008 e resa in controversia attinente la materia concorsuale), questo Tribunale ha ritenuto che il principio della salvezza degli effetti sostanziali della domanda proposta davanti al giudice preventivamente adito sfornito di giurisdizione, predicato dalla sentenza n. 77/2007 della Corte costituzionale, non risulterebbe, da solo, sufficiente per ritenere tempestiva l’impugnazione ritualmente proposta secondo le regole processuali del rito lavoristico, ma oltre i sessanta giorni decorrenti dalla pubblicazione della graduatoria, ove si dovesse assumere quale parametro di riferimento tale termine di decadenza.

 Osserva sul punto la sentenza che la soluzione prefigurata dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 77/2007 risolve agevolmente – e senza ingiusta penalizzazione per la parte – gli inconvenienti derivanti dall’incertezza sulla regola di riparto nel caso opposto a quello in esame (essendo comunque l’accesso alla giurisdizione amministrativa di regola subordinato al rispetto del termine di decadenza: certamente più breve di quello previsto per l’introduzione del giudizio lavoristico).

Nell’ipotesi, invece, in cui sia stato preventivamente (ed erroneamente) adito il giudice ordinario, ritenere che la salvezza degli effetti processuali della domanda salvi la tempestività dell’azione solo qualora la domanda stessa sia stata originariamente proposta davanti al giudice ordinario nel termine di sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto, rischia di essere una soluzione non in linea con la ratio della pronunzia costituzionale.

Affermare il principio costituzionale per cui il cittadino (attore o ricorrente) non risponde dell’“erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione”, ha infatti un senso compiuto solo ove si completi l’affermazione, nel caso concreto, con il rilievo che egli non possa essere chiamato a rispondere, con la “vanificazione della tutela giurisdizionale” della connessa scelta del rito (purché, beninteso, l’azione preventivamente proposta sia tempestiva sulla base del rito del giudice adito).

Il Collegio ha quindi ritenuto di poter considerare ammissibile l’impugnativa ritualmente proposta avanti al giudice ordinario, pur successivamente alla scadenza del termine decadenziale di sessanta giorni previsto dall’art. 21, primo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

In ogni caso, il Collegio ha rilevato che la tempestività del ricorso poteva essere affermata anche sulla base del distinto istituto di diritto processuale amministrativo dell’”errore scusabile”, invocato dalla parte ricorrente, che ben può trovare applicazione in ipotesi di obiettiva incertezza derivante dall’applicazione della regola di riparto (da cui discende, evidentemente, la corrispondente incertezza sul rito), purché – come è avvenuto nel caso di specie – la causa venga riproposta davanti al giudice fornito di giurisdizione nel termine di sei mesi dalla comunicazione della declaratoria di difetto di giurisdizione, ai sensi dell’art. 50 c.p.c. (Consiglio di Stato, VI, decisione 19 giugno 2008 n. 3065).

5. Nel corso dell’anno 2008 sembrerebbe essersi avviato a composizione il contrasto di orientamenti in tema di giurisdizione sulla sorte del contratto - in caso di annullamento dell’aggiudicazione e/o della procedura di scelta del contraente che ha condotto alla stipula dello stesso - del quale avevo dato conto nella precedente relazione, venutosi a creare tra il giudice amministrativo - secondo il cui pacifico orientamento la giurisdizione esclusiva in tema di procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture si estende anche, in caso di annullamento dell’aggiudicazione e/o della procedura di scelta del contraente, alla sorte del contratto nel frattempo stipulato - e le Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 27169 del 28 dicembre 2007, n. 10443 del 23 aprile 2008 e n. 19805 del 18 luglio 2008) - secondo le quali spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o l'annullamento del contratto di appalto, a seguito dell'annullamento della delibera di scelta dell'altro contraente.

E ciò pur in presenza di una diversa posizione assunta dalla I Sezione della Corte, che ha riproposto la tesi della caducazione automatica del contratto in virtù del venir meno, in via giurisdizionale o amministrativa, degli atti della serie procedimentale, tesi propugnata dal Giudice Amministrativo.

In particolare con la sentenza n. 3185 dell’11 febbraio 2008 la I Sezione esclude la configurabilità del recesso dell’ente appaltante, dopo che sia intervenuto l’annullamento dell’aggiudicazione, rilevando che il recesso presuppone l'esistenza di un contratto di appalto valido ed operante e che, invece, nel caso di annullamento da parte del giudice amministrativo dell’atto di aggiudicazione, stante il carattere retroattivo dell'annullamento, il contratto d'appalto deve considerarsi come mai venuto ad esistenza.

Con la sentenza n. 9906 del 15 aprile 2008 la medesima Sezione rigetta il ricorso diretto ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’amministrazione, precisando che il contratto d’appalto è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento di aggiudicazione, cui è inscindibilmente collegato, e a “restare automaticamente e immediatamente caducato, senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro dell'amministrazione, in conseguenza della pronunciata inefficacia del provvedimento amministrativo ex tunc, travolto dall'annullamento giurisdizionale” che “segna, in via retroattiva, la carenza di uno dei presupposti di efficacia del contratto, che, pertanto, resta definitivamente privato dei suoi effetti giuridici”. La Sezione precisa anche che la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, degli atti attraverso i quali si è formata in concreto la volontà contrattuale dell'amministrazione, invero, priva quest'ultima della legittimazione a negoziare, cosicché l'organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo volontà dell’amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o l'aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato iniure, privo della legittimazione che gli è stata conferita dai precedenti atti amministrativi.

Sul versante della giurisprudenza amministrativa è dato rilevare un duplice intervento in materia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le decisioni n. 9 del 30 luglio 2008 e n. 12 del 21 novembre 2008, ha avuto modo di affermare che:

-                              sussiste la giurisdizione ordinaria sulla domanda volta ad ottenere, con efficacia di giudicato, l'accertamento dell'inefficacia del contratto, la cui aggiudicazione sia stata annullata dal giudice amministrativo, restando in tal modo estranea alla cognizione del giudice amministrativo la domanda di reintegrazione in forma specifica, pure prevista insieme al risarcimento per equivalente dall'art. 35, d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, l. n. 205/2000. E ciò sul presupposto che nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo fissata dall'art. 244, d.lgs. n. 163/2006 rientrano le sole controversie inerenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, con esclusione di ogni domanda che attenga alla fase dell'esecuzione dei relativi contratti, e che, quindi, alla domanda di annullamento dell'aggiudicazione può conseguire solo il risarcimento del danno per equivalente, ma non anche la reintegrazione in forma specifica che - incidendo necessariamente sul contratto e, quindi, sulla fase negoziale e sui diritti soggettivi - esulerebbe dai poteri giurisdizionali amministrativi;

-                      la sostituzione dell'aggiudicatario, quale "reintegrazione in forma specifica" del ricorrente vittorioso che ha ottenuto la statuizione di annullamento, appartiene agli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, che rimangono comunque salvi dopo la pronunzia emanata nel giudizio di legittimità. E di questi provvedimenti il giudice amministrativo conosce senz’altro nella sede dell'ottemperanza perché appartengono alle condotte materiali e all'adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto, che l'amministrazione è tenuta a realizzare nel dare esecuzione al giudicato e ripristinare le ragioni del ricorrente in conformità alle statuizioni dell'annullamento (per analoga soluzione già Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2008 n. 796, per il quale “ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sulla sorte del contratto, l'eventuale nullità o inefficacia del contratto stipulato può comunque essere valutata incidenter tantum dall'amministrazione chiamata a dare esecuzione al giudicato e, di conseguenza, può essere incidentalmente valutata dal giudice amministrativo in sede di ottemperanza, in quanto in tale sede egli si sostituisce all'amministrazione rimasta inerte ed esercita una giurisdizione di merito”).

        La giurisprudenza di primo grado, formatasi negli ultimi mesi del 2008, dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria, risulta aver aderito alle direttive tracciate dalla decisione n. 9 citata, declinando la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, ma pur sempre ribadendo che l'aggiudicazione della gara alla parte ricorrente vittoriosa, ricorrendone i presupposti necessari, costituisce un obbligo conformativo derivante dalla sentenza amministrativa (così T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 2 settembre 2008 nn. 9991 e 9992; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 27 ottobre 2008 n. 554, T.A.R. Umbria, 31 ottobre 2008 n. 694; T.A.R. Piemonte, 5 novembre 2008 n. 2770).

        6. Sempre più aperta, ed anzi trasformatasi in vera e propria occasione di scontro tra le giurisdizioni, appare invece la tematica relativa alla c.d. pregiudizialità amministrativa. Nel corso del 2008 si è infatti ripetuto il contrasto già emerso tra l’orientamento della Corte di cassazione, che esclude che la domanda risarcitoria per i danni causati da un provvedimento illegittimo debba necessariamente presupporre il previo annullamento dell’atto amministrativo lesivo (Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660) e il Consiglio di Stato, che ha invece tenuto ferma la tesi della pregiudiziale (Cons. St., Ad. Plen., 22 ottobre 2007 n. 12).

    Da un lato la Corte di cassazione ha ribadito sia la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento illegittimo sia l’esclusione della necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell'atto illegittimo e dannoso (Cass., sez. un., 7 gennaio 2008 n. 35; 8 aprile 2008 n. 9040).

    Dall’altro, la prevalente giurisprudenza amministrativa continua ad aderire alla tesi della pregiudiziale (Cons. St., sez. V, 27 maggio 2008 n. 2515; sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967) e ha fornito ulteriori argomentazioni a sostegno di tale tesi, in applicazione della quale le domande risarcitorie sono state spesso respinte nel merito e non dichiarate inammissibili.

È stato infatti ritenuto che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato (o tardivamente impugnato) è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo - dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l’osservanza ai consociati - ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’amministrazione in esecuzione dell’atto non impugnato. In tale prospettazione, l’applicazione del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa non comporterebbe quindi una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determinerebbe un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento (Cons. St. sez. VI, 19 giugno 2008 n. 3059).

Appare evidente come la reiezione nel merito della domanda risarcitoria sulla base della tesi della pregiudiziale renda più difficile l’attuazione da parte della Corte di Cassazione della possibilità di annullare a norma dell'art. 362, primo comma c.p.c. le sentenze del giudice amministrativo che, non esaminando nel merito la domanda autonoma di risarcimento del danno per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti, costituirebbero un rifiuto di esercizio della giurisdizione (obiter dictum, contenuto nelle citate ordinanze del giugno del 2006).

A fronte di siffatti approdi, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 30254 del 23 dicembre 2008 resa in sede di impugnazione della citata Adunanza Plenaria n. 12/2007, hanno ritenuto – pur a fronte del rigetto del ricorso incidentale e della dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale - di pronunciare, ai sensi dell'art. 363 cod.proc.civ., il seguente principio di diritto:

                "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”.

Si tratta di una reiterazione dell’avvertenza (o, se si preferisce, larvata “minaccia”) già formulata nelle ordinanze n. 13659 e n. 13660 del giugno 2006; e ciò nonostante che l’Adunanza Plenaria, proprio nella decisione n. 12/2007, dopo aver ribadito le considerazioni che l’avevano già indotta alla affermazione della necessità del previo annullamento del provvedimento amministrativo per il successivo conseguimento del risarcimento dei danni discendente dalla sua esecuzione, avesse rilevato come la Corte di cassazione sia vincolata all’osservanza dell’ambito di estensione del suo controllo sulle sentenze della Corte dei conti e del Consiglio di Stato discendente dall’art. 111 Costituzione, riportando l’“avvertimento” operato in tema dalla stessa Corte costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), secondo la quale la Corte di cassazione, “con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione”.

La stessa Adunanza plenaria aveva, per altro, rilevato anche come la Corte Costituzionale abbia espressamente ricordato che ad analogo principio “si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo cod. proc. civ.”, disponendo che “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”.

A questo punto non è dato prevedere quale possa essere il passo successivo di siffatto scontro, non potendosi escludere – quanto meno in linea di principio e salvi i necessari approfondimenti estranei a questa sede – un approdo in Corte Costituzionale eventualmente anche sotto forma di questione di costituzionalità degli articoli del codice di procedura civile, così come applicati dalla Corte di cassazione in ipotesi di eventuale cassazione di decisioni del Consiglio di Stato, per violazione dell’art. 111 Cost..

    Sicuramente è, a questo punto, auspicabile che il legislatore intervenga al più presto sulla materia, novellando adeguatamente la disciplina vigente sì da rimuovere ogni ulteriore motivo di dubbio e scongiurare le inevitabili incertezze interpretative e gli ondeggiamenti giurisprudenziali che possono conseguirne dalla attuale situazione, a tutto discapito della certezza del diritto e quindi, in definitiva, della tutela dei cittadini.

    Peraltro, deve rilevarsi che all’ipotetico abbandono del principio della pregiudiziale amministrativa, pure operato da talune decisioni difformi rispetto all’orientamento della Plenaria (tra le quali possono citarsi C.G.A., 16 settembre 2008 n. 762 e 23 settembre 2008 n. 780; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 24 ottobre 2008 n. 1298), non necessariamente conseguirebbe un risultato univocamente favorevole per il privato; e ciò sotto un duplice profilo:

-                      che all’abbandono della tesi della c.d. pregiudiziale amministrativa potrebbe conseguire la decorrenza del termine di prescrizione non più dall’annullamento dell’atto, ma dalla data dell’illecito e cioè dalla data di adozione dell’atto illegittimo; ed infatti, giacché l’intervenuto annullamento dell’atto amministrativo lesivo non costituirebbe più un presupposto di ammissibilità della domanda risarcitoria, ne deriva il corollario dell’immediato decorso del termine prescrizionale dal momento in cui il danno si sia effettivamente verificato (in termini, C.G.A., 16 settembre 2008 n. 762, cit.). La stessa Cassazione ha, infatti, affermato che in seguito al venir meno della pregiudiziale amministrativa, ossia della necessità che venga proposta prima l’azione di annullamento dell’atto illegittimo e poi la richiesta di indennizzo, il termine di prescrizione dell’azione di risarcimento contro la pubblica amministrazione decorre dalla data dell’illecito e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto lesivo da parte del giudice amministrativo, in quanto l’esistenza dell’atto amministrativo illegittimo non costituisce più un impedimento all’esercizio dell’azione risarcitoria (Cass., sez. un., 8 aprile 2008 n. 9040);

-                              che, attraverso il rinvio operato dall’art. 2056 cod.civ. (anche) al comma secondo dell’art. 1227 cod.civ., possa assumere comunque rilevanza ostativa all’accoglimento della domanda risarcitoria il ritardo con il quale il presunto danneggiato abbia attivati i previsti rimedi giuridici finalizzati alla minimizzazione, se non alla eliminazione, dell’eventuale pregiudizio. In tali termini si è pronunziato C.G.A. 23 settembre 2008 n. 780, cit., che espressamente ricorda come siano state le stesse Sezioni unite della Corte di Cassazione, nelle citt. ordd. n. 13659 e 13660, a chiarire che – in tutti i casi in cui la diligente proposizione e coltivazione dell’impugnazione degli atti lesivi avrebbe potuto evitare il danno ovvero eliderne l’entità – la negligenza del danneggiato anche nell’esperire la tutela giurisdizionale dei propri diritti e interessi possa avere significativa rilevanza sulla definizione nel merito della domanda risarcitoria; la quale, in tali casi, potrà essere in tutto o in parte disattesa alla stregua degli ordinari criteri civilistici di liquidazione del danno risarcibile (tra cui quelli desumibili dal combinato disposto degli artt. 2056 e 1227 cod. civ.).

    La descritta situazione di obbiettiva incertezza e conseguente “fluidità” delle possibili soluzioni, sembra, fatalmente, destinata a provocare non pochi inconvenienti a ricorrenti costretti alla affannosa ricerca di un giudice che si ritenga competente a conoscere di diritti fondamentali come quelli all’attività economica ed al lavoro che da questa consegue.

Non sembra eccessivo invocare un chiarificatore intervento del legislatore, che dirima, anche con una interpretazione autentica della normativa vigente, l’ormai cronica incertezza in materia.

Conclusivamente, attese le inevitabili negative ricadute delle perduranti difficoltà di individuazione certa del giudice titolare della giurisdizione con riferimento a numerose e diversificate fattispecie, non sembra azzardato ipotizzare una modifica della composizione dei Collegi giudicanti delle SS.UU. della Corte di cassazione, quale Giudice regolatore del riparto, prevedendo l’intervento di una rappresentanza della giurisdizione speciale chiamata in causa (giudice amministrativo, giudice contabile, giudice tributario), in forme e con modalità da stabilirsi, onde perseguire il fine – di interesse pubblico – di giungere a soluzioni il più possibile condivise e, come tali, suscettibili di pronta e pacifica adesione da parte della giurisdizione interessata.

Sull’argomento mi permetto di richiamare l’attenzione di studiosi ed operatori del diritto affinché si compia nelle sedi competenti un adeguato approfondimento dal quale possano eventualmente scaturire proposte da sottoporre al legislatore.

7. Lo svolgimento nell’anno 2008 di elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento nazionale ha costituito l’occasione per l’esame, da parte sia del giudice amministrativo che di quello ordinario, della questione relativa alla sussistenza, o meno, di giurisdizione sulle controversie relative alle relative procedure elettorali.

Sul punto il Consiglio di Stato ha ritenuto di dovere assumere due pronunziamenti contrastanti in quanto:

-                          con decisione della Sezione IV (13 marzo 2008 n. 1053), ha ribadito il tradizionale orientamento secondo il quale vi è assoluto difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia avente ad oggetto gli atti, qualificati “politici”, successivi ai decreti di indizione dei comizi elettorali, ferma restando l’autodichìa delle Camere legislative in ordine alla verifica della legittimità delle operazioni elettorali;

-                    con successiva ordinanza cautelare della Sezione V (1 aprile 2008 n. 1744) ha invece affermato che devono ritenersi rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo le questioni attinenti alla ammissione delle liste, ritenendo la natura amministrativa dei relativi atti.

Questo Tribunale, chiamato a pronunziarsi appena qualche giorno dopo la per ultima citata ordinanza cautelare su controversia del tutto analoga a quella oggetto della medesima, ha, invece, motivatamente, preferito ribadire il tradizionale orientamento secondo il quale è riservata a ciascuna Camera la competenza esclusiva in ordine alla verifica di legittimità di tutte le operazioni elettorali, ivi comprese quelle del procedimento preparatorio (sent. n. 441 del 4.04.2008), con ciò anticipando il giudizio della Corte di cassazione (Sez. un., 8 aprile 2008 n. 9151) che, in sede di regolamento di giurisdizione proposto nella medesima controversia che aveva costituito oggetto del pronunziamento cautelare del Consiglio di Stato, ha riaffermato il difetto assoluto di giurisdizione in materia di elezioni politiche, con particolare riguardo all’esclusione dalla competizione elettorale di liste per il rinnovo delle assemblee legislative, precisando che il controllo sulla regolarità di tutte le operazioni elettorali politiche rientra nel potere delle stesse assemblee ai sensi del t.u. 30 marzo 1957 n. 361.

Peraltro va ricordato che il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con ordinanza del 29 maggio 2008 resa su controversia relativa alle elezioni politiche tenutesi nel 2006, ha sollevato questione di costituzionalità degli artt. 23 ed 87 t.u. 30 marzo 1957 n. 361 nella parte in cui non prevedono l’impugnabilità davanti al giudice amministrativo delle decisioni emesse dall’Ufficio elettorale centrale nazionale comportanti l’esclusione di un candidato, o di una lista, dalla competizione elettorale.

Ed invero il C.G.A. - mostrando sostanzialmente di condividere il citato orientamento cautelare del Consiglio di Stato, anticipato da un proprio conforme precedente cautelare (ord. n. 218 del 6 aprile 2006) - prende atto dell’opposto, vincolante, orientamento della Corte di cassazione ma argomenta dal pronunziamento delle Giunte delle elezioni delle due Camere di spogliarsi di ogni cognizione relativa a decisioni sugli atti preparatori del procedimento elettorale dalle quali sia derivata l’esclusione di un candidato o di una lista per dubitare della costituzionalità di un sistema che in concreto privi l’interessato di alcuna tutela giurisdizionale.

8. In occasione delle inaugurazioni dei più recenti anni giudiziari era stata segnalata una norma processuale, nel filone di quelle della legge 205/2000 volte a preordinare corsie “preferenziali” per la trattazione e la definizione di determinate tipologie di controversie: precisamente, l’art. 14 del D.L.vo 20 agosto 2002, n. 190, recante norme di attuazione della legge n. 443/2001, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale. Detta norma risulta oggi sostituita dalle previsioni di cui all’art. 246 del D.L.vo 12 aprile 2006, n.163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

Nei confronti della nuova previsione, relativa all’esclusione della reintegrazione in forma specifica, sostituita esclusivamente dal risarcimento per equivalente, permangono le riserve già formulate nei confronti della norma originaria, per l’ipotizzabile sorgere di fenomeni distorsivi, con imprevedibili ricadute (di segno negativo) sulla finanza pubblica.

Peraltro, un nuovo giudizio immediato in materia di pubblici appalti è stato introdotto dall’art. 20, comma ottavo, d.l. 29 novembre 2008 n. 185 (convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2 (G.U. S.O. n. 14 del 28 gennaio 2009) recante norme straordinarie per la velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale e simmetrica modifica del relativo regime di contenzioso amministrativo che – limitatamente agli interventi inclusi nel quadro strategico nazionale - dovrebbe consentire la conclusione del processo di primo grado in tempi brevissimi; sono infatti previsti:

-                      tempi certi di conoscenza degli atti amministrativi lesivi e di accesso agli atti del procedimento;

-                      un termine, dimezzato rispetto a quello ordinario, di trenta giorni per la proposizione del ricorso al Tribunale amministrativo regionale;

-                  termini più brevi, anche rispetto a quelli dimezzati ex art. 23-bis legge. T.A.R., per la fase di deposito del ricorso (addirittura ancora in corso di notifica) e proposizione di memorie, ricorsi incidentali e motivi aggiunti;

-                  la celebrazione del merito in un’udienza fissata entro quindici giorni dalla scadenza del termine di costituzione di resistente e controinteressati;

-                      la pubblicazione del dispositivo in pubblica udienza e la redazione della sentenza sempre in forma semplificata ai sensi dell’art. 26, l. T.A.R., anche al di fuori dei casi di situazioni manifeste;

-                      la tutela risarcitoria solo per equivalente, se il contratto sia stato nel frattempo stipulato, sulla falsariga di quanto già previsto dall’art. 246, d.lgs. n. 163/2006 per le infrastrutture strategiche;

-                     la fissazione di criteri legali di quantificazione del risarcimento del danno per equivalente, che non potrà comunque eccedere la misura di utile effettivo che il ricorrente avrebbe conseguito se fosse risultato aggiudicatario, desumibile dall'offerta economica presentata in gara (viene, perciò, sconfessato il criterio giurisprudenziale che quantifica il mancato utile nella misura forfettaria del dieci per cento del prezzo base dell’appalto).

A prescindere da qualsiasi valutazione tecnico-processuale delle novità introdotte e della opportunità di interventi settoriali e non coordinati con la disciplina processuale generale, non può non evidenziarsi, allo stato, l’allarme per una nuova misura acceleratoria che, nella sostanziale invarianza di Magistrati, personale di Segreteria e strutture, non potrà che aggravare la nota situazione di intasamento dei ruoli giurisdizionali, con prevedibile conseguente accrescersi dell’arretrato nei settori di contenzioso non destinatari di “corsie preferenziali”.

9. In occasione delle inaugurazioni dei più recenti anni giudiziari avevo anche formulato e ribadito ampie riserve nei confronti delle sempre più praticate scelte legislative di introdurre deroghe alla competenza territoriale dei TT.AA.RR.

            In particolare:

-                      del decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, convertito con legge 17 ottobre 2003, n. 280, recante “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva” - c.d. decreto “salva calcio”, nella parte nella quale, incidendo rilevantemente sulla materia processuale, ha concentrato nel solo T.A.R. del Lazio, sede di Roma, “in via esclusiva”, la competenza in primo grado a decidere le controversie concernenti la legittimità di atti degli organismi operanti nel contesto dell’ordinamento sportivo nazionale: in certo senso “blindando” tale riserva di competenza mediante la previsione della rilevabilità d’ufficio della carenza di potere decisorio dei T.A.R. periferici (in deroga al principio generale, sancito dalla legge sui T.A.R. e confermato dalla legge 205/2000, per cui la incompetenza territoriale del giudice amministrativo di primo grado non può essere rilevata d’ufficio dal giudice adito ma va proposta con eccezione di parte, nei limiti temporali e con le modalità decisorie nella stessa legge previste);

-                      della legge 27 gennaio 2006, n. 21, concernente la conversione, con modificazioni, del D.L. 30 novembre 2005, n. 245, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania, che, all’art. 3, commi 2-bis, ter e quater, ha previsto che in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, c. 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (protezione civile), “la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei conseguenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sede in Roma”, con previsione della rilevabilità d’ufficio di tale nuova incompetenza territoriale dei TT.AA.RR. periferici, con applicazione della nuova disciplina anche ai processi in corso e moratoria delle misure cautelari eventualmente adottate (s’intende, “medio tempore”) da un T.A.R. diverso da quello del Lazio – Roma – dichiarato competente “ex lege”, fin quando quest’ultimo Giudice non provveda alla loro modifica o revoca, su ricorso della parte interessata.

Nel ricordare come la Corte costituzionale, con sentenza n. 237 del 26 giugno 2007 seguita da varie altre pronunzie dello stesso segno, abbia disatteso tutte le questioni di costituzionalità, dedotte da numerosi giudici amministrativi per contrasto con vari precetti costituzionali (quali quelli enunciati negli artt. 3, 24, 25, 125 nella Costituzione nonché nell’art. 23 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana, approvato con R. D.Lgt . 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella L. cost. 26 febbraio 1948, n. 21 e s.m.i.), ritenendo costituzionalmente legittima la scelta operata dal legislatore, non posso non segnalare l’art. 24 del d.d.l. AS n. 1195, recante disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, con il quale si intenderebbe attribuire alla giurisdizione esclusiva del TAR del Lazio (mi sia consentita l’espressione atecnica) “tutte le controversie , anche in relazione alla fase cautelare e alle eventuali questioni risarcitorie, comunque attinenti alle procedure ed ai provvedimenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati concernenti il settore dell’energia” (così nel testo licenziato dalla camera dei Deputati ed oggi all’esame al Senato), estendendo a dette controversie i meccanismi processuali già sperimentati per le controversie “emergenziali”.

Non posso non ripetere quanto già rilevato l’anno scorso, e cioè che siffatto, sempre più praticato, indirizzo legislativo, avallato autorevolmente dal Giudice delle leggi, di concentrare presso il T.A.R. del Lazio – Sede di Roma – svariate tipologie di contenzioso sottratte a quelli che, secondo la Costituzione formale, dovrebbero esserne i giudici naturali – i TT.AA.RR. territoriali – sta progressivamente realizzando, ad avviso di chi vi parla, un mutamento ordinamentale, riflettentesi su quella che suole definirsi la “Costituzione materiale”, consistente, in buona sostanza, in un triplice livello di giurisdizione amministrativa: il Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza; il T.A.R. del Lazio – Sede di Roma – quale giudice di primo grado per le materie considerate di maggiore rilevanza (secondo le scelte legislative cui si è fatto cenno); i TT.AA.RR. territoriali quali giudici di primo grado per le materie ritenute di minor rilievo epperò, fatalmente destinati, se si proseguirà su questa strada, al declino collegato all’esercizio di competenze ritenute “bagattellari”: destino cui si accomunerà probabilmente, in Sicilia, anche quello del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in s.g., privato correlativamente della funzione di appello nei confronti delle controversie trasferite per legge al T.A.R. di Roma.

A questo punto, portando il discorso a più avanzate conseguenze, non può non porsi il problema della opportunità della scelta di mantenere concentrato nella Capitale un sistema di doppio grado di giurisdizione amministrativa, originariamente prefigurato come diffuso in primo grado sul territorio per sovvenire ad esigenze di accessibilità ed economicità del servizio giustizia in favore del cittadino: dando così luogo, in buona sostanza, ad un circuito giurisdizionale elitario quanto a materie trattate ed a soggetti ed interessi coinvolti, quasi sempre di dimensioni rilevanti, anche economicamente, per i quali si realizza un vero e proprio sistema differenziato, quasi una giurisdizione speciale, certamente dissonante rispetto alle tanto conclamate enunciazioni federaliste.

È questo un tema che mi permetto di proporre alla riflessione di giuristi ed operatori della giustizia amministrativa, ma anche degli esponenti politici oggi presenti.

In particolare, non posso non sottoporre all’attenzione degli esponenti politici regionali, e di quelli che comunque ispirano la loro attività politica a principi di difesa e valorizzazione dell’autonomia regionale siciliana, come detta tendenza finisca, come già rilevato, con l’erodere anche le competenze giurisdizionali statutariamente attribuite al Consiglio di Giustizia Amministrativa, il cui ambito di competenze è oggi funzionalmente disegnato su quelle di questo Tribunale.

10. Prima di passare all’esame dell’attuale stato complessivo della giustizia amministrativa, sembra opportuno dare brevemente conto di taluni fra i più significativi indirizzi della giurisprudenza di questo Tribunale amministrativo regionale – Sede di Palermo – quali è dato cogliere dalle pronunce rese nel corso dell’anno 2008.

10.1. - In primo luogo, occorre registrare una copiosa casistica di pronunce in materia di riparto di giurisdizione.

Con sentenza n. 601 dell’8 maggio 2008 è stata dichiarata inammissibile la domanda di annullamento della determinazione che ha provveduto a quantificare l’indennità provvisoria di espropriazione, in ragione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, considerato che le disposizioni normative, anche precedenti all’entrata in vigore del T.U., già attribuivano la giurisdizione in materia indennitaria alla Corte d’appello: ciò è confermato anche dal comma 3 dell’art. 53 del T.U. sulle espropriazioni, in cui si dispone che “resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”. Con la stessa sentenza si è affermato che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla richiesta di risarcimento dei danni per occupazione illegittima, in quanto l’annullamento degli atti della procedura espropriativa, pur eliminando con efficacia ex tunc i provvedimenti ablatori, non determina una ipotesi di carenza assoluta di potere in capo all’Amministrazione tenuto conto che, nel momento in cui quest’ultima ha agito, lo ha fatto esercitando delle prerogative pubblicistiche di cui era titolare, seppure l’esercizio delle stesse sia stato successivamente riconosciuto viziato e vi sia stato l’annullamento degli atti della procedura ablatoria.

Con sentenza n. 890 del 4 luglio 2008 si è affermato che nelle ipotesi in cui la Pubblica amministrazione esercita i poteri di autotutela, annullando o revocando il provvedimento attributivo di un contributo per asseriti vizi di legittimità, il privato è titolare di un interesse legittimo, essendo configurabile l'esercizio di poteri amministrativi — subordinati all'esistenza di un interesse pubblico la cui valutazione è rimessa in via discrezionale alla P.A. — che degradano appunto ad interesse la posizione giuridica soggettiva, con conseguente spettanza della controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Sempre nell’ambito dei profili relativi alla giurisdizione, si segnala la sentenza n.1300 del 24/10/2008 con cui, ai sensi dell'art. 143 comma 1 lett. a), r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso avente ad oggetto l'imposizione di una servitù pubblica finalizzata alla realizzazione di una condotta idrica.

Con sentenza n. 1050 del 4 agosto 2008 si è affermato che “In tema di rapporti intercorrenti tra l'Amministrazione e il funzionario onorario (nella specie, commissario straordinario di una cooperativa) la controversia avente ad oggetto la domanda con la quale il detto funzionario chiede che gli venga liquidata l'indennità rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui manchi una disciplina normativa puntuale del compenso richiesto, con la conseguenza che la sua erogazione è affidata alla valutazione dell'Autorità che ha proceduto all'investitura, con ciò configurandosi, in capo al richiedente, una posizione di interesse legittimo”. (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 marzo 2005 n. 1272, nonché T.A.R. Veneto, Sez. II, 22 maggio 2006 n. 1410).

Si segnalano altresì le seguenti sentenze:

- n. 807 del 16 giugno 2008, con la quale si è precisato che l'art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (già art. 45, comma 17, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), che trasferisce al giudice ordinario le controversie in materie di pubblico impiego privatizzato, fissa il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria, alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al momento storico dell'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia, con la conseguenza che, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all'epoca della sua emanazione, restando irrilevante l'eventuale collegamento dello stesso con altri atti o fatti di epoca anteriore, atteso che il discrimine temporale è dato dal provvedimento finale cui si addebita l'efficacia di determinare la lesione (Cass. Civ., SS.UU., 18 ottobre 2005, n. 20126). E ciò anche allorché l'atto di gestione del rapporto di lavoro sia stato adottato in autotutela ed abbia inciso su precedenti atti amministrativi emessi nel regime pubblicistico previgente, non potendo tale eventualità conferire una connotazione pubblicistica e provvedimentale all'atto, tale da sottrarlo alla previsione generale della giurisdizione del G.O. (Cass. Civ., SS.UU., 13 dicembre 2007, n. 26086; cfr., altresì, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 19 marzo 2007, n. 2363; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 aprile 2007 , n. 3563), ancorché il credito vantato risulti riferibile ad un periodo di servizio antecedente. Anche in questo caso, infatti, deve farsi riferimento al momento della realizzazione del fatto dannoso, al pari di quanto previsto nelle situazioni in cui la questione dedotta in giudizio tragga origine da un comportamento dell'amministrazione caratterizzato da permanenza, nelle quali, ove la cessazione della permanenza della condotta intervenga in data successiva al 30 giugno 1998, la controversia rientrerà nella giurisdizione del giudice ordinario;

- n. 311 del 7 marzo 2008, con la quale, in relazione all’impugnativa di provvedimento di rilascio di suolo pubblico, si è affermato che, trattandosi di provvedimento autoritativo (di autotutela possessoria juris publici), che trova la sua base normativa negli artt. 823 e 825 Cod. civ. e negli artt. 378 L. 20 marzo 1865, n.2248 all. F e 15 D.L. Lgt. 1 settembre 1918, n. 1446, confermato dall'art. 20 R.D. 15 novembre 1923, n. 2506, volto alla tutela della pubblica viabilità a fronte del quale la posizione dei ricorrenti è di interesse legittimo, la cognizione della controversia rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo;

- n. 538 del 24 aprile 2008, con la quale si è ritenuto, pur a seguito della sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale, di attrarre nell’ambito della giurisdizione esclusiva ex art. 33 del D. Lgs. 80/1998 una controversia avente ad oggetto gli atti di un procedimento relativo all’amministrazione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di cui all’art. 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in base alla considerazione che trattasi di un tipico settore del diritto pubblico dell’economia nel quale lo Stato interviene non con misure meramente regolatorie, ma con interventi direttamente incidenti sulla dinamica delle relative relazioni economiche, per evidenti obiettivi di politica economica. In particolare, finalità della normativa speciale di riferimento è quella di agevolare, anche mediante l’approntamento di idonee forme di garanzia che si aggiungono a quelle ordinariamente previste dal diritto comune, l’erogazione del credito alle piccole e medie imprese, in modo da consentire loro l’accesso ai circuiti finanziari pur a fronte del rischio d’insolvenza;

- n. 20 del 9 gennaio 2008, (seguita da numerose altre sentenze) con la quale si è affermato che, mentre le questioni volte ad ottenere la concessione di un pubblico finanziamento, attenendo a posizioni d’interesse legittimo, ricevono tutela nell’ambito della giurisdizione amministrativa di legittimità, una volta che lo stesso sia stato riconosciuto e la relativa somma sia stata integralmente o parzialmente corrisposta, la contestazione di provvedimenti di revoca, finendo con l’incidere su posizioni di diritto soggettivo, trova la sua sede naturale presso il giudice ordinario;

- n. 614 dell’8 maggio 2008, con la quale si è osservato che, anche dopo la sentenza Corte Cost. n. 77/2007, il principio della “translatio judicii” non può diventare strumento per aggirare termini decadenziali o di prescrizione o altre carenze di condizioni dell’azione giurisdizionale; la sentenza declinatoria della giurisdizione non deve statuire sugli effetti sostanziali e processuali della domanda, poiché di tali effetti deve occuparsi il giudice ad quem nell’esercizio della funzione giurisdizionale di cui è titolare. Non è dato, quindi, al giudice amministrativo, che si spoglia della giurisdizione, applicare analogicamente l’art. 50 c.p.c., assegnando alle parti un termine per la riassunzione del giudizio davanti al giudice cui la giurisdizione spetta, né comminare la sanzione della decadenza dall’azione o dell’estinzione del giudizio per il superamento del termine semestrale ivi previsto;

- n. 602 del 6 maggio 2008, con la quale, a seguito della sentenza n. 77 del 2007 della Corte costituzionale – riguardante la c.d. traslatio judicii – si è affermato che è consentito alle parti proseguire il giudizio presso il giudice munito di giurisdizione, con salvezza degli effetti già prodottisi all’atto della proposizione dell’azione avanti al primo giudice. Tuttavia, in mancanza di una disciplina legislativa sul punto, la pronuncia declinatoria della giurisdizione non può che limitarsi ad indicare il giudice che si ritiene munito di giurisdizione, spettando solo a quest’ultimo la decisione in ordine alla conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto, sia per quanto riguarda i profili di merito che di rito;

- n. 250 del 18 febbraio 2008, con la quale si è affermato che sono devolute alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le impugnazioni proposte avverso i provvedimenti di espropriazione o di occupazione d'urgenza delle aree occorrenti per la realizzazione di opere idrauliche, nonché quelli comunque influenti sulla localizzazione dell'opera idraulica o il suo spostamento, indipendentemente dalla ragione che li abbia determinati, quand'anche la stessa non sia strettamente connessa al regime delle acque;

- n. 1782 del 18 dicembre 2008, la quale, in conformità alla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 21 febbraio 2007, ha collegato alla scadenza del termine del 15 settembre 2000 la radicale perdita del diritto a far valere, in qualunque sede, ogni tipo di contenzioso. Una soluzione giustificata facendo leva sull'intendimento legislativo di non coinvolgere il giudice ordinario in controversie relative a rapporti sorti in un periodo nel quale non sussisteva ancora la sua giurisdizione e, al tempo stesso, di non coinvolgere troppo a lungo il giudice amministrativo in una giurisdizione ormai perduta.

10.2. - Risulta ancora abbastanza nutrito il contenzioso in materia di pubblico impiego, comprendente, per un verso, i ricorsi in materia di pubblico impiego propriamente detto proposti anteriormente al trasferimento della giurisdizione in materia al G.O. in forza del D.Lgs. 80/1998; per altro verso i ricorsi relativi alle procedure di concorso e di selezione per l’assunzione alle dipendenza della P.A. o per il conseguimento, all’interno della stessa, di più elevate posizioni per le quali, anche dopo la riforma, persiste - ai sensi dell’art. 63, comma 4, del D.Lvo 165/2001 - la giurisdizione del giudice amministrativo.

I ricorsi del primo gruppo (non di rado, anche assai risalenti, ma per i quali, a seguito dell’apposito avviso di Segreteria, sono state prodotte nuove istanze di fissazione d’udienza ai sensi dell’art. 9 L. 205/2000) hanno riguardato precipuamente richieste di più elevati inquadramenti e di differenze retributive per l’asserito svolgimento di mansioni superiori a quelle proprie della qualifica rivestita, e l’impugnativa di provvedimenti di rigetto di domande di equo indennizzo.

Il filone di contenzioso concernente le procedure latu sensu concorsuali è stato costituito precipuamente: a) da un residuo gruppo dei numerosi ricorsi concernenti sia taluni concorsi pubblici per soli titoli a posti di qualifiche tecniche, indetti dall’Assessorato regionale dei BB.CC.AA. e della P.I. nel 2000 (e le cui graduatorie sono state pubblicate nel 2005); sia la selezione ai sensi dell’art. 16 L. 56/1987 per l’assunzione di 267 operatori tecnici di diversi profili, indetta pure nel 2000 dal predetto Assessorato, ma la cui procedura sembra non sia stata ancora ultimata; b) da ricorsi avverso le graduatorie di selezioni interne per c.d. progressione verticale, indette da enti locali.

Le relative controversie hanno comportato generalmente l’esame di molteplici questioni concernenti sia le disposizioni della relativa lex specialis in tema di requisiti di partecipazione, sia la valutazione dei titoli prodotti dai concorrenti e i punteggi conseguentemente attribuiti.

Con sentenza n. 1158 del 15 settembre 2008, in tema di concorsi a pubblici impieghi, si è affermato che l'equipollenza di un titolo di studio ad un altro deve risultare da un'apposita norma di legge, o deve essere comunque normativamente stabilita, restando escluso che sia rimesso alla p.a. di valutare, volta per volta, se il titolo posseduto e presentato dal candidato sia idoneo a consentire la partecipazione al concorso.

Non sono mancate pronunce che hanno affrontato alcuni peculiari aspetti del contenzioso relativo ai rapporti di pubblico impiego ancora attratti nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo.

Con sentenza n. 892 del 4 luglio 2008, in materia di trattamento economico dei magistrati, ha trovato conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “La corresponsione dell'indennità spettante agli uditori giudiziari assegnati a sede disagiata ai sensi dell'art. 2 comma 4 L. 4 maggio 1998 n. 133 (con la quale si è inteso incentivare la permanenza in servizio di magistrati validi e volenterosi svolgenti le funzioni in sedi sguarnite e disagiate) non richiede la previa individuazione come tale della sede medesima”. (Cfr. T.A.R. Catania, Sez. I, 13 novembre 2001 n. 1943 e 16 maggio 2001 n. 1089).

Per quanto attiene all’indennità economica spettante al personale militare in caso di trasferimento d’autorità, con sentenza n. 577 del 7 maggio 2008 si è affermato che l'orientamento giurisprudenziale formatosi sotto la vigenza dell'art. 1 L. 10 marzo 1987 n 100 — secondo il quale l'indennità di trasferimento d'autorità del militare ad altra sede di servizio sita in un Comune diverso da quello di provenienza era subordinata allo stesso regime giuridico dell'indennità di missione, compresa la distanza chilometrica minima di 10 chilometri tra la nuova e la precedente sede di servizio — non può essere invocato in relazione all'applicazione del sopravvenuto art. 1 L. 29 marzo 2001 n. 86, che disciplina i trasferimenti effettuati dal 1 gennaio 2001, atteso che tale norma non opera più alcun rinvio al regime giuridico dell'indennità di missione, ma si configura quale norma autonomamente regolante il beneficio stesso (Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 aprile 1999 n. 7).

                Particolare attenzione è stata apprestata alla tematica relativa alla rimuneratività del lavoro straordinario espletato dai pubblici dipendenti non contrattualizzati in misura ulteriore rispetto al monte ore assegnato. In adesione al rinnovato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5378 e del C.G.A 8 ottobre 2007, n. 930, con sentenze n.467 e n.468 del 8 aprile 2008 si è affermato che “Gli appartenenti al Corpo della Guardia di finanza ai quali sia stato ordinato lo svolgimento di prestazioni lavorative eccedenti l'ordinario orario di lavoro, hanno diritto al corrispettivo della loro attività che consiste generalmente nel pagamento della relativa retribuzione, nei limiti del monte-ore per il quale vi è la relativa copertura finanziaria, ovvero al riconoscimento solamente di riposi compensativi corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestate, eccedenti il limite del monte-ore retribuibile, da fruirsi compatibilmente con le esigenze di servizio”.

Sulla base di tale orientamento, ormai da ritenersi consolidato alla stregua anche degli indirizzi del Consiglio di Stato e del C.G.A. cit., sono state accolte le opposizioni ai decreti ingiuntivi richiesti dagli appartenenti alla Polizia di Stato per lo svolgimento di lavoro straordinario oltre il monte ore già concesso e non retribuito (tra le tante, sent. 1305/08).

Si segnalano altresì le seguenti sentenze:

- n. 772 del 6 giugno 2008, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento con il quale il dirigente generale del dipartimento interventi infrastrutturali dell’Assessorato regionale dell’agricoltura e delle foreste ha esercitato negativamente il vaglio tutorio sulla delibera di approvazione del regolamento di organizzazione dell’Ente di Sviluppo Agricolo, in considerazione degli ingenti riflessi sulla dotazione organica dell’ESA e, conseguentemente, sulla spesa pubblica regionale, in quanto dalla sua esecuzione derivava l’avanzamento automatico di ben 113 dipendenti provenienti dalla carriera direttiva nella terza fascia dirigenziale;

- n. 944 del 16 luglio 2008, con la quale si è ritenuta legittima la determinazione dell’amministrazione di escludere dalla procedura di stabilizzazione del personale precario coloro che hanno già instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso altra pubblica amministrazione, in quanto la ratio dell’art. 1, comma 558, della legge 26 dicembre 2006, n. 296 non è quella di consentire un accesso privilegiato all’impiego pubblico, magari consentendo una opzione (da parte di chi sia già pubblico dipendente a tempo indeterminato) in favore di un impiego ritenuto maggiormente gradito o conveniente, bensì quella di rendere stabili dei rapporti di lavoro precari, consentendo a chi non lo ha (perché lo avuto fino a quel momento in forma precaria) di accedere ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso la pubblica amministrazione con la quale ha in precedenza intrattenuto la relazione lavorativa priva della sicurezza e della continuità garantite dalla stabilizzazione;

- n. 1151 del 9 settembre 2008, con la quale si è osservato che lo stato di disoccupazione che dà diritto alla fruizione della corrispondente riserva di posti non è escluso dal temporaneo impiego in attività di supplenza (così Consiglio di Stato, sez. II, parere n. 3615/2005), in quanto la ragione che giustifica detta riserva è quella di consentire l’impiego (attraverso l’utile collocazione in graduatoria) di personale privo di stabile occupazione: condizione che non appare smentita, preclusa o superata dall’impiego temporaneo e a termine costituito da incarichi di supplenza;

- n. 1494 del 7 novembre 2008, con la quale si è precisato che, a sensi dell’art. 12 comma 1 del DPR 5.6.1990 n. 147, presupposto necessario per la fruizione dell’indennità per servizi esterni da parte del personale della Guardia di Finanza è che i servizi in questione siano organizzati con turnazioni aventi carattere di stabilità e peridiocità e svolti all’esterno in condizioni di particolare disagio, consistenti nella esposizione agli agenti atmosferici e ai rischi aggiuntivi normalmente connessi alla prestazione del servizio;

- n. 934 del 16 luglio 2008, con la quale si è stabilito che, in caso di riammissione in servizio, non può trovare accoglimento la pretesa di un pubblico dipendente diretta ad essere riassegnato allo stesso ed identico posto ricoperto al momento della cessazione del servizio, stante che la P.A., nell’esercizio dei propri poteri discrezionali ed al fine di garantire il buon andamento della propria attività, ben può trasferire i propri dipendenti da un ufficio ad un altro, senza che questi possano vantare alcuna pretesa giuridicamente tutelabile alla immodificabilità della propria precedente assegnazione, per cui un diritto “al posto” non può essere riconosciuto né ai dipendenti in servizio, né a coloro che hanno subito una illegittima interruzione del rapporto.

Infine, appare opportuno segnalare nel contesto di tale materia, l’esito della questione di legittimità costituzionale sollevata da questo Tribunale con ord. n.170 del 20 giugno 2007 riguardo all’art.3 L.R. 21/2006: con sentenza n. 231 del 27 giugno 2008, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione siciliana 5 dicembre 2006 n. 21, per la parte in cui prevede che anche i magistrati contabili chiamati a far parte di organi collegiali di controllo di enti pubblici regionali debbano essere nominati tra quelli in servizio presso gli uffici della Corte dei conti operanti nel territorio della Regione. La norma censurata, infatti, si presta a ledere l'indipendenza e l'imparzialità dei magistrati della Corte dei conti, dal momento che non solo limita al territorio della Regione la scelta dei magistrati cui affidare l'incarico di revisore, ma conferisce la facoltà di detta scelta all'esclusivo apprezzamento dell'amministrazione regionale siciliana.

10.3. - La materia relativa ai pubblici appalti di lavori, servizi e forniture si caratterizza per un contenzioso assai nutrito, molto complesso e sfaccettato per il sommarsi di problematiche sia processuali che sostanziali, connesse ad una normativa particolarmente articolata e di tutt’altro che agevole ed univoca interpretazione, anche per il sommarsi (o, meglio, il sovrapporsi) di direttive comunitarie, norme statali e norme regionali. Le relative controversie rientrano, com’è noto, nell’ambito di applicazione delle procedure “accelerate” di cui all’art. 4 della legge n. 205/2000 (che ha inserito l’art. 23-bis nella legge n. 1034/1971).

La Corte Costituzionale, con ordinanza 27 giugno 2008 n. 237, ha restituito gli atti al questo Tribunale rimettente in relazione al giudizio di legittimità costituzionale sollevato in ordine all'art. 1 della legge della Regione siciliana 2 agosto 2002, n. 7 e dell'art. 1, comma 6, della l. della Regione siciliana 29 novembre 2005 n. 16. La censura era stata infatti mossa sull’assunto che la norma, nell’individuazione delle offerte "anomale" da escludere, assumerebbe quale criterio il sorteggio, fattore svincolato da qualsivoglia dato economico ed imponderabile, indipendente dalla individuazione di soglie di anomalia e, inoltre, la norma in oggetto lederebbe la libera manifestazione ed esplicazione delle capacità imprenditoriali delle imprese in gara, la cui possibile esclusione dalla medesima discenderebbe da un mero fattore numerico-causale, avulso, in via assoluta, dalle logiche di mercato e dalla qualità dell’offerta. In seguito all'ordinanza di rimessione, la norma censurata è stata modificata dall'art. 1, comma 10, l. della Regione siciliana 21 agosto 2007 n. 20, che ha introdotto una disciplina, in parte diversa, del meccanismo di esclusione automatica delle offerte di maggiore o minor ribasso, precisandone peraltro i criteri di applicazione.

Nei giudizi trattati nel corso del 2008 è andato venendo progressivamente in rilievo, quale normativa di riferimento, il D.L.vo 163/2006 (“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 200/17/CE e 200/18/CE”), in sostituzione della legge-quadro 109/1994 e successive modifiche.

Con sentenza n. 456 dell’8 aprile 2008, in tema di revoca del bando e degli atti successivi, si è affermato che, fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione (momento che, con l'incontro delle volontà delle parti, segna il sorgere di una posizione di diritto soggettivo in capo all'impresa aggiudicataria), rientra nella potestà discrezionale dell'Amministrazione appaltante il potere di disporre la revoca del bando di concorso e degli atti successivi, in presenza di concreti motivi di interesse pubblico, tali da rendere inopportuna o, comunque, da sconsigliare la prosecuzione della gara.

In tema di gara d'appalto, ai sensi dell'art. 75 D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 si è affermato che tra i soggetti, titolari e direttori tecnici dell'impresa, che devono dimostrare il possesso dei requisiti soggettivi ivi indicati, affinché la ditta a cui appartengono possa partecipare alla selezione, rientrano altri direttori, comunque denominati, che siano incaricati di sovrintendere alla realizzazione di particolari lavorazioni a contenuto specialistico, ma da tale interpretazione non può derivare la conseguenza di poter disporre l'esclusione dalla gara di una società solo perché non si sia adeguata all'interpretazione stessa, in mancanza di una chiara indicazione in tal senso del bando e della stessa legge (sentenza n.81 del 21 gennaio 2008).

Si segnalano inoltre le seguenti sentenze:

- n. 15 del 9 gennaio 2008, nella quale si è affermato che, in virtù del principio della immutabilità del soggetto durante la partecipazione alla gara, non è ammessa, pena l’esclusione dalla gara, la modifica della natura giuridica del soggetto partecipante nella fase intercorrente tra la presentazione della domanda di partecipazione e l’eventuale stipula del contratto. Il Collegio ha ritenuto non condivisibile l’orientamento espresso dalla IV sezione del Consiglio di Stato nella decisione 4 ottobre 2007, n. 5197, proprio nella misura in cui estende, in via interpretativa, una facoltà nascente dal contratto, e dunque connessa alla trasmissibilità da un soggetto a un altro della posizione di contraente, alla diversa (non solo strutturalmente) fase della evidenza pubblica, nella quale il dato che l’ordinamento individua come prioritario è l’esigenza di definire e “fissare” oggettivamente e soggettivamente la proposta contrattuale, perché l’amministrazione possa decidere sulla stessa;

- n. 23 del 9 gennaio 2008, nella quale si è affermato che, secondo giurisprudenza consolidata in materia, dalla quale il Collegio non ha ravvisato ragioni per discostarsi, la corretta dichiarazione resa all’atto della presentazione dell’offerta in ordine alle opere che il concorrente si riserva di affidare in subappalto non costituisce di per sé un requisito essenziale per la partecipazione alla gara in quanto essa è solitamente finalizzata a consentire alla ditta partecipante di subappaltare certe opere o servizi puntualmente indicati. Ne deriva che la mancanza di tale dichiarazione comporta l’impossibilità per la ditta partecipante, una volta che dovesse risultare aggiudicataria, di subappaltare le opere (CGA. 13 febbraio 2007 n. 30; T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 17 maggio 2001 n. 740; T.A.R. Sardegna, I, 27 settembre 2007 n. 1764);

- n. 146 del 1° febbraio 2008, nella quale, premesso che la disciplina legislativa di verifica dell’anomalia delle offerte negli appalti di servizi regola un subprocedimento di verifica che, per convenzione, è stato dalla norma collocato in una determinata fase della procedura selettiva, ma non esaurisce le ipotesi di esercizio del relativo potere, la cui causa, come rilevato, è principalmente rivolta ad evitare che l’amministrazione stipuli un contratto a condizioni tali da non soddisfare il sottostante interesse pubblico, si è considerato che, in merito all’estensione del sindacato giurisdizionale sull’esercizio di detto potere, trattasi di sindacato di tipo c.d. debole, cioè limitato ai profili – formali ed estrinseci – afferenti l’eventuale deviazione dai parametri della logica e della razionalità (così, Consiglio di Stato, IV, decisione 6 luglio 2004 n. 5013 e, da ultimo, Consiglio di Stato, IV, decisione 17 settembre 2007 n. 4837, ove l’affermazione per cui è illegittimo il sindacato giurisdizionale esteso al merito amministrativo del giudizio di verifica dell’anomalia delle offerte, in quanto, la discrezionalità che connota il giudizio della stazione appaltante, lascia spazio unicamente ad un eventuale sindacato formale ed estrinseco, rivolto alla verifica del supporto motivazionale della determinazione dell’Amministrazione);

- n. 1096 del 7 agosto 2008, nella quale si è affermato che deve ritenersi legittima l’esclusione da una gara per l’affidamento di lavori di restauro di un dipinto nella Cattedrale di Agrigento, avendo l’Amministrazione, in assenza di un titolo comprovante la specifica idoneità professionale, valutato negativamente il curriculum del ricorrente, ritenendo che un delicato lavoro di restauro di un dipinto su tela non potesse essere effettuato da chi non avesse esperienza al riguardo. L’art. 182, comma 1, lett. c) del decreto legislativo n. 42 del 2004, come novellato dall’art. 4 del D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 156, prevede, infatti, una forma di abilitazione professionale ad eseguire lavori di restauro su beni culturali di natura derogatoria rispetto a quella ordinaria (data dal possesso del diploma);

- n. 880 del 4 luglio 2008 nella quale si è affermato che in tema di gara d'appalto di servizi (nella specie, servizio idrico integrato), la trasformazione in società per azioni dell'originaria azienda consortile, con il mantenimento integrale del capitale sociale in capo ai comuni fondatori e la detenzione da parte di questi del capitale di una delle mandanti dell'associazione temporanea d'imprese partecipante alla gara, non consente di rinvenire nei sindaci un interesse diverso da quello meramente istituzionale (e non già personale dell'amministratore); pertanto, essendo esclusa in radice ogni ipotesi di conflitto di interessi, è ammessa la possibilità per l'impresa partecipata interamente dai comuni di concorrere alla gara, ai sensi dell'art. 113 comma 15 quater T.U. 18 agosto 2000 n. 267;

- n. 13 del 9 gennaio 2008 con la quale si è affermato che, nel corso di un procedimento per l’aggiudicazione di un contratto di appalto di servizi, la trasformazione della forma giuridica di una delle imprese partecipanti, da consorzio in società a responsabilità limitata, comporta l’esclusione della stessa dalla gara, avuto riguardo alle significative conseguenze sostanziali della predetta trasformazione, sia sul piano del mutamento del regime della garanzia patrimoniale, sia in relazione alla stessa struttura imprenditoriale (e al correlato interesse dell’amministrazione a contrarre con un soggetto avente caratteristiche organizzative e dimensionali corrispondenti a quelle rappresentate in sede di gara), non essendo peraltro invocabile in contrario l’art. 35 della legge 11 febbraio 1994, n. 109.

Sempre in tema di requisiti soggettivi per l’ammissione alla gare, di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 554/1999 (regolamento di attuazione della L. 109/1994), è stata ribadita, in parziale difformità dalla decisione n. 596/2006 del C.G.A., l’interpretazione secondo cui le Amministrazioni appaltanti ben possano richiedere, con espressa prescrizione della lex specialis della gara, la produzione delle dichiarazioni circa il possesso dei requisiti soggettivi, oltre che da parte dei “direttori tecnici” (per i quali è espressamente prevista), anche da parte dei responsabili, comunque denominati, delle lavorazioni specialistiche, con la conseguenza che la loro mancata produzione comporterebbe l’esclusione dalla gara. Qualora, però, la lex specialis nulla disponga al riguardo, sarebbe eccessivamente drastica la sanzione dell’esclusione della gara per la mancata produzione di una documentazione non specificamente richiesta, e ciò sulla base solo di un’interpretazione estensiva della norma di legge; sicché in tale ipotesi si è ritenuto che debba essere consentito dal seggio di gara all’impresa interessata di integrare la documentazione prodotta, disponendone l’esclusione solo ove non sia in grado di dimostrare il possesso dei requisiti morali anche in capo ai soggetti incaricati di sovrintendere alle lavorazioni a contenuto specialistico (sent. n. 482/08).

In linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato e del C.G.A., è stata riaffermata la necessità, per i concorrenti costituiti da associazioni temporanee di imprese (A.T.I.), di specificare in sede di gara le lavorazioni e le relative quote che ciascuna delle imprese associate intende eseguire in caso di aggiudicazione (sent. 206/08).

È stata costantemente ribadita l’interpretazione secondo cui l’autocertificazione, che per la partecipazione alle gare d’appalto le imprese devono presentare ai sensi dell’art. 75, comma 1, lett. c), del D.P.R. 554/1999 (ora, art. 38, comma 1, lett. c, D.Lvo 163/2006) in ordine all’inesistenza di condanne penali per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale, deve essere espressamente riferita anche agli amministratori e direttori tecnici dell’impresa (ancorché estranea alla gara) dalla quale la partecipante abbia acquisito un ramo di azienda nel triennio antecedente. Tale interpretazione è stata ora confermata dal C.G.A. (Sez. giurisd., 6 maggio 2008, n. 389, e 29 maggio 2008, n. 471).

                Per quanto attiene in modo specifico agli appalti di servizi, nel 2008 si registra un nutrito contenzioso relativo all’affidamento dei servizi socio-assistenziali di competenza degli enti locali territoriali (assistenza domiciliare agli anziani, assistenza agli alunni diversamente abili frequentanti le scuole pubbliche, etc.): settore per il quale l’art. 15 della L.r. 4/1996 detta una specifica disciplina in parte derogatoria, incentrata sull’affidamento, di regola, mediante trattativa privata a soggetti iscritti nell’apposito albo regionale.

Le relative controversie, che vedono in campo generalmente soggetti costituiti in forma di cooperative o di cooperative sociali, si caratterizzano per il fatto che, essendo la spesa prevalente costituita dalle retribuzioni per il personale, in quanto tale incomprimibile (perché deve corrispondere a quella stabilita dai contratti collettivi di categoria), il confronto tra le varie offerte s’incentra sul c.d. progetto di ciascun concorrente e sugli elementi migliorativi con tale progetto offerti, ciò che non si presta ad un’agevole valutazione oggettiva: d’onde anche in questo settore una accentuata conflittualità, che vede le parti del giudizio contestare i punteggi attribuiti dal seggio di gara siccome asseritamente erronei per difetto (quelli della parte ricorrente) o, rispettivamente, per eccesso (quelli dei soggetti controinteressati).

                In tale contesto, è stato ribadito l’orientamento circa l’illegittimità di clausole del bando volte a porre limitazioni alla partecipazione alle gare per l’affidamento dei predetti servizi, basate sulla localizzazione territoriale dei concorrenti (sent. 44/08 e 290/08).

10.4. – Per quanto riguarda la materia del c.d. diritto di accesso sono da segnalare le seguenti sentenze:

- n. 755 del 6 giugno 2008, nella quale si è osservato che, sebbene il diritto di accesso previsto dall'articolo 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241 sia finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale, attraverso esso non è stato introdotto alcun tipo di azione popolare di controllo generalizzato sull’attività amministrativa, per cui l’accesso deve ritenersi consentito solo a coloro ai quali gli atti, di cui si domanda l’esibizione o l’acquisizione, si riferiscono direttamente o indirettamente e che se ne possono avvalere per la tutela di una posizione giuridicamente rilevante, indipendentemente dal fatto che essa sia da qualificarsi come diritto soggettivo o come interesse legittimo. L’interesse ad agire per l’accesso, ai sensi dell’articolo 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241, quindi, oltre a doversi caratterizzare per i noti requisiti dell’attualità e della concretezza, presuppone in ogni caso in capo al richiedente l’esistenza di una posizione giuridicamente rilevante, astrattamente idonea a rendere utile la pronuncia giurisdizionale volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del diniego opposto dall’Amministrazione;

- n. 1466 del 7 novembre 2008, nella quale si è osservato che, in base all’art. 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241, i partecipanti ad una procedura concorsuale o paraconcorsuale sono titolari del diritto di accesso ai relativi atti, compresi i titoli esibiti dagli altri candidati, in quanto sono portatori di un interesse sicuramente differenziato da quello della generalità degli appartenenti alla comunità, cioè dell'interesse alla regolarità della stessa procedura, in funzione della tutela di una posizione che ha rilevanza giuridica, come quella di partecipante agli esami, nè può essergli opposto un rifiuto motivato con ragioni di riservatezza della sfera giuridica di altri candidati, posto che nella struttura del procedimento concorsuale sono coinvolte, nel necessario giudizio di comparazione, le situazioni di terzi. Si è, inoltre, precisato che tutti gli atti dei candidati ad un concorso, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale di disponibilità dei partecipanti, che non assumono pertanto la veste di controinteressati in senso tecnico in un eventuale giudizio relativo all’accesso ai documenti stessi da parte di altri concorrenti. È, infatti, principio consolidato della giurisprudenza che le domande e i documenti prodotti dai candidati - così come i verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati - sono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa "in radice" l'esigenza di riservatezza a tutela dei terzi, posto che i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza (cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio, sez. III, 08 luglio 2008 , n. 6450)

10.5 - In tema di esercizio del potere di autotutela, si segnala la sentenza n. 1526 del 20 novembre 2008: ai fini dell'adozione di un atto di recesso conseguenziale ad un'informativa prefettizia resa ai sensi dell'art. 10 D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, si è affermato che l'ambito della valutazione discrezionale della stazione appaltante attiene esclusivamente ai profili relativi alla opportunità dell'ulteriore svolgimento del rapporto contrattuale quali, ad esempio, l'avanzato stato di esecuzione al momento della comunicazione della informativa prefettizia e/o la non surrogabilità dell'impresa aggiudicataria e/o la estrema urgenza dell'esecuzione contrattuale. Il recesso della pubblica amministrazione appaltante, conseguenziale all'informativa prefettizia resa ai sensi dell'art. 10, D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con imprese nei cui confronti emergono sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata: ne consegue che le relative controversie appartengono al giudice amministrativo.

10.6. - Numerose le pronunzie rese anche nella materia elettorale.

Con sentenza n. 1275/2008 è stato dichiarato inammissibile per difetto di notifica il ricorso elettorale non notificato agli organi cui si riferiscono i risultati elettorali, (dei quali viene chiesto l’annullamento), cioè l’Assemblea Regionale Siciliana ed il Presidente della Regione Siciliana (cfr. art. 1 della l.r. n. 29/1951 che dispone la contestualità dell'elezione del Presidente della Regione e dell'Assemblea regionale).

Con sentenza n. 1511 del 10/11/2008 si è affermato che, in tema di elezioni comunali, è inammissibile il ricorso notificato al Comune oltre il termine di dieci giorni previsto dall'art. 83/11, D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, non essendo sanabile l'intempestiva notifica al Comune ancorché esso non sia istituzionalmente l'autorità emanante il provvedimento.

Il Tribunale è stato altresì chiamato a pronunciarsi in ordine ad un ricorso elettorale per le elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008. Con sentenza n. 441 del 04 aprile 2008 il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ritenendosi di aderire al risalente consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione secondo il quale, ai sensi dell'art. 66 Cost., è riservata a ciascuna Camera la competenza esclusiva in ordine alla verifica di legittimità di tutte le operazioni elettorali per le elezioni politiche di che trattasi, ivi comprese quelle del procedimento preparatorio. Nella specie il T.A.R. ha ritenuto di non condividere il diverso, peraltro isolato, orientamento espresso rispettivamente dal Consiglio di Stato (ord. n. 1744/08 Sez. V) e dal C.G.A. (ord. 218/06), considerato che tali ordinanze muovevano dalla qualificazione “amministrativa” degli atti impugnati per affermarne la loro ordinaria assoggettabilità alla giurisdizione generale di legittimità del G.A., senza tuttavia affrontare compiutamente gli effetti del principio di autodichia delle Camere e le relative conseguenze sulla giurisdizione generale di legittimità.

Con sentenza n. 1301 del 24 ottobre 2008, nella quale, in relazione all’art. l’art. 5, comma 4, della l.r. n. 35/1997, si è osservato che la ratio della norma è chiaramente quella di esonerare dal requisito della sottoscrizione le aggregazioni politiche, la cui rappresentatività risulti dal conseguimento di un risultato favorevole – in termini di “gruppi” o di “seggi” - nella “ultima elezione” coinvolgente tutti gli elettori della Regione siciliana. In particolare, si è ritenuto che l’utilizzo da parte del legislatore regionale della disgiuntiva “o” rende esplicito l’intendimento di fare riferimento a due distinte situazioni, le quali non possono, pertanto, che essere considerate in maniera autonoma. Qualora vi sia stata una competizione recentissima, la quale ha dato un risultato utile in termini di seggi, ma non ancora (per ragioni temporali) in termini di gruppi, non possono che prendersi in considerazione due elezioni diverse. Una diversa opzione ermeneutica finirebbe per privare di significato il valore della volontà popolare, quale risultante dalla consultazione elettorale più recente.

Con sentenza n. 1520 dell’11 novembre 2008, si è ribadito il principio fissato dall’A.P. n.10 del 24 ottobre 2005, secondo cui gli atti endoprocedimentali (compreso l’atto di non ammissione di una lista), relativi alle operazioni elettorali per le elezioni comunali, possono essere impugnati solo successivamente all’avvenuta proclamazione degli eletti, nel termine di trenta giorni dall’adozione del relativo atto. Il disposto dell’art. 83/11 del T.U, n. 570/1960, infatti, pone un criterio di accorpamento di tutte le impugnative riferibili allo stesso procedimento elettorale, al fine di consentire lo svolgimento della consultazione nel termine stabilito.

Con sentenza n. 1274 del 17 ottobre 2008 è stato dichiarato inammissibile il ricorso elettorale sia volto a denunciare in sede processuale la revisione di tutte le schede elettorali, o di gran parte di esse, … sia contenente censure dedotte in modo del tutto vago ed ipotetico, in ordine a talune pretese irregolarità delle operazioni di scrutinio; simile impugnativa, infatti, sarebbe di tipo meramente "esplorativo", sostanzialmente diretta a provocare la revisione in sede processuale delle schede elettorali, nella maggior parte delle sezioni, non consentita dalle vigenti disposizioni. Con la stessa pronuncia, il Tribunale ha avuto modo altresì di precisare che spetta comunque al giudice indagare, volta per volta, sulla « attendibilità » delle censure e dei relativi vizi che il ricorrente introduce nel processo, avendo di mira lo scopo di delibare la «serietà » delle richieste attoree, all'evidente fine di impedire che, per via giudiziale, si ottenga quell'inammissibile revisione del procedimento elettorale che costituisce pacificamente il limite insuperabile del giudizio (cfr. anche T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 07 febbraio 2007, n. 213).

Può farsi da ultimo menzione alla sentenza n. 1528 del 25 novembre 2008 con la quale è stato dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il ricorso proposto contro la delibera di un Consiglio provinciale che ha annullato l'elezione del ricorrente per l'accertata sussistenza di una causa di incandidabilità ai sensi della l. 19 marzo 1990 n. 55, appartenendo la materia de qua alla cognizione del giudice ordinario.

10.7. Seppur in numero inferiore rispetto al recente passato, anche nel corso del 2008 sono stati esaminati dei ricorsi relativi alla realizzazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili (in particolare, impianti eolici) in connessione con le problematiche, anche di natura procedimentale, connesse alla tutela dell’ambiente e/o paesaggistica.

In particolare, con la sentenza n. 683 del 27 maggio 2008, si è chiarito che nel caso in cui, ai fini della realizzazione di un parco eolico, non sia stato osservato il modulo procedimentale incentrato sulla conferenza di servizi prevista dall'art. 12, d.lg. 29 dicembre 2003 n. 387, per il rilascio della c.d. autorizzazione unica, la competente Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali deve effettuare la comparazione del bene-paesaggio con gli interessi sottesi alla produzione di energia da fonti rinnovabili e con quelli legati all'iniziativa economica privata.

Il Tribunale, con sentenza n. 1277 del 22 ottobre 2008, ha avuto altresì modo di precisare che ai sensi dell'art. 12, d.lg. 29 dicembre 2003 n. 387, il legislatore ha inteso favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella conferenza di servizi ai fini del rilascio di un'autorizzazione unica; pertanto, sussiste l'obbligo della Regione (nel caso di specie, della Regione Siciliana) di adottare le relative determinazioni, positive o negative, nei modi e nei termini di legge, entro il termine massimo di 180 giorni avente un evidente intento acceleratorio del procedimento, e posto come limite temporale massimo per l'adozione della determinazione conclusiva, qualunque essa sia.

In relazione alla più ampia tematica relativa alla tutela dell’ambiente, e con particolare riferimento alle autorizzazioni per industrie insalubri, con sentenza n. 882 del 4 luglio 2008 si è affermato che il sopraggiungere di nuove forme di disciplina degli impianti e delle installazioni produttive, ai fini del contenimento della emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni, non ha fatto venire meno il potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili e urgenti, ai sensi delle norme speciali di cui agli artt. 216 e 217 T.U. 27 luglio 1934 n. 1265, in presenza di specifici e gravi pericoli per l'incolumità pubblica (che richiedono interventi immediati e non fronteggiabili con il ricorso agli strumenti normali predisposti dall'ordinamento) a condizione però che siano dimostrati, con congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli.

10.8. - Altra materia su cui occorre soffermarsi è quella relativa agli enti locali.

Non sono mancate pronunce relative ai rapporti interni tra i vari organi delle amministrazioni comunali.

Con sent. n. 1062 del 4 agosto 2008 si è rimarcato che il Consiglio Comunale può procedere alla revoca del relativo Presidente solo per motivi istituzionali: “Il ruolo del presidente del Consiglio comunale è strumentale non già all'attuazione di un indirizzo politico di maggioranza, bensì al corretto funzionamento dell'organo stesso e, come tale, non solo è neutrale, ma non può restare soggetto al mutevole atteggiamento fiduciario della maggioranza, indipendentemente dalla circostanza che sia eletto dall'assemblea, dovendo egli sempre operare in modo imparziale a garanzia di tutto il Consiglio e non della sola parte che l'ha designato; pertanto, la revoca dalla carica di presidente non può essere attivata per motivazioni politiche ma solo istituzionali (quali la ripetuta e ingiustificata omissione della convocazione del Consiglio o le ripetute violazioni dello statuto o dei regolamenti comunali): cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006 n. 114, nonché T.A.R. Palermo, Sez. I, 19 aprile 2007 n. 1153 e T.A.R. Salerno, Sez. II, 31 gennaio 2006 n. 47.

Con la medesima ora citata sentenza n. 1062 del 04/08/2008, è stata pertanto ritenuta legittima la previsione di uno statuto comunale che dispone la possibilità di revoca del presidente e del vice presidente del Consiglio Comunale in caso di ripetuta ed ingiustificata omissione della convocazione del consesso o di ripetute violazioni dello statuto o dei regolamenti comunali, in quanto sono eventi che collidono con il ruolo di garanzia affidato a tali figure, giustificando la sanzione della revoca dalla carica che appare misura idonea allo scopo di ripristinare l'equilibrio istituzionale che deve essere assicurato dagli organi in questione.

Con sentenza n. 570 del 7 maggio 2008, in tema di corresponsione agli amministratori comunali dell'indennità di funzione e dei gettoni di presenza, si è affermato che le competenze della giunta e del consiglio comunale non vanno individuate in ragione della natura della prebenda (la prima alla giunta, i secondi al consiglio comunale), bensì con riguardo alla relativa carica: pertanto, rientra nella competenza della sola giunta ogni decisione relativa alla misura dell'indennità da corrispondere al sindaco, al vice sindaco e agli assessori, mentre al consiglio competono sia le questioni delle indennità spettanti al presidente e al vice presidente del consiglio comunale, sia le determinazioni da assumere rispetto al gettone di presenza di pertinenza dei consiglieri comunali. Con la stessa sentenza si è altresì precisato che nel procedere alla diminuzione dell'indennità di funzione spettante (ex lege) al vice presidente, il consiglio comunale non può spingersi fino ad annullarla, attribuendo a quest'ultimo il corrispettivo del gettone di presenza del consigliere comunale, stante la differente natura delle due prebende da corrispondere alle diverse categorie di amministratori, i quali esercitano ruoli, funzioni e responsabilità non sovrapponibili.

Con sentenza n. 321 del 10 marzo 2008, in relazione alla tematica relativa allo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa, si è precisato che ai sensi dell'art. 143 T.U. 18 agosto 2000 n. 267, il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, con conseguente affidamento della gestione dell'ente ad una commissione straordinaria, ben può basarsi anche su circostanze che non denotino il volontario concorso degli amministratori nei fatti in cui si concreta l'infiltrazione mafiosa, essendo sufficiente che a tale fenomeno i titolari degli organi dell'ente non siano stati in grado di opporsi efficacemente essendo all'uopo sufficiente la presenza di sintomatiche disfunzioni nell'agire del comune, delle quali si siano giovati gli interessi della criminalità organizzata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2006 n. 4946, nonché T.A.R. Palermo, Sez. I, 13 gennaio 1999 n. 58 e 4 novembre 2002 n. 3516).

Con sent. n. 881 del 4/07/2008, si è affermato che l'esercizio di poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita (quali i comuni, le province e le città metropolitane), che siano risultati inerti o inadempienti, richiede necessariamente il rispetto di una procedura articolata di garanzia che impone, tra l'altro, la costante osservanza di regole di cooperazione e consultazione con i soggetti inerti o inadempienti.

Con la stessa sentenza si è tuttavia affermato che in Sicilia l'Agenzia Regionale delle Acque e dei Rifiuti (ai sensi dell'art. 7 L. reg. 22 dicembre 2005 n. 19) è titolare di un potere di intervento sostitutivo nei confronti degli enti che operano nello specifico settore di competenza: pertanto, non è ravvisabile alcuna violazione dell'art. 120, Cost., riguardo agli atti con i quali detta Agenzia nomina, in sostituzione del competente Consorzio A.T.O., un Commissario ad acta con il compito di porre in essere i provvedimenti connessi alla procedura di gara per il conferimento del servizio idrico integrato, perché tale Consorzio, quantunque composto da Comuni, non può essere annoverato tra gli enti dotati di «autonomia» costituzionalmente protetta.

Con specifico riferimento alla potere di intervento sostitutivo dell’A.R.R.A. nei confronti dei Comuni - in relazione alla mancata adozione da parte di questi ultimi dei necessari provvedimenti economici di competenza per la partecipazione all’A.T.O. - è da segnalare il recente orientamento espresso dal C.G.A. - in sede cautelare - con ord. 851/08. De iure condendo si rappresenta tuttavia che con L.R.19/08 la suddetta Agenzia, con decorrenza dal 1 gennaio 2010, è stata soppressa e i relativi compiti trasferiti all’Assessorato competente (salvi ulteriori ripensamenti del legislatore regionale da qui alla data di effettiva estinzione della predetta Agenzia).

10.9. - Nell’ambito dell’ampia tematica afferente il processo amministrativo, sono state affrontate numerose problematiche.

In tema di legittimazione attiva, con sentenza n. 842 del 24 giugno 2008 si è affermato che sono legittimati ad impugnare i provvedimenti istitutivi di zone a traffico limitato in un comune (nella specie si trattava del Comune di Palermo, che ha istituito due zone ZTL, denominate "A" e "B"): a) i titolari di imprese commerciali operanti nelle zone oggetto della regolamentazione (in relazione alle quali i detti provvedimenti istitutivi possono determinare uno sviamento nei flussi di accesso della clientela); b) le persone fisiche titolari e/o legali rappresentanti delle stesse imprese (e quindi destinati ad operare nell’ambito delle ZTL); c) singoli cittadini, residenti o meno nelle ZTL, proprietari di autoveicoli che o vengono costretti a dotarsi dei prescritti pass a pagamento o si vedono interdire del tutto l’accesso alle ZTL. Con riferimento a tali categorie di soggetti, appare infatti evidente l’incidenza delle misure in contestazione con primari diritti, anche di ordine costituzionale, quali quello alla libertà di iniziativa economica ed alla libertà di circolazione e la conseguente esistenza di legittimazione ed interesse a ricorre.

Con la stessa sentenza sono state inoltre annullate, siccome illegittime per la mancata preventiva adozione del piano urbano del traffico ex art. 9 co. 9 D.Lgs.285/92, le ordinanze con le quali erano state istituite alcune zone a traffico limitato (ZTL) comportanti l’imposizione dell'obbligo di dotare i veicoli ammessi alla circolazione in dette zone di appositi contrassegni di individuazione a pagamento.

Sempre in tema di legittimazione, per quanto attiene al consorzio di comuni, con sentenza n. 880 del 4 luglio 2008 è stato affermato che non spetta la legittimazione ad agire all'ente consorziato rispetto alle azioni che competono all'ente consortile: nella specie, con riguardo in particolare alla gestione in appalto del servizio idrico integrato, si trattava di azioni relative ai provvedimenti adottati dall'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque della Sicilia nell'esercizio del potere di controllo sostitutivo e il provvedimento di nomina del commissario ad acta, ed annessa proroga.

In tema di poteri decisori del Giudice amministrativo, con decreto presidenziale 16 aprile 2008, n. 403 si è affermato che non può essere accolta la richiesta di emissione di un provvedimento presidenziale d’urgenza, avente ad oggetto un decreto di occupazione d’urgenza emesso nell’ambito di una procedura espropriativa, nel caso in cui l’istanza cautelare sia stata portata a conoscenza del decidente soltanto nella tarda mattinata dello stesso giorno nel pomeriggio del quale è prevista l’immissione in possesso contestata; tale istanza infatti, oltre che porsi in evidente contraddizione temporale con l’asserita urgenza, rende in concreto estremamente difficoltoso il dovuto approfondito esame che deve comunque stare alla base di una attenta e ponderata decisione ancorché di carattere cautelare interinale, attesa la rilevanza degli interessi coinvolti: laddove una maggiore tempestività nella proposizione del ricorso, peraltro nella specie possibile avuto riguardo alla scansione temporale della procedura espropriativa, avrebbe consentito quella necessaria attenta valutazione resa di fatto impossibile dal rilevato comportamento processuale di parte ricorrente

Con sentenza n. 454 dell’8 aprile 2008 sono stati analizzati i tratti differenzianti le (differenti) figure di commissario ad acta nell’ambito rispettivamente dei ricorsi per ottemperanze e avverso il silenzio della P.A.. Si è quindi precisato che mentre in sede di ricorso per ottemperanza, in linea di principio, spetta allo stesso Giudice amministrativo (che esercita giurisdizione di merito) emanare un provvedimento interamente conformativo della fattispecie in relazione al decisum e il commissario ad acta si presenta come un organo del giudice, nel procedimento contro il silenzio di cui all'art. 21 bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034, il Giudice amministrativo (anche dopo le modifiche apportate all'art. 2 L. 7 agosto 1990 n. 241 dalla L. 14 maggio 2005 n. 80) non esercita giurisdizione di merito e il commissario ad acta, nominato ai sensi dell'art. 27 comma 4 T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, va assimilato non già all'omonima figura del procedimento di ottemperanza, bensì alla tradizionale figura del commissario nominato dall'autorità tutoria (o di controllo, o di vigilanza) a rimedio dell'inerzia di un ente locale o altro ente pubblico, trattandosi di un organo straordinario dell'ente e non dell'alter ego del giudice. Ne discende che il commissario ad acta nominato in sede di giudizio contro il silenzio si sostituisce all'amministrazione inadempiente nella perdurante inerzia di quest'ultima, con l'avvertenza che tuttavia, anche una volta intervenuta la nomina di detto commissario, l'amministrazione attiva mantiene - ma fino al momento dell'insediamento del medesimo - il potere di provvedere in via concorrente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 1995 n. 298, in senso contrario, cfr. CGA 4 novembre 2005 n. 726. Cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 2 febbraio 2007 n. 427 e Sez. IV, 10 aprile 2006 n. 1947).

Si segnala altresì la sentenza n. 476 dell’11 aprile 2008, con la quale, in considerazione dei reiterati inadempimenti dell’Amministrazione intimata e della mancata produzione di scritti difensivi da parte dei soggetti in causa e, quindi, della mancata contestazione delle specifiche censure dedotte nel ricorso, il Collegio, onde non frustrare del tutto il diritto di difesa della ricorrente, ha ritenuto fondata l’impugnativa, traendo argomenti di prova da tali inadempimenti nonché dal complessivo comportamento processuale delle parti intimate, secondo il principio desumibile dall’art. 116 c.p.c., che trova fondamento nel diritto di difesa e nella effettività della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi azionati contemplati dagli art. 24 e 113 della Costituzione. Si osserva, infatti, quale ius receptum, che sull'amministrazione (parte necessaria del giudizio amministrativo) incombe un onere di cooperazione leale e concreto con il giudice in ordine all'acquisizione del materiale probatorio in suo possesso o da essa facilmente acquisibile. Pertanto, il comportamento processuale della p.a. che, sottraendosi al predetto onere di cooperazione con il giudice amministrativo, ometta ingiustificatamente di depositare gli atti che da questi le sono stati espressamente richiesti ai fini della decisione della causa, è valutabile, ai sensi dell'art. 116 comma 2 c.p.c., come ammissione dei fatti dedotti a sostegno del ricorso, ove tali conclusioni non siano in contrasto con altri fatti rilevabili dagli atti di causa.

10.10. - Nella materia del risarcimento del danno sono state affrontate numerose problematiche, riassumibili nelle pronunce si seguito riportate.

- Sentenze n. 384/2008 e n. 385/2008: si accoglie la domanda risarcitoria derivante dalla prosecuzione del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti imposta con ordinanza contingibile/urgente con lo stesso canone previsto nel precedente contratto già scaduto e non più remunerativo;

- n. 202 del 7 febbraio 2008, con la quale si è stabilito che, in sede di giudizio di ottemperanza, non è ammissibile avanzare domanda di risarcimento del danno, risultando necessario a tal fine un apposito giudizio cognitorio, preordinato ad accertare i presupposti del diritto al risarcimento;

- n. 436 del 2 aprile 2008, con la quale si è censurata la condotta (ritenuta colposa) dell’Assessorato regionale alla sanità, che aveva ritardato l’attuazione (per oltre un triennio) della pianta organica delle farmacie della città di Palermo, e si è condannata l’Amministrazione a risarcire il danno emergente, consistito nelle spese legali sostenute per affrontare i giudizi resisi necessari per vincere l’inerzia dell’amministrazione, nonché il lucro cessante derivante al ricorrente dal trasferimento di sede, che ha comportato una notevole differenza di utile.

Trattasi di sentenza di particolare rilievo, che ha avuto favorevoli commenti in dottrina, che ne ha sottolineato alcuni profili di rilevante interesse con riguardo alla natura del danno da ritardo in ipotesi di responsabilità di tipo omissivo della pubblica amministrazione, ai caratteri della posizione soggettiva risarcibile, agli elementi necessari a integrare il giudizio di colpevolezza e, da ultimo, al rapporto tra azione sul risarcimento e gli altri rimedi esperibili nell'ambito della giurisdizione generale di legittimità;

- n. 535 del 24 aprile 2008, nella quale il Collegio, conformemente al condiviso orientamento giurisprudenziale richiamato, ha ritenuto che, pur dovendosi escludere la configurabilità della colpa in re ipsa per la sola illegittimità provvedimentale (cfr. Consiglio di Stato, VI, 22 novembre 2006, n. 6834), non si possa chiedere al soggetto danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio, per cui, allo scopo di dimostrare la responsabilità della Amministrazione, possono essere utilizzate le regole di comune esperienza, nonché la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., cosicché il privato danneggiato può invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori ritenute idonee. Sarà, a questo punto, onere dell’Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, il quale è configurabile in varie ipotesi, tra le quali, a titolo esemplificativo, possono citarsi: contrasti giurisprudenziali; formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore; rilevante complessità del fatto; influenza determinante di comportamenti di altri soggetti; illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (nella fattispecie esaminata, si è ritenuto che la condotta lesiva fosse caratterizzata da negligenza, in quanto la Commissione provinciale per la manodopera agricola di Palermo, nel predisporre le graduatorie impugnate, aveva disatteso le diverse circolari assessoriali intervenute specificamente sul punto, che avevano espressamente indicato il corretto criterio normativo da seguire);

- n. 651 del 22 maggio 2008, nella quale, ritenuta sussistente una responsabilità della P.A. per “contatto qualificato”, si è considerato che nel nuovo modello di azione amministrativa introdotto dalla legge n. 241/1990, può assumere rilevanza autonoma, rispetto alla pretesa al conseguimento del bene della vita, l’interesse al rispetto dei canoni di correttezza comportamentale posti alla base della disciplina sul procedimento amministrativo, con la conseguente possibilità di tutelare l'affidamento ingenerato dal rapporto procedimentale intercorso tra Amministrazione e privato, indipendentemente dalla acquisizione della utilità finale. Tali affermazioni ricevono, peraltro, ulteriore sostegno delle innovazioni introdotte in materia di disciplina sul procedimento dalla legge n. 15/2005, la quale, nel modificare l’art. 1 della l. n. 241/1990, ha espressamente introdotto tra i principi generali dell’azione amministrativa, anche quelli di derivazione comunitaria, tra i quali prioritaria importanza assumono i principi di tutela dell’affidamento e di proporzionalità. Nel caso esaminato, il Collegio ha affermato la responsabilità dell’Amministrazione intimata, la cui condotta è stata ritenuta caratterizzata da negligenza, per avere esitato una domanda dopo sei anni dalla sua presentazione, per cui l’interessato non ha potuto ottenere il contributo richiesto per l’intervenuta carenza di fondi disponibili;

- n. 779 del 6 giugno 2008, con la quale un comune è stato condannato a risarcire alla società ricorrente i rilevanti danni causati con il suo atteggiamento dilatorio ed ostruzionistico, specie a fronte dei ripetuti provvedimenti cautelari ed esecutivi adottati dal TAR (e non gravati d'appello). Si è, infatti, considerato che il non avere eseguito tali provvedimenti (posti dall'autorità giurisdizionale proprio per evitare un danno apparso già a quel momento grave ed irreparabile), costringendo la ricorrente a ripetute iniziative giurisdizionali in sede di ottemperanza, dimostra obiettivamente un comportamento negligente e colposo che non può non essere fonte di responsabilità aquiliana. Si è ravvisato, tuttavia, un concorso di colpa da parte della società ricorrente (pari al 50%), nel fatto che la stessa, se avesse chiesto i normali titoli abilitativi, non sarebbe andata incontro, molto probabilmente, a tempi così lunghi e a problematiche complesse come quelle sopra accennate, per cui il Comune è stato chiamato a rispondere dei danni nella misura del 50% dell’ammontare complessivo;

-          n. 1182 del 22 settembre 2008, con la quale si è stabilito che, ai fini della individuazione del soggetto obbligato al risarcimento del danno derivante da occupazione appropriativa, la delega al compimento delle operazioni espropriative delle aree per la costruzione di alloggi di edilizia economica e popolare, svolgendosi la procedura non solo in nome e per conto, ma anche d'intesa con il delegante, non priva quest'ultimo, pur sempre tenuto a promuovere correttamente la procedura ablatoria, dei propri poteri di controllo e di stimolo dell'attività del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio vale a rendere il delegante corresponsabile dell'illecito, sicché spetta a quest'ultimo l'onere di allegare e dimostrare di aver esercitato detti poteri, laddove il fatto stesso della tempestiva mancata emissione del decreto di esproprio nel termine di durata dell'occupazione legittima è sufficiente a far presumere, in assenza di contrarie risultanze processuali, il mancato esercizio di tali poteri.

Si è, inoltre, osservato che l’art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico sugli espropri), consente di ritenere definitivamente superato l’istituto della occupazione appropriativa (C.G.A., Sez. giur., 29 maggio 2008, n. 490), in quanto tale norma prevede che qualora un immobile venga utilizzato per scopi di interesse pubblico e sia stato modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, l'Amministrazione possa acquisirne la proprietà con atto formale di natura ablatoria e discrezionale, risarcendo al privato il relativo danno (cfr., altresì, C.G.A., Sez. giur., 8 ottobre 2007, n. 915). Laddove tra le parti non si raggiunga un accordo in merito al trasferimento della proprietà del fondo irreversibilmente trasformato, deve rimettersi alla Amministrazione resistente la scelta tra la restituzione dell’area (previa sua riduzione in pristino) ed il risarcimento del danno (previa acquisizione del terreno ex art. 43);

- n. 1298 del 2 ottobre 2008, con la quale si è osservato che in tutti i casi di occupazione sine titulo (verificatisi sia prima, che dopo l’entrata in vigore del testo unico) vi è un illecito, l’autore del quale ha l'obbligo di restituire il suolo, oltre a risarcire il danno cagionato, sempreché non venga adottato un espresso atto di acquisizione. Ne deriva che non può ritenersi sussistente un termine quinquennale, decorrente dalla trasformazione irreversibile dell’area o dalla realizzazione dell’opera, decorso il quale si verificherebbe la prescrizione della pretesa risarcitoria, stante che, a parte l’applicabilità della disciplina civile sull’usucapione (per la quale il possesso ultraventennale fa acquistare all’Amministrazione il diritto di proprietà pur in assenza dell’atto di natura ablatoria), l’art. 43 testualmente preclude che l’Amministrazione diventi proprietaria di un bene in assenza di un titolo previsto dalla legge (vedi, in tal senso Consiglio di Stato, V, 21 maggio 2007, n. 258).

10.11. - In materia di diritto allo studio e pubblica istruzione, con sentenza n. 1076 del 4 agosto 2008 si è affermato che “In sede di selezione per l'immatricolazione al corso di laurea specialistica in medicina e chirurgia, è illegittimo il decreto rettorale che destina a studenti non comunitari residenti all'estero alcuni posti che il D.M. 19 giugno 2007 destina invece a studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia e che esclude l'utilizzazione a favore degli studenti comunitari di uno dei posti riservati agli studenti extracomunitari e da questi non utilizzati, atteso che il principio della piena utilizzabilità di tutti i posti resisi vacanti (e tra questi anche quelli destinati agli studenti extracomunitari non residenti in Italia) è quello più aderente ai principi costituzionali enunciati negli artt. 33 e 34 Cost.. (cfr. anche T.A.R. Napoli, Sez. II, 5 agosto 2003 n. 10874, T.A.R. Palermo, Sez. II, 4 agosto 2005 n. 1416.)

Con sentenza n. 97 del 21 gennaio 2008 si è precisato che il diritto dei soggetti capaci e meritevoli di accedere all'istruzione universitaria, al pari di altre libertà e diritti della personalità di rilievo costituzionale, non può essere riconosciuto in modo assoluto e indiscriminato, ma deve trovare necessario contemperamento con altre rilevanti esigenze di pari importanza — quali quella di evitare il sovraffollamento — discendenti da direttive comunitarie. Queste ultime impongono un preciso obbligo di risultato che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere predisponendo misure adeguate a garanzia delle previste qualità teoriche e pratiche dell'apprendimento. Ne deriva che la corretta previsione e disciplina del c.d. numero chiuso non costituisce un'arbitraria limitazione del diritto allo studio, ma una garanzia di qualità d'insegnamento secondo gli standard europei, come imposto dalle norme comunitarie che costituiscono fonti normative vincolanti all'interno dello Stato (in termini T.A.R. Bari, Sez. I, 23 agosto 2006 n. 3051).

In tema di immatricolazione a corsi universitari, con sentenza n. 1071 del 4 agosto 2008 il Tribunale ha chiarito quanto segue: una volta che il contingente degli studenti da immatricolare è scaturito da un adeguato e approfondito iter istruttorio all'esito dell'esatta ricognizione del potenziale formativo disponibile, la P.A. deve utilizzare i posti rimasti liberi; pertanto, nel caso in cui si liberi un posto precedentemente coperto da uno studente che vi ha rinunciato, è illegittimo il diniego alla immatricolazione del ricorrente riguardo al posto resosi vacante.

Si segnalano altresì le seguenti pronunce:

- n. 764 del 6 giugno 2008, (e numerose altre), nella quale si è ribadito il consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale deve ritenersi sussistente il potere statale di limitare l’accesso a taluni corsi universitari (tra cui quello di odontoiatria e protesi dentaria), rinvenendosi la base legislativa di tale potere – in armonia con la riserva relativa ex artt. 33 e 34 Costituzione - nella lettura sistematica dell’articolo 9, comma 4, della detta legge 341/1990 (novellata dalla legge 127/1997), in conformità alle direttive comunitarie in tema di equipollenza, in ambito europeo, dei relativi titoli di studio.

In particolare, è stata richiamata la sentenza n. 383 del 27 novembre 1998, con la quale a Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità costituzionalità sollevata in ordine alla predetta disposizione con riferimento proprio alla base primaria del potere amministrativo di limitazione e della spettanza allo Stato della potestà regolamentare e provvedimentale, osservando che la Costituzione contiene, in materia, una riserva di legge relativa e non assoluta, a valle della quale è ben possibile una potestà regolamentare statale, anche in relazione alla variabilità delle esigenze, non predefinibili a livello legislativo.

Si è, inoltre, osservato che il “numero chiuso” relativamente ad alcuni corsi di laurea ad alto contenuto tecnico-scientifico (quale quello in odontoiatria) è finalizzato anche ad assicurare taluni standards formativi minimi conseguibili solo attraverso la conservazione della giusta e necessaria proporzione tra la capacità ricettiva delle strutture didattiche universitarie e numero degli studenti ammessi a frequentare e partecipare.

Per ciò che concerne alcuni aspetti specifici relativi alla pubblica istruzione, si segnalano le seguenti sentenze:

- n. 50 del 15 gennaio 2008, nella quale si è affermato che, in base al vigente quadro normativo, l’obbligo dell’amministrazione di provvedere al periodico aggiornamento delle graduatorie permanenti per la nomina dei responsabili amministrativi è subordinato al presupposto dell’espletamento di un concorso per titoli ed esami, presupposto che si giustifica con l’esigenza di inserire in graduatoria il personale che abbia superato con esito positivo il predetto concorso;

- n. 52 del 17 gennaio 2008 (seguita da numerose altre decisioni), con la quale si è censurato il comportamento dell’Amministrazione scolastica che, nei confronti degli istituti paritari, aveva disposto la riduzione delle classi collaterali dopo due mesi dall’inizio dell’anno scolastico, osservandosi che la celerità dell’azione amministrativa nella disciplina dello svolgimento dell’anno scolastico ha particolare rilievo proprio in relazione al limitato periodo di tempo che tale azione deve regolare, con la conseguenza che un provvedimento del tipo di quello impugnato si pone in violazione del principio di tempestività ed efficacia dell’azione amministrativa in un settore nel quale il principio della continuità didattica, alla cui tutela sono, anzitutto, interessati gli allievi frequentanti, impone che eventuali provvedimenti incidenti sulla formazione delle classi intervengano il prima possibile e comunque con una solerzia tale da non compromettere il regolare corso delle lezioni;

- n. 550 del 30 aprile 2008, con la quale sono state ritenute manifestamente infondate le questioni di costituzionalità prospettate avverso l’art. 2 della legge n.124 del 1999, nella parte in cui viene previsto, per l’ammissione alla sessione riservata per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, che almeno 180 giorni di servizio debbano decorrere dall’a.s. 1994/95. Si è, al riguardo, considerato che gli artt. 3, 51 e 97 Cost., fissano i principi di eguaglianza, buon andamento ed imparzialità, cui le procedure di selezione per l’accesso all’impiego pubblico devono attenersi, ma non escludono, tuttavia, che con apposite leggi ordinarie, possano stabilirsi requisiti soggettivi specifici ai fini della partecipazione a dette procedure speciali. La previsione normativa oggetto di contestazione da parte ricorrente si giustifica, infatti, in relazione alla valorizzazione di uno specifico periodo di servizio, connesso ad esperienze didattiche caratterizzate da una certa stabilità e maggiormente prossime all’epoca di conseguimento dell’abilitazione.

Pertanto, la rilevanza dell’esperienza derivante dal servizio svolto durante il periodo considerato e con la decorrenza indicata, stabilita discrezionalmente dalla legge ordinaria, non può ritenersi in contrasto con i principi costituzionali invocati, in quanto connessa ad un’opzione normativa che, da un lato, non prevede per il reclutamento solo la procedura riservata e che, dall’altro, si giustifica, per quest’ultima ed in relazione al detto requisito, per il chiaro intento di valorizzare una formazione professionale connessa ad una certa continuità di servizio.

I menzionati principi costituzionali, non impediscono al legislatore, né all’amministrazione scolastica, di poter indicare requisiti soggettivi specifici per la selezione del personale docente, purché tali requisiti non appaiano manifestamente discriminatori o “ad personam”, e ferma restando sempre l’osservanza del principio della concorsualità, applicato nel caso in questione tanto nel concorso per titoli ed esami, quanto nella procedura riservata;

- n. 826 del 17 giugno 2008, nella quale si è affermato che è illegittima la mancata inclusione nelle graduatorie “trasversali” per il conferimento di supplenze per posti di sostegno nelle scuole secondarie di primo e secondo grado motivata sulla rinuncia a supplenze da conferirsi in base a diversa graduatoria e per una differente e speciale disciplina e attività didattica, atteso che l’inclusione delle ricorrenti negli elenchi di cui all’art. 5, comma undicesimo, dell’O.M. 371/94 doveva discendere dall’originaria (e illegittimamente omessa) inclusione delle medesime nella graduatoria provinciale per le attività didattiche di sostegno nelle scuole medie. Nel caso esaminato, si è, quindi, ritenuto che la mancata inclusione delle ricorrenti nelle graduatorie per posti di sostegno ad alunni di scuola media, che doveva avere luogo antecedentemente all’espletamento delle prime convocazioni, integra una patente violazione del principio di imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 della Carta Costituzionale e dall’art. 1 della legge n° 241/1990 e s.m.i., violazione sintomatica dell’eccesso di potere lamentato in impugnativa;

- n. 1773 del 18 dicembre 2008, con la quale è stata annullata la graduatoria per l’insegnamento di strumento musicale, compilata dal Conservatorio di musica, perché ritenuta carente di elementi idonei ad esplicitare l’iter logico seguito nella valutazione delle posizioni e dei titoli dei candidati, tenuto anche conto della genericità della griglia di criteri adottata e della non corrispondenza di tali criteri astrattamente fissati con i punteggi numerici in concreto assegnati.

10.12. - La materia sanitaria è stata caratterizzata da un nutrito contenzioso in relazione alle tematiche connesse all’assegnazione dei budgets di spesa e agli effetti del piano di rientro predisposto dagli organi regionali, che ha comportato una contrazione degli aggregati di spesa.

Con sent. n. 466/08 è stato ribadito quanto già dedotto con le precedenti sentenze nn. 3412, 3413 e 3414 dell’anno 2002 e nn. 2131, 2133 del 2004 con le quali erano stati individuati nella legislazione vigente i seguenti principi:

a) necessità di contenere la spesa per prestazioni sanitarie all’interno delle disponibilità finanziarie disponibili, le quali condizioneranno la quantità ed il livello delle prestazioni erogabili (cfr. Corte Costituzionale n. 416/1995 e 267/1998);

b) “regionalizzazione” della spesa sanitaria, la cui determinazione, e copertura, risulta affidata in via univoca ed esclusiva alla regione dall’art. 83 della l. 23.12.2000 n. 388;

c) distinzione tra competenze attribuite all’amm.ne regionale - alla quale spetta determinare il budget annuale complessivo della spesa del SSN e provvedere alla sua ripartizione tra le Az. UU.SS.LL. operanti nella regione, nonché diramare le direttive di cui al co. 1 dell’art. 8 quinquies del D.Lgs. n. 502/1992 – ed alle Az. UU.SS.LL., alle quali spetta provvedere alla contrattazione con le singole strutture o i singoli sanitari, o con le loro organizzazioni di categoria, in ordine al volume massimo di prestazioni erogabili, al corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate ed a quello relativo ad eventuali prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato;

d) esistenza per i direttori generali delle Az. U.S.L. di insuperabili vincoli di bilancio all’attività di negoziazione con le strutture erogatrici delle prestazioni, ex art. 28 l.r. n. 2/2002;

f) obbligatorietà, anche postuma, della determinazione dei limiti di spesa e dei budget aziendali, in assenza di un diritto soggettivo delle strutture erogatrici di ottenere il rimborso a piè di lista delle prestazioni in concreto erogate agli assistiti.

                Con varie ordinanze collegiali (ex multis ord.n. 1116/08) sono state inoltre rigettate le domande cautelari incidentalmente proposte nel contesto dei ricorsi volti all’annullamento dei provvedimenti regionali (da ultimo D.A.1985/08) relativi alla determinazione dei budget di spesa per il 2008. L’orientamento assunto in prime cure dal Tribunale è stato condiviso anche dal C.G.A., giusta ordinanza n.912/08.

Deve evidenziarsi che il CGA ha inoltre riformato alcune ordinanze di questo T.A.R. (tra le tante: ord. 979/08) con le quali erano state invece limitatamente accolte le domande cautelari inerenti la nuova determinazione (in riduzione) del budget 2007 già definitivamente assegnato (C.G.A. ord. n. 938/08; ord. n. 939/08; ord. n. 1030/08; ord. n. 1169/08).

Sempre nell’ambito della materia sanitaria, si registrano numerosi ricorsi avverso i provvedimenti con cui l’Amministrazione regionale ha disposto, a far data dal 01/01/2007 e nel perseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa sanitaria, l’applicazione degli sconti tariffari sulle fatturazioni delle strutture private che erogano assistenza specialistica in regime di preaccreditamento, conformemente al disposto dell’art. 1, comma 796 lett. o) delle legge n. 296/2006. Ebbene, le relative ordinanze cautelari di accoglimento sono state riformate dal C.G.A. (tra le tante: T.A.R. Palermo, ord. n.473 del 06/05/08 riformata dal C.G.A. con ord. n.841 del 25/09/08). Tuttavia questo Tribunale, rilevato che la norma di riferimento (art. 1, comma 796 lett. o) della legge n. 296/2006) ha già costituito oggetto di alcune questioni di legittimità costituzionale da parte di altri giudici amministrativi (in particolare T.A.R. Lecce, ordinanza n. 27/2008, pubblicata sulla G.U. 20/02/2008 n. 9), considerata la diretta rilevanza della medesima questione, pur senza sollevare autonoma questione di legittimità costituzionale, ha disposto la sospensione dei rispettivi giudizi in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla normativa di riferimento (ordd. n. 192 e n. 193 del 16/7/08 e da ultimo ord. n. 3 del 09/01/2009).

Altro contenzioso alquanto nutrito ha riguardato, in sede cautelare, i provvedimenti concernenti il mancato accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie già in regime di preaccreditamento.

                Possono segnalarsi inoltre le seguenti sentenze:

- n. 107 del 22 gennaio 2008, con la quale si è stabilito che non può ritenersi sussistente un obbligo delle AUSL di accogliere le richieste di autorizzazioni comportanti oneri per la sanità pubblica sulla base della semplice ricorrenza dei requisiti previsti. Al contrario, deve ammettersi che possa aversi un rigetto delle stesse, soprattutto laddove vi siano grossi problemi finanziari;

- n. 355 del 2 marzo 2008, con la quale si è precisato che il decreto assessoriale, con il quale la regione individua il tetto di spesa per un determinato anno finanziario prescinde da qualsiasi contrattazione con le strutture sanitarie pubbliche e private e ha natura autoritativa, involgendo apprezzamenti assolutamente discrezionali della p.a.. É, infatti, assolutamente evidente come non sia nemmeno pensabile che il limite di spesa erogabile dall'ente pubblico in un determinato arco di tempo, legato alle disponibilità finanziarie ed alle esigenze di bilancio, possa formare oggetto di contrattazione con altri soggetti (tra le tante, Cassazione civile, sezione lavoro, 11 gennaio 2007, n. 403).

10.13 - In materia di cittadini extracomunitari il Tribunale è stato particolarmente attento nell’esaminare i relativi ricorsi, stante la delicatezza delle situazioni coinvolte. Si riportano di seguito le pronunce più significative:

- nn. 264 del 26 febbraio 2008 e n. 537 del 24 aprile 2008, nelle quali si è affermato che, in caso di accertamento di rapporto di lavoro avente natura fittizia, la Questura può procedere alla revoca (o al diniego del rinnovo) del permesso di soggiorno, mancando il presupposto essenziale per consentire allo straniero di permanere nel territorio nazionale;

- n. 928 del 16 luglio 2008, nella quale si è affermato che, in base all’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286, l’Amministrazione, in sede di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno, deve valutare i nuovi elementi sopraggiunti che ne consentano il rilascio (in particolare, l’inserimento nel mondo del lavoro del cittadino straniero);

- n. 1784 del 18 dicembre 2008, nella quale, si è affermato che, in base al combinato disposto degli articoli 4 e 5 del D.Lgs. 286/1998, la condanna per uno dei reati di cui all'art. 380 del codice di procedura penale risulta immediatamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno ed in genere alla permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, senza che sul punto possano essere svolte, da parte dell'amministrazione adita per il rinnovo, considerazioni ulteriori e diverse in ordine alla pericolosità sociale del soggetto. Al riguardo, è stata richiamata la sentenza 16 maggio 2008, n. 148, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la q.l.c., sollevata in riferimento agli art. 2, 3, 24 e 97 cost., del combinato disposto dell'art. 4, comma 3, e dell'art. 5, comma 5, del d.lg. 25 luglio 1998 n. 286, in quanto l’automatismo espulsivo costituisce espressione del principio di stretta legalità che informa l'intera disciplina dell'immigrazione e che rappresenta, anche per gli stessi stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di evitare eventuali arbitri da parte dell'autorità amministrativa.

10.14 - In materia di erogazione di contributi pubblici si segnalano le seguenti sentenze:

- n. 780 del 6 giugno 2008, con la quale si è ritenuta legittima la sospensione del procedimento di erogazione dell’aiuto comunitario per la trasformazione di agrumi, essendo stati accertati conferimenti di limoni inesistenti o non ammissibili e considerato che, a norma del Reg. CE 2200/01, ai fini della corretta gestione dei fondi pubblici, agli Stati membri è demandato il compito di effettuare, a intervalli regolari, controlli per accertare il rispetto, da parte delle organizzazioni di produttori, delle condizioni del riconoscimento, e di comminare, in caso di mancato rispetto di tali condizioni, le sanzioni da applicare alle organizzazioni medesime, decidendo, se necessario, la revoca del riconoscimento. Peraltro, in sede nazionale, il D.Lgs. n. 228/2001 ("Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57. "), art. 33, ha disposto che i procedimenti per erogazioni di aiuti comunitari sono sospesi riguardo ai beneficiari nei cui confronti siano pervenute da parte di organismi di accertamento e di controllo, notizie circostanziate di indebite percezioni di erogazioni a carico del bilancio comunitario o nazionale, finché i fatti non siano definitivamente accertati.

- n. 145 del 1° febbraio 2008, con la quale si è ritenuto che legittimamente l’Assessorato reg.le LL.PP., nel formulare la graduatoria dei progetti ammissibili a finanziamento (relativi agli interventi di recupero finalizzati al miglioramento della qualità della vita e dei servizi pubblici urbani nei comuni della Regione siciliana), ha fatto riferimento alla tabella POR., che ha veicolato nel procedimento di che trattasi parametri omogenei a quelli indicati nella deliberazione della Giunta regionale n. 198/2006 che ha individuato gli indici demografici, di disoccupazione, di emigrazione e di reddito medio pro-capite;

- n. 463 dell’8 aprile 2008, nella quale, in ordine al diniego di contributo integrativo all’editoria, si è osservato che la formulazione testuale dell’art. 59, comma 8, della L.r. n. 2/2007 è tale da rendere evidente che l’intenzione del legislatore regionale non era quella di prevedere nuovi contributi da erogare mediante l’attivazione di una procedura concorsuale, ma quella di stanziare somme aggiuntive su un capitolo di spesa rivelatosi inadeguato rispetto alle finalità, con lo stesso perseguite.

- n. 750 del 6 giugno 2008, con la quale si è precisato che dal tenore letterale dell’art. 9, commi VI, VII e VIII, della l.r. 15/05/1991 n. 27 (che prevede la concessione di contributi alle imprese che nei confronti dei propri dipendenti applicano condizioni economiche e normative non inferiori a quelle previste dai vigenti contratti collettivi di categoria), emerge che l’impresa richiedente e beneficiaria dei contributi per le assunzioni deve possedere alla data della richiesta e fino a tutto il periodo di fruizione dei detti contributi, anche ove tale fruizione si protragga oltre le annualità di riferimento per cui i contributi sono stati richiesti, i requisiti di regolarità contributiva, di inquadramento e retribuzione e di rispetto delle norme lavoristiche per tutti i propri dipendenti senza alcuna distinzione tra dipendenti “agevolati” e non;

- n. 1288 del 24 ottobre 2008, con la quale è stato seguito l’orientamento di ritenere legittimi i decreti con i quali l’Assessorato Regionale della Cooperazione, del Commercio, dell’Artigianato e della Pesca aveva annullato precedenti provvedimenti di concessione di contributi per la certificazione del bilancio aziendale 1992, facendo riferimento alla delibera n. 71/1996, con il quale la Corte dei Conti aveva evidenziato l’illegittimità dell’impegno di spesa, che era stato assunto senza quantificare le somme da assegnare alle singole cooperative.

10.15 – In materia di demanio e concessione di beni demaniali, con sentenza n. 582 del 7 maggio 2008, in relazione all’applicazione dell’art.1 L.R. 29 novembre 2005 n. 15 e ss.mm e ii, si è chiarito la norma cit. ha posto una diversa disciplina tra le nuove concessioni demaniali di cui al comma 1 — riguardanti strutture destinate alla diretta fruizione del mare e che sono rilasciate con licenza della durata di sei anni - e le concessioni di cui al comma 3, che — sottostando alle ordinarie regole procedimentali — hanno carattere di transitorietà e costituiscono il rinnovo esaennale di quelle, annuali (art. 3 L. reg. n. 10 del 2007) o quadriennali, in corso di validità al momento dell'entrata in vigore della legge, alle condizioni di cui al medesimo comma 3, non rilevando invece quale carattere differenziale tra i due suddetti tipi di concessione la norma dell'art. 4 comma 3 citata l. reg. n. 15 del 2005, per cui, dopo l'approvazione dei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime, le previsioni di tali strumenti generali prevarranno su tutte le concessioni nel frattempo rilasciate.

Con altra sentenza n. 325 del 10 marzo 2008 il Tribunale ha precisato che pur se è vero che, in Sicilia, le attività e le opere consentite sul demanio marittimo possono essere esercitate e autorizzate solo in conformità alle previsioni di appositi piani di utilizzo delle aree demaniali marittime (PUDM), approvati dall'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, è altrettanto vero che, in fase di prima applicazione e fino all'approvazione dei detti piani è consentito il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime (comma 3), senza delimitazioni di efficacia temporale prestabilite e, a maggior ragione, quindi, è possibile, pur in assenza dei piani, l'ampliamento dello stabilimento senza apposizione di limitazioni temporali di concessioni precedentemente assentite.

Sempre afferente la tematica dei beni demaniali, con sentenza n. 1044 del 31 luglio 2008 si è osservato che i beni del demanio marittimo, di cui all’art. 822 c.c. e all’art. 28 cod. nav., appartengono, data la loro natura, al demanio necessario dello Stato, al quale non possono essere sottratti se non per accadimenti naturali, a seguito di formale procedimento di sdemanializzazione che li accerti e con provvedimento espresso di sdemanializzazione che dia conto di essi: resta esclusa quindi l’ammissibilità di una sdemanializzazione tacita. Inoltre, il silenzio-assenso non è istituto suscettibile di applicazione generalizzata a tutte le fattispecie procedimentali abilitative, ma necessita di apposita previsione normativa, restandone in ogni caso esclusa la configurabilità ogniqualvolta il legislatore abbia attribuito espressamente all’inerzia provvedimentale un significato incompatibile con quello dell’accoglimento dell’istanza. Tale è appunto il caso dell’istanza di sanatoria per il rilascio dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 55 cod. nav.. Quest’ultima disposizione normativa, al terzo comma, stabilisce che “l'autorizzazione si intende negata se entro novanta giorni l'amministrazione non ha accolto la domanda dell'interessato”. L’inerzia provvedimentale sulla domanda di autorizzazione del capo del compartimento marittimo, pertanto, lungi dall’essere qualificabile come abilitante alle opere, al contrario, assume la valenza di un provvedimento di rigetto.

10.16 - Per quanto attiene alla materia urbanistica, con sentenza n. 1251 del 9 ottobre 2008, richiamando precedenti specifici, si è ribadito che ai fini dell'osservanza dell'art. 15, l. reg. Sicilia 12 giugno 1976 n. 78, se è precluso al comune poter estendere, a mezzo di modifiche al p.r.g. già adottato, le zone di esenzione dal vincolo ivi previsto (attraverso la commutazione in zone omogenee "A" e "B" di zone già differentemente qualificate), residua comunque il potere di riconoscere per la prima volta tale qualificazione in sede di (prima) adozione del piano regolatore generale, avendo tuttavia riguardo di dover fare riferimento alla conformazione oggettiva del territorio esistente al momento dell'entrata in vigore della norma.

Con sentenza n. 1373 del 29/10/2008, l’operatività del meccanismo del silenzio-assenso di cui all’art.46 l.r. 17/04 è stato circoscritto, per espressa previsione normativa, ai soli provvedimenti volti all'acquisizione di un provvedimento dell'organo tutorio per la realizzazione di interventi su zone soggette a vincoli paesistici o su immobili di interesse storico-artistico: tra questi non rientra il procedimento ex art.55 l.r. 71/1978 (legge regionale sull’urbanistica). Con la stessa pronuncia, tuttavia, si è precisato che l'art. 55 comma 8, l. reg. Sicilia 27 dicembre 1978 n. 71, limita l'intervento dell'organo tutorio, in presenza dei presupposti di legge, in funzione della tutela di esigenze paesaggistiche ed ambientali, ma non anche sotto il profilo urbanistico.

Per quanto attiene al procedimento per l’approvazione degli strumenti urbanistici, con sentenza n. 380 del 27 marzo 2008, ed ai sensi dell’art. 4 l.r. 71/1978 e art. 6 l.r. 9/1993, si è precisato che i termini assegnati all'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente per l'adozione dei provvedimenti di sua competenza in materia urbanistica (ivi compresi quelli relativi all'esame e all'approvazione del piano regolatore e degli strumenti urbanistici generali e di attuazione) sono perentori e che la richiesta di controdeduzioni inviata dalla regione al comune, ai sensi del citato art. 4 comma 5 — rispondendo ad esigenze proprie dell'ente regionale e non essendo collegata a carenze istruttorie del comune — non impedisce la consumazione dei termini di cui al successivo art. 19: le determinazioni assunte dal detto Assessore successivamente alla scadenza del termine di 180 giorni di cui all'art. 19 comma 2 L. reg. n. 71 del 1978 sono illegittime, data appunto la perentorietà del termine, con la conseguenza che lo strumento urbanistico è divenuto efficace e definitivo secondo la proposta formulata dal comune (cfr., in termini, CGA 22 dicembre 2005 n. 969. Contra, T.A.R. Palermo, Sez. I, 18 aprile 2005 n. 557.)

Sempre in tema di disciplina urbanistica, è stata costantemente ribadita l’interpretazione secondo cui i vincoli di inedificabilità previsti dall’art. 15 della L.r. 12 giugno 1976, n. 78 – in particolare per quanto attiene a quello di inedificabilità assoluta della fascia di 150 metri dalla battigia del mare, a seguito degli intereventi legislativi successivi operano (non soltanto nei confronti dei Comuni in sede di formazione dei nuovi strumenti urbanistici, ma) direttamente anche nei confronti dei soggetti privati (sentenze 1/08 e 287/08);

Inoltre è stato ritenuto che anche nel territorio della Regione Siciliana la durata dei vincoli espropriativi prevista dai piani regolatori generali sia ormai (non più quella decennale, prevista dalla L.r. 38/1973, bensì) quella quinquennale, prevista dall’art. 9, comma 2, del T.U. 327/2001, in forza del recepimento di quest’ultimo ad opera dell’art. 36 della L.r. 7/2002 (sent. 905/08).

Il contenzioso in materia di abusivismo edilizio rimane sostenuto, riflesso di un fenomeno diffuso e persistente che, si può ben dire, non conosce crisi, anche per effetto delle tre successive sanatorie del 1985, del 1994 e del 2003, che sembrano averlo anzi incentivato.

                I filoni di tale contenzioso sono riconducibili a tre ambiti:

                - i ricorsi avverso provvedimenti sanzionatori (generalmente, ingiunzioni di demolizione). Tra questi, non pochi abbastanza risalenti, per i quali è stata presentata nuova domanda di fissazione d’udienza a seguito della comunicazione, da parte della segreteria, della pendenza (allora ultradecennale), ai sensi dell’art. 9 della legge 205/2000);

                - ricorsi avverso provvedimenti di diniego di concessione edilizia in sanatoria;

                - ricorsi avverso provvedimenti di annullamento in autotutela di concessioni edilizie assentite per silenzio-assenso ai sensi dell’art. 2 della l.r. 17/1994.

                È stato quindi costantemente ribadito l’orientamento giurisprudenziale – di questo come di numerosi altri Tribunali Amministrativi Regionali – secondo cui la presentazione di istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della legge 47/1985 (ora, art. 36 del T.U. 6 giugno 2001, n. 380), e in genere di istanza di concessione edilizia in sanatoria, facendo venir meno l’efficacia del provvedimento sanzionatorio, comporta l’improcedibilità (o, a seconda dei casi, l’inammissibilità) del ricorso giurisdizionale proposto avverso detto provvedimento.

                É stato precisato che, in relazione alle domande di concessione edilizia in sanatoria ai sensi della l. 47/1985 e della l.r. 37/1985, grava sul richiedente l’onere della prova circa la data dell’abuso, in relazione al quale è chiesta la sanatoria.

Con sentenza n. 153/2008 si è affermato che l'istituto della concessione edilizia in sanatoria, per accertamento di conformità ex art.13 l. 28 febbraio 1985 n. 47, consente la possibilità di sanare le opere eseguite in assenza di concessione (ovvero in caso di variazioni essenziali e di difformità totale o parziale) e in assenza di autorizzazione, purché l'opera abusiva sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non sia in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera che al momento della presentazione della domanda: essendo, pertanto, condizione della sanatoria la conformità dell'opera sia alle norme vigenti al momento della sua realizzazione, sia a quelle vigenti al momento del rilascio.

Si segnala altresì la sentenza n. 169 del 4 febbraio 2008 con la quale, ai sensi dell'art. 23 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, si è affermato che la dichiarazione di inizio attività in materia edilizia costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire: pertanto, ove l'esecuzione dell'opera non venga interdetta da parte dell'Amministrazione nel previsto termine di trenta giorni oppure non intervenga successivamente un atto di annullamento e/o revoca del provvedimento implicito così formatosi, la dichiarazione del privato, corredata da una relazione di conformità agli strumenti urbanistici vigenti asseverata da apposito professionista, assume valore e consistenza di atto abilitativo dell'intervento progettato e della sua conformità alle norme urbanistiche con l'avvertenza che tuttavia, la detta dichiarazione si configura, da un punto di vista soggettivo, quale atto del privato e, dal punto di vista oggettivo, come semplice comunicazione indirizzata alla pubblica amministrazione circa l'intendimento di realizzare l'attività di interesse per il denunciante, con la conseguenza che gli effetti che vi si ricollegano sono quelli della formazione progressiva di un titolo abilitativo implicito (Cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 22 marzo 2007 n 1409).

In materia edilizia, si segnalano le seguenti sentenze:

- n. 922 del 16 luglio 2008, con la quale si è ribadito che devono ritenersi illegittimi i provvedimenti sanzionatori relativi ad opere edilizie abusive qualora il Comune non si sia previamente ed esplicitamente pronunciato sulla domanda di sanatoria presentata antecedentemente dall'interessato, quantomeno per evitare di vanificare a priori l'interesse al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e, pertanto, l'inconveniente consistente nel demolire o acquisire un'opera per la quale può essere rilasciata la concessione edilizia, nel caso in cui sussistano i presupposti per il suo rilascio;

- n. 596 dell’8 maggio 2008, ove si è affermato che deve ritenersi legittimo il diniego di sanatoria edilizia motivato con riferimento alla aerofotogrammetria, dalla quale l’opera non risultava realizzata alla data del 31 marzo 2003;

- n. 1189 del 22 settembre 2008, nella quale si è affermato che gli atti con i quali viene definita l'entità del contributo dovuto per il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria o dell'oblazione prevista dall’art. 35 primo comma l. 28 febbraio 1985 n. 47, costituiscono manifestazione di attività non discrezionale e non richiedono alcuna particolare motivazione, trattandosi di importi la cui misura è determinata in base alla tabella allegata alla legge ed è individuata in base a semplici calcoli matematici. Si è, altresì, precisato che l'omessa presentazione della documentazione prescritta per la domanda di condono edilizio impedisce il decorso sia del termine di ventiquattro mesi per la formazione del silenzio assenso sia di quello di trentasei mesi per la prescrizione di eventuali crediti a rimborso o a conguaglio dell’oblazione versata (cfr. C.G.A. 19 aprile 2002 n. 199; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 27 novembre 2003, n. 954). Ciò perché il termine di trentasei mesi, stabilito dall’art. 35 L. 28 febbraio 1985 n. 47 (per il conguaglio dell’oblazione, ovvero per il rimborso eventualmente spettante) non decorre prima che la relativa obbligazione possa ritenersi definitivamente accertata in tutti i suoi elementi, e ciò richiede, necessariamente, che la domanda di condono sia completa di tutta la documentazione necessaria anche ai fini della formazione del silenzio-assenso;

- n. 1193 del 22 settembre 2008, con la quale si è ritenuto che una corretta esegesi dell’art. 111 della l.r. 16 aprile 2003, n. 4, secondo cui per le autorizzazioni ad eseguire opere in zone soggette a vincolo paesistico, trascorso il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta il parere si intende reso in senso favorevole, sembra debba valorizzarne al massimo l’aspetto teleologico e così anche la coerenza (logica e pratica) del termine in parola con la pur proclamata formazione del tacito assenso; di guisa che, sebbene il termine di 60 giorni sia testualmente riferito all’esercizio del potere da parte del commissario “ad acta” (ossia alla data di adozione del provvedimento), non di meno la comunicazione del provvedimento all’interessato, non può che avvenire, per l’inevitabile coerenza del termine stesso con l’istituto dell’assenso “per silentium”, nel medesimo termine;

- n. 309 del 7 marzo 2008, con la quale si è ritenuto che, anche alla stregua del dettato dell’art. 21-octies, secondo comma, della legge n°241/1990, come introdotto dalla legge n°15/2005, la mancanza della comunicazione dell’avvio del procedimento di esame della domanda di sanatoria edilizia (non richiesta dalla legge per i procedimenti ad iniziativa di parte) non è suscettibile di inficiare la legittimità del provvedimento finale impugnato, stante che, per la natura vincolata del diniego di condono in caso di mancata ultimazione dell’immobile alla data prevista dalla legge, il contenuto del provvedimento impugnato non potrebbe essere diverso da quello in concreto adottato;

- n. 751 del 6 giugno 2008, nella quale si è affermato che l’attività cui è chiamata l’amministrazione comunale in sede di decisione su istanze di concessione in zone sottoposte a vincoli di P.R.G., come quella in esame, zona di riserva individuata nel P.R.G. quale zona H7, è un’attività vincolata, preordinata alla mera verifica di compatibilità dell’intervento di cui agli elaborati progettuali con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti. Ne deriva che anche la doglianza relativa all’asserita mancata comparazione tra interesse pubblico prevalente e interesse privato non può essere accolta, non sussistendo, nella specie, attività di tipo discrezionale, nè esercizio di poteri di riesame;

- n. 729 del 3 giugno 2008, nella quale si è affermato che, in virtù del disposto dell'art. 43 l. 28 febbraio 1985 n. 47, né l'acquisizione dell'immobile al patrimonio del comune, né la trascrizione del provvedimento sanzionatorio e neppure l'avvenuta immissione nel possesso del bene, costituiscono preclusione al condono edilizio, ostandovi solo la intervenuta demolizione dell'immobile abusivo o la sua effettiva utilizzazione a fini pubblici dopo l'acquisizione, sicché il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha diritto di ottenere, ai sensi dell'art. 39, comma 19, l. 23 dicembre 1994 n. 724, come interpretato dall'art. 24 comma 2 l. 30 aprile 1999 n. 136, l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere ivi realizzate, nonché la cancellazione delle relative trascrizioni, dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Per paralizzare l'istanza di condono edilizio ex l. 724/1994, art. 39, comma 19, la destinazione a fini pubblici dell'immobile abusivo acquisito al patrimonio del comune deve essere concreta ed effettiva e non meramente formale.

Possono ascriversi alla tematica de qua anche le pronunce in tema di installazione di stazioni radio base. Con numerose sentenze (da ultimo, 7 novembre 2008, n. 1464), si è continuato a seguire il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale:

- le valutazioni urbanistiche edilizie sono assorbite nel procedimento delineato dall’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, il quale deve, pertanto, essere ritenuto applicabile nel territorio della Regione siciliana, senza che sia dato distinguere disposizioni in materia di urbanistica e disposizioni in materia di tutela della concorrenza e dell’ambiente;

- la previsione di un unico procedimento autorizzatorio per l'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica è finalizzata a garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione sul territorio nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche, stante che l’intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è quello di consentire la installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico;

- in presenza della specifica previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti, le quali si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale, dell’inquinamento elettromagnetico in generale. Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico;

- ancorché il comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa), in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale.

In materia di strumenti urbanistici, si segnalano inoltre le seguenti sentenze:

- n. 12 del 9 gennaio 2008, con la quale si è osservato che la tradizionale ampiezza del potere discrezionale di cui dispone l’amministrazione in sede di pianificazione urbanistica incontra dei limiti in una serie di ipotesi, individuate da un costante e pacifico indirizzo giurisprudenziale, fra le quali riveste un’importanza non marginale proprio la fattispecie di variante di una disciplina urbanistica, tutte le volte in cui essa incida su assetti che abbiano dato luogo ad affidamenti dei proprietari interessati (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, decisioni 1686/2001 e 6134/2006; sez. VI, decisione 173/2002). Un tale affidamento del privato proprietario, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela, può ravvisarsi non solo nelle ipotesi – richiamate dalla citata decisione n. 1686/2001 - di “convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, oppure da aspettative conseguenti a giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione (cfr. Ad. plen. n. 24 del 1999, cit.; 8 gennaio 1986, n. 1”); ma anche nell’ipotesi di “mutata destinazione urbanistica dell’area di proprietà della ricorrente, in precedenza suscettibile di vocazione edificatoria ed in base alla quale era stata rilasciata la concessione edilizia” (Consiglio di Stato, decisione 6134/2006, cit.);

- n. 477 dell’11 aprile 2008, con la quale si è affermato che, alla luce dei criteri individuati dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza 20 maggio 1999, n. 179), le prescrizioni di piano regolatore soggette a decadenza sono soltanto quelle che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che ne comportano l’inedificabilità e, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio. Pertanto, la previsione di un piano di lottizzazione di iniziativa privata, non comportando un vincolo di inedificabilità assoluta, sebbene vincolo di natura solo conformativa, non è soggetto a scadenza né a limiti temporali d’efficacia (cfr., altresì, T.A.R. Lazio, sez. II bis, 25 maggio 2004, n. 4875; T.A.R. Sicilia, Catania sez. I, 21 aprile 2005, n. 700), atteso che lo ius aedificandi, inerente quale facoltà del diritto dominicale, non viene scorporato, ma viene soltanto subordinato alla formazione di uno strumento attuativo del PRG la cui realizzazione rientra nelle possibilità offerte al proprietario

- n. 653 del 22 maggio 2008, con la quale si è affermato che le scelte effettuate dalla P.A. in sede di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da un'amplissima discrezionalità e costituiscono apprezzamenti di merito, che sono sottratti al sindacato giurisdizionale di legittimità, tranne che siano inficiati da arbitrarietà, irrazionalità od irragionevolezza, ovvero dal travisamento dei fatti in relazione alle esigenze da soddisfare. Conseguentemente le scelte relative alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali tecnico - discrezionali seguiti nell’impostazione del piano stesso (fra le tantissime, a partire da Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 22 dicembre 1999 , n. 24, vedi: Consiglio Stato , IV, 22 giugno 2006, n. 4843; 26 aprile 2006, n. 2291; 26 maggio 2003, n. 2827).

                10.17 - In ordine ai giudizi relativi alle procedure ablatorie continuano a rimanere di dubbia soluzione parecchie delle questioni di giurisdizione aperte dalle note sentenze della Corte Costituzionale n. 204 e 281 del 2004 e n. 191 del 2006, e rese ancora più complesse dai ripetuti interventi della Corte di Cassazione, dalla cui linea interpretativa è non di rado dissonante quella del Consiglio di Stato.

                Alla stregua della (finora) prevalente giurisprudenza, la giurisprudenza di questo Tribunale Amministrativo si è attenuta al criterio per cui spetta al G.O. la cognizione sulle controversie concernenti richieste di risarcimento per occupazione “usurpativa” o correlate a meri “comportamenti” della P.A., mentre rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo quelle concernenti l’illegittima occupazione di beni di proprietà privata conseguente a dichiarazione di pubblica utilità originariamente emanata ma in prosieguo annullata in sede giurisdizionale, ovvero cui non ha fatto seguito l’emanazione del decreto di esproprio o quest’ultimo è stato emanato tardivamente, vale a dire, i casi in cui c’è stato un iniziale esercizio di potere pubblicistico.

In caso di fattispecie riconducibile alla (ormai abolita) occupazione appropriativa, la sentenza n. 1182 del 22 settembre 2008 ha precisato che il trasferimento della proprietà del bene non può collegarsi alla unilaterale volontà del privato di rinunciare al proprio diritto, da ritenersi implicita nella richiesta di liquidazione del danno commisurato alla definitiva perdita della disponibilità del bene, essendo necessaria l'adozione di un espresso decreto di acquisizione sanante da parte della p.a. interessata ai sensi dell'art. 43, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327. Con la stessa sentenza si è altresì precisato che in tema di acquisizione sanante, l'art. 43, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, è applicabile anche alle fattispecie realizzatesi prima della sua entrata in vigore.

10.18 – In tema di attività economiche e produttive si segnalano le seguenti sentenze:

- n. 193 del 7 febbraio 2008, con la quale si è ritenuto che non si potesse dichiarare la decadenza di una concessione mineraria nel caso di obiettiva impossibilità di proseguire l’attività estrattiva;

- n. 732 del 3 giugno 2008, con la quale, a proposito di impugnativa di diniego di autorizzazione all’apertura di cava, si è precisato che, ai sensi dell’art. 7 della legge reg.le 15 maggio 1991 n. 24, fino all’approvazione del piano regionale dei materiali da cava, non può essere rilasciata alcuna autorizzazione nelle zone vincolate ai sensi della legge n. 431/198, nelle zone vincolate ai sensi delle leggi 1 giugno 1939 n° 1089 e 29 giugno 1939 n° 1497, nelle zone nelle quali le cave sono vietate dagli strumenti urbanistici comunali in vigore, nei Comuni privi di strumenti urbanistici e quando esistono nuclei abitati a meno di cinquecento metri dalle cave, nelle aree ricadenti nelle fasce di rispetto dei boschi ai sensi dell’art. 15 lettera e) della legge reg.le 12 giugno 1976, n. 78”, senza che alcun margine di discrezionalità residui in capo all’amministrazione competente in ordine all’applicazione del divieto legale.

- n. 1337 del 9 dicembre 2008, con la quale, in materia di impianti di distribuzione di combustibile GPL, si è preso in considerazione lo ius superveniens rappresentato dall’entrata in vigore, medio tempore, dell’art. 83-bis (aggiunto in sede di conversione), comma 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 , convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che, al fine di garantire il pieno rispetto delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e di assicurare il corretto e uniforme funzionamento del mercato, ha sostanzialmente liberalizzato le attività di potenziamento di impianti di distribuzione di carburanti già esistenti: introducendo, a livello statale, una disciplina a regime identica a quella che nella Regione Siciliana era stata introdotta in via transitoria dal citato art. 33, comma 2, della l.r. 20/2003.

Con ampie argomentazioni, che traggono spunto anche da diverse sentenze della Corte costituzionale (in particolare, n. 14/ 2004, n. 430/2007 e n. 342/2008), si è ritenuto che la normativa introdotta con il citato decreto-legge n. 112, riferendosi alla materia “tutela della concorrenza”, di competenza esclusiva statale, comporta la sua diretta applicabilità nel territorio della Regione Siciliana, non ostandovi la competenza statutaria in materia di disciplina della distribuzione commerciale.

Si è, poi, considerato che la natura perentoria del termine di trentasei mesi, che l’art. 33, secondo comma, della legge regionale 3 dicembre 2003, n. 20 (nel teso modificato dall'art. 24, comma 26, l.r. 22 dicembre 2005, n. 19.) ha fissato per le relative autorizzazioni, non si risolve nell’assegnazione alla P.A. di un termine perentorio per provvedere, bensì nella individuazione di uno spatium temporis logicamente finalizzato ad incardinare le istanze di potenziamento degli impianti soggette alla speciale disciplina transitoria di che trattasi, stante che attività dell’amministrazione dipende da variabili temporali non delimitabili a priori e non potendosi fare gravare sul soggetto privato, avente titolo, l’eventuale ritardo nell’attività procedimentale, in tesi ostativo all’eccesso ad una utilitas riconosciutagli dalla legge.

Può darsi menzione nell’ambito del presente paragrafo anche del nutrito contenzioso relativo ai numerosi ricorsi (tutti accolti) proposti avverso i provvedimenti con i quali, sulla base del decreto dell'Assessore dell'Agricoltura e delle Foreste della Regione Siciliana n° 1632 del 8/11/2002, gli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura delle province regionali siciliane avevano negato il trasferimento in altre regioni del diritto di reimpianto di vigneti.

Nelle relative sentenze (fra le altre, v. n. 1475 del 7 novembre 2008) si è svolta una compiuta disamina della normativa comunitaria (in particolare il Regolamento del Consiglio n. 1493 del 17 maggio 1999), per addivenire alla conclusione che, in relazione al riparto costituzionale delle funzioni legislative, la norma attuativa - legislativa o regolamentare – di diritto interno debba porre una disciplina compatibile con il contenuto precettivo della disciplina comunitaria della fattispecie, per cui deve ritenersi illegittimo un provvedimento regionale, avente natura regolamentare, che ponga una disciplina dei diritti di reimpianto dei vigneti incompatibile - in quanto eccessivamente limitativa della libera circolazione di tali diritti - con il regime comunitario della materia, in punto di delimitazione su base territoriale dell’esercizio del diritto di reimpianto.

Peraltro, dopo che le domande di sospensiva presentate dai ricorrenti erano state accolte, il predetto Assessorato, con successivo decreto del 30 novembre 2006, pubblicato sulla GURS n. 58 del 22 dicembre 2006, ha revocato il decreto n. 1632 che vietava il predetto trasferimento.

Con specifico riguardo agli esercizi commerciali, con sentenza n. 652 del 22 maggio 2008, si è osservato che, in base all’art. 13, comma 3, della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 28, possono essere apportate deroghe per le zone commerciali e per le aree ricadenti nelle immediate vicinanze di grandi arterie viarie che, per la loro ubicazione, svolgono un’attività avente refluenze sovracomunali. Si tratta di una norma che, coerentemente con la sua ratio, che ha riguardo alla disciplina di interessi trascendenti la dimensione territoriale meramente comunale (ancorché materialmente riferiti a localizzazioni infracomunali), prevede la competenza a decidere sull’istanza in capo all’Assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca, il quale provvede sulla stessa in conformità alle determinazioni assunte dalla conferenza di servizi di cui all’articolo 9, comma 3”, della stessa l.r. n. 28/1999.

10.19 – Non sono mancate pronunce in materia di usi civici.

Fra le tante sentenze, si segnala la n. 1782 del 18 dicembre 2008 inerente il Comune di Lipari nella quale si è ritenuto legittimo il provvedimento di revoca adottato dal Commissario per la liquidazione degli usi civici in ordine alle legittimazioni tacitamente conseguite dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 12, comma 1, della l.r. 16 aprile 2003, n. 4, relative a terreni non edificati: attesa la natura interpretativa dell’art. 22, comma 2, della l.r. 29 dicembre 2003, n. 21, le norme di cui ai commi 1, 2, 2 bis, 3 e 4 dell'articolo 12 della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4, si è ritenuto vadano interpretate nel senso che esse si riferiscono alle sole edificazioni su demanio civico e alle porzioni di terreni che costituiscono esclusiva pertinenza delle edificazioni. E’ stata, quindi, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 22, sollevata con riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 97 della Costituzione, in base alla considerazione che trattasi di usi civici, ovverosia diritti reali spettanti alla collettività su terreni di proprietà di comuni o di terzi, la cui legittimazione, comportando la sottrazione del bene all’uso collettivo, non può che essere concepita in termini di eccezionalità. In tale contesto si inserisce la scelta del legislatore regionale di limitare la legittimazione ai soli terreni edificati ed alle relative pertinenze.

10.20 - In materia di edilizia popolare, si segnalano le seguenti sentenze:

- n. 708 del 28 maggio 2008, nella quale si è affermato che l’edilizia residenziale pubblica, predisponendo e mettendo a disposizione strutture abitative per i cittadini meno abbienti, è esemplare espressione di un servizio sociale la cui materiale fruizione richiede lo svolgimento di un procedimento concorsuale al termine del quale, secondo parametri preventivamente stabiliti in un bando, sono preferiti coloro che si trovano rispetto ad altri in una condizione di maggiore disagio abitativo. Tutto ciò è richiesto non solo per l’assegnazione dell’alloggio ma anche per il suo mantenimento, proprio perché è sempre il permanere della condizione di maggiore disagio a giustificare l’uso dell’alloggio di quel nucleo familiare al quale in origine è stato attribuito;

- n. 38 del 15 gennaio 2008, nella quale si è affermato che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, deve ritenersi illegittimo il provvedimento di revoca dell'assegnazione di un alloggio popolare per assenza non autorizzata superiore a tre mesi, ove manchi qualsiasi specificazione in ordine alla natura ed all’effettiva durata dell'assenza stessa. L’esigenza di garantire adeguata tutela alle fasce sociali più deboli induce, infatti, a ritenere necessaria una istruttoria e, conseguenzialmente, una motivazione del provvedimento particolarmente dettagliate, dovendosi compiere accertamenti puntuali e approfonditi, che devono essere espressamente portati a conoscenza del destinatario, dando allo stesso la possibilità di difendersi. La situazione di abbandono dell’alloggio popolare, che giustifica la revoca dell'assegnazione ai sensi dell'art. 17 lett. b) D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, deve, pertanto, essere accertata con sufficienti indagini puntuali ed il relativo provvedimento deve essere congruamente motivato. L’Amministrazione non deve, d’altra parte, limitarsi a verificare l’elemento oggettivo, rappresentato dalla circostanza che l’alloggio non sia abitato, ma deve, altresì accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo, consistente nella effettiva volontà di abbandono dello stesso.

Con sentenza n. 758 del 24 aprile 2008, in materia di edilizia residenziale pubblica, nel ritenere legittima la deliberazione consiliare del Comune di Palermo che aveva stabilito che i programmi costruttivi di edilizia convenzionata, agevolata e sovvenzionata, si dovessero realizzare esclusivamente in forma di recupero del patrimonio edilizio esistente, e non già in zone destinate a verde agricolo, si è osservato che con tale provvedimento l’amministrazione comunale, lungi dal violare una norma regionale che si limita a facultare i comuni a derogare agli ordinari principi in materia urbanistica per consentire le costruzioni in zona destinata a verde agricolo, esercita la ridetta facoltà in senso negativo, esprimendo una priorità a favore del riuso dell’edificato. Una simile opzione preserva il verde agricolo da interventi edificatori – speculativi o meno – mantenendone intatta la propria vocazione funzionale, e nel contempo consente di rispondere al fabbisogno abitativo mediante il recupero del patrimonio edilizio esistente. In particolare, si è precisato che la ratio della disposizione derogatoria di cui all’art. 25 della legge reg.le n. 22/1996 appare essere quella di rimuovere, a priori, un limite di zona che di per sé richiederebbe la discrezionale adozione di una specifica procedura di variante dello strumento urbanistico, non anche quella di stabilire - a priori - la fondatezza di ogni e qualsiasi istanza del privato. Pertanto, il citato art. 25 deve essere inteso nel senso che i comuni hanno l’obbligo ex lege di provvedere sulle istanze dei privati di localizzazione dei programmi costruttivi anche ove gli stessi risultino interessare aree destinate dallo strumento urbanistico a verde agricolo, non anche nel senso che i comuni hanno l’obbligo ex lege di approvare in ogni caso le istanze suddette.

10.21 - In ordine all’impugnativa del silenzio - rifiuto, si segnalano le seguenti sentenze:

- n. 267 del 26 febbraio 2008, nella quale si è osservato che, a seguito della novella dell’art. 2, 5° comma della l. n. 241 del 1990 (come modificato dalla l. n. 80 del 2005), nell’ambito del giudizio sul silenzio, il giudice può conoscere della accoglibilità o meno in concreto dell’istanza solo: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318), e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all’amministrazione; b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare la p.a. a provvedere laddove l’atto espresso non potrà che essere di rigetto (Cons. St. Sez. IV, 10 ottobre 2007, n. 5311; Sez. VI, 7 gennaio 2008 n. 33);

- n. 755 del 6 giugno 2008, nella quale si è ribadito che il silenzio dell'Amministrazione su un'istanza di sanatoria di abusi edilizi ex art. 13 l. 47/1985 costituisce ipotesi di silenzio significativo, al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego, con la conseguenza che si viene a determinare una situazione del tutto simile a quella che si verificherebbe in caso di provvedimento espresso, da impugnarsi non per difetto di motivazione, ma per il suo contenuto di rigetto, per cui non é esperibile lo speciale rito previsto dall'art. 21 bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 l. 21 luglio 2000 n. 205 (trattazione immediata ed in camera di consiglio).

10.22 - In tema di procedimento amministrativo, possono evidenziarsi le seguenti sentenze:

- n. 1032 del 31 luglio 2008, con la quale si è affermato che la prova della non incidenza della mancata partecipazione dell’interessato sul contenuto dispositivo del provvedimento adottato, che deve essere data in giudizio dall’amministrazione, è esclusa solo quando il privato avrebbe potuto introdurre nel procedimento elementi e questioni, poi rappresentati in giudizio, “non facilmente risolvibili se non con valutazioni di merito che appaiono precluse al giudice amministrativo” (avuto riguardo ai superiori princìpi, e alla natura delle argomentazioni poste a sostegno della censura esaminata, il Collegio, esaminate le risultanze offerte in giudizio dall’Avvocatura dello Stato, ha ritenuto ampiamente dimostrato come, a fronte delle numerose, diffuse e gravi violazioni di norme igienico-sanitarie accertate - in contraddittorio con l’interessato - il contenuto dispositivo del provvedimento dell’amministrazione regionale, non potesse essere diverso da quello in concreto adottato: revoca di N.O. per esercizio di attività agrituristiche);

- n. 1029 del 31 luglio 2008, nella quale si è osservato che, ai fini della validità della comunicazione di avvio del procedimento, non è sufficiente una “comunicazione informale”, in mancanza di una effettiva “urgenza di celere definizione del procedimento”.

10.23 - In materia di provvedimenti adottati dai Questori ex art. 6 l. 401/89, al fine di reprimere e prevenire inqualificabili episodi di violenza durante le manifestazioni sportive, si registra una diminuzione del relativo contenzioso rispetto al recente passato. Con sentenza n. 457 del 8 aprile 2008 ha trovato comunque conferma il precedente orientamento, da ritenersi ormai consolidato, secondo cui:

-          si è riconosciuto che la normativa di che trattasi risulta coerente con la risoluzione del Parlamento Europeo dell'11 maggio 1985 sulle misure necessarie per combattere il vandalismo e la violenza nello sport;

-          al Questore è attribuito il potere di inibire immediatamente l'accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive a quanti risultino coinvolti in episodi in violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Ciò trova fondamento nelle ineludibili ragioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica durante le manifestazioni sportive ed è finalizzato ad evitare che chi sia stato coinvolto in precedenti episodi di violenza torni a frequentare i luoghi ove potrebbe reiterare le medesime condotte: per cui va disattesa la lamentata violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90 considerato l'intrinseco carattere cautelare e urgente dei provvedimenti in parola (ex multis: Cons Stato, VI, 15 giugno 2006 n. 3532).

Ed invero la disciplina normativa in materia non è volta alla prevenzione di specifici reati, (es. minacce, lesioni, danneggiamento, resistenza etc.) per i quali i soggetti rispondono eventualmente in sede penale, ma è destinata a contrastare e punire le condotte che comportano situazioni di tumulto, di allarme e di pericolo, anche a livello di semplice incitamento. Di conseguenza, la pericolosità del soggetto richiesta dall’articolo 6 citato non è necessariamente collegata alla colpevolezza per un reato, ma si ricava da concrete previsioni ragionevolmente idonee a sorreggere un giudizio prognostico di pericolosità.

11. - Passando agli aspetti concreti dell’attuale stato complessivo della giustizia amministrativa non può non segnalarsi ancora una volta come questo rimanga caratterizzato, a tutt’oggi, da un notevole arretrato, anche se con una leggera tendenza alla riduzione: tendenza, questa, determinata sia da un decremento del complessivo tasso di litigiosità amministrativa che da un complessivo incremento della produttività, in termini decisori, del sistema di Giustizia amministrativa.

            Risultano in atto pendenti circa 565.000 ricorsi presso i vari TT.AA.RR. e circa 25.000 ricorsi presso il Consiglio di Stato (compreso in questo dato anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana): il che non rappresenta certo una situazione confortante.

                Le cause del fenomeno – che si proietta, ovviamente, anche sulla nostra sede – sono molteplici, e basterà solo accennarvi: la inadeguata considerazione, all’atto della istituzione dei TT.AA.RR., nel 1971, dell’effetto espansivo che, sull’andamento generale del contenzioso, avrebbe determinato il più agevole accesso alla tutela giurisdizionale, in conseguenza della diffusione sul territorio del giudice amministrativo di primo grado; la progressivamente più ampia sfera di intervento dei poteri pubblici nella vita sociale, che ha comportato sempre più numerose occasioni di incontro (o, peggio, di “scontro”) fra cittadini ed organi amministrativi, incrementando la conflittualità, che oggi vede in primo piano, accanto alla categoria tradizionale degli “interessi oppositivi”, quella, sempre crescente, dei c.d. “interessi pretensivi”, di chi, cioè, mira a conseguire, anche attraverso una pronuncia giurisdizionale, un qualche ampliamento della propria sfera giuridica.

                Purtroppo a ciò ha contribuito – e continua a contribuire – il proliferare di normative (primarie e secondarie, nazionali, regionali e locali) sempre più frammentarie, imprecise quanto a formulazione tecnica, oscure sotto il profilo linguistico, spesso farraginose e contraddittorie nei contenuti: con buona pace degli intenti semplificatori e chiarificatori ripetutamente enunciati nelle più autorevoli sedi, rimasti puntualmente senza riscontro nella realtà: anzi, se vogliamo, clamorosamente disattesi dagli ultimi esempi di “tecnica legislativa”, fra i quali spiccano le più recenti leggi finanziarie.

                Ancora, non può farsi a meno di rilevare, quale concausa dell’accrescimento del contenzioso, il progressivo deterioramento della “qualità” dell’azione amministrativa conseguente al diffondersi di fenomeni non certamente di segno positivo (reclutamento di personale senza adeguata selezione, ampliamento del “precariato” e della correlata insicurezza e demotivazione dei lavoratori della Pubblica Amministrazione, generalizzato decentramento di funzioni verso enti e strutture, spesso di incerta natura giuridica, non adeguatamente attrezzati, anche sul piano culturale, per svolgerle al meglio).

                Aggiungasi, altresì, che non sempre le amministrazioni pubbliche, specialmente quelle di minori dimensioni, informano la loro attività all’esigenza di prevenire, in quanto possibile, la conflittualità con gli amministrati, ad esempio con una adeguata utilizzazione degli strumenti partecipativi che pure l’ordinamento oggi appresta a tal fine, preferendo di fatto – forse per malintese esigenze di cautela (“ a scanso di responsabilità”, come suol dirsi) – l’instaurazione di contenziosi giurisdizionali (nei quali spesso trascurano anche di essere presenti, non costituendosi in giudizio e venendo meno sovente all’obbligo di collaborazione istruttoria con il giudice amministrativo, costretto non infrequentemente ad applicare, ai fini probatori, l’art. 116, 2° c., C.P.C.), onde conseguire una pronuncia giurisdizionale purchessia dietro la quale “trincerarsi”.

                Come ho avuto occasione di osservare anche in precedenti analoghe occasioni, il fenomeno si presenta particolarmente vistoso – in questa Regione – per taluni settori dell’attività pubblica, quali l’urbanistica, l’edilizia, la tutela ambientale, la spesa sanitaria.

                11.1 - A tutto questo si aggiunge, e ne costituisce certo una delle cause principali, l’insufficienza di strutture che ha caratterizzato il settore della Giustizia amministrativa, segnato da croniche e tutt’ora vistose carenze di organico di personale, sia di magistratura che, soprattutto, di segreteria e collaborazione.

                Detto tutto questo, bisogna doverosamente evidenziare anche taluni elementi positivi che, già manifestatisi negli ultimi anni, si sono ulteriormente consolidati.

                La favorevole inversione di tendenza per quanto attiene alle dotazioni di supporto, già segnalata nelle precedenti relazioni, è infatti proseguita anche in quest’ultimo anno, attraverso la sempre più ampia attivazione ed utilizzazione di strumenti informatici sia collettivi che individuali.

                É ormai realizzata ed a regime la rete INTRANET della Giustizia amministrativa, grazie alla quale i magistrati amministrativi sono posti in grado, tra l’altro, di accedere direttamente ad una serie di banche dati costantemente aggiornate, oltre che di interconnettersi fra di loro e con gli uffici della propria giurisdizione nell’intero territorio nazionale.

                Funziona a regime anche il sistema informativo nazionale collegato ad INTERNET (nel sito istituzionale accessibile www.giustizia-amministrativa.it) che consente di avere notizia, in tempo reale contestualmente alla pubblicazione, delle pronunce del Giudice amministrativo, nonché dei dati pubblici concernenti i singoli ricorsi, dei calendari delle adunanze, dei collegi.

                É in fase di avanzata realizzazione il c.d. NSIGA – Nuovo Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa, in funzione dallo scorso mese di novembre 2008 anche presso questa Sede – che dovrebbe dare un decisivo impulso, una volta a regime (superati taluni inconvenienti registratisi nella fase di avviamento), alla realizzazione del tanto atteso “processo telematico”: cioè quel sistema integrato che consentirà di trasmettere e ricevere documenti “on line”, approntando veri e propri fascicoli virtuali.

                É innegabile comunque che l’operatività dei sistemi informativi ricordati comporta una notevole riduzione dei tempi che, in precedenza, sia gli operatori (avvocati, pubbliche amministrazioni) che le segreterie dei vari Uffici giurisdizionali erano costretti a dedicare all’informazione sullo stato e sull’andamento dei ricorsi.

                11.2. - Non può tuttavia sottacersi come l’ulteriore sviluppo del sistema “ Giustizia amministrativa “ sia stato e sia fortemente condizionato – in negativo – dalla cronica e perdurante penuria di mezzi finanziari a disposizione.

                Finora, purtroppo, si è dovuta registrare una situazione finanziaria tutt’altro che positiva per il settore della giustizia amministrativa. Nel contesto della generalizzata riduzione di (talune) spese dello Stato, le risorse finanziarie dedicate alla giustizia amministrativa, modeste da sempre, si sono vieppiù assottigliate.

                Lo stanziamento complessivo per il Consiglio di Stato (compreso il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana) ed i Tribunali amministrativi regionali è stato caratterizzato negli ultimi anni finanziari da dimensioni assolutamente trascurabili rispetto alla spesa globale dello Stato (nell’ordine dello 0,026% contro l’1,796% di spesa complessiva per la giustizia, secondo i più recenti dati del Ministero della Giustizia); un’entità insignificante nel contesto del bilancio dello Stato, peraltro ampiamente compensata dalle entrate tributarie riferibili al settore (gettito del contributo unificato di iscrizione a ruolo delle cause, oggetto di ripetuti sensibili aumenti nell’ultimo periodo; imposte pagate dal personale in servizio ed in quiescenza, dai professionisti e loro collaboratori e dagli operatori dell’indotto).

                La situazione finanziaria si è ulteriormente deteriorata negli ultimi tempi: i ripetuti “giri di vite” sulla spesa pubblica, effettuati in maniera indiscriminata anche sul già magro bilancio della giustizia amministrativa, hanno avuto ricadute negative sulla spesa per l’ordinario funzionamento dei servizi, con l’effetto di ritardare anche l’espletamento dei concorsi per l’assunzione di nuovi magistrati, essenziali per tamponare i sempre più ampi vuoti di organico.

                Senza dire dei problemi minori, ma non meno importanti, sul piano della quotidianità: si pensi che presso quest’ufficio siamo stati costretti a ridurre drasticamente anche il servizio di pulizia dei locali!

                Non è chi non veda come l’insufficienza di disponibilità finanziarie sia suscettibile di porre ancora più in crisi l’intero sistema della Giustizia amministrativa, con evidenti riflessi negativi, quanto meno in termini temporali, sul proseguimento dei programmi di potenziamento strutturale ed operativo.

                11.3. - Con riferimento all’aspetto delle risorse finanziarie non può tuttavia non segnalarsi un qualche recente, se pur “timido”, segnale di inversione di tendenza, che può cogliersi in talune previsioni contenute sia nella legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), che in quella 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244).

                Verosimilmente tenendo presenti anche i pressanti appelli che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha ripetutamente rivolto alle competenti Sedi istituzionali per un ampliamento delle risorse finanziarie a disposizione del bilancio autonomo della giustizia amministrativa, il Legislatore, che già aveva previsto, all’art. 1, c. 47 della legge finanziaria 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 296) la devoluzione, allo stesso bilancio della giustizia amministrativa, anche del gettito specifico del contributo unificato dovuto per la proposizione dei ricorsi giurisdizionali, nella legge finanziaria relativa al 2007 (art. 1, co. 1309) ha specificamente destinato parte delle maggiori entrate derivanti dall’incremento del contributo unificato predetto al finanziamento di un programma straordinario di assunzioni “fino a cinquanta unità di personale appartenente alle figure professionali strettamente necessarie ad assicurare la funzionalità dell’apparato amministrativo di supporto agli uffici giurisdizionali, con corrispondente incremento della dotazione organica”.

Nella stessa legge finanziaria 2007, al c. 518 dell’art. 1, è consentita in deroga al blocco generale delle assunzioni tuttora vigente (previsto dall’art. 1, c. 95 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 e ripetutamente confermato, con particolare riferimento al “turn over”: v.art. 66 della c.d. “manovra d’estate 2008” – D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133), il reclutamento di magistrati amministrativi, contabili e di avvocati e procuratori dello Stato entro il limite di spesa di 1.370 milioni di euro per l’anno 2007 e di 5.670 milioni di euro a decorrere dal 2008.

                Alla ripartizione di tali assunzioni si dà luogo con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze: le stesse, per effetto dell’art. 3 c. 86, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), da effettuare entro il 31 maggio 2008.

                Altro intervento finanziario destinato all’assunzione di magistrati amministrativi è previsto anche nella stessa legge finanziaria 2008 che, al c. 355 dell’art. 1 autorizza, a tal fine, la spesa di 1,75 milioni di euro per l’anno 2008, di 4,5 milioni di euro per l’anno 2009 e di 6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010.

                Il blocco delle assunzioni è rimasto, per contro, sostanzialmente immutato nei confronti del personale di segreteria, amministrativo e di collaborazione, con conseguenze negative sulla funzionalità degli uffici: in particolare presso questa Sede, che non ha beneficiato in alcun modo delle pur timide e sporadiche eccezioni legislative in materia (ma di ciò “infra” § 13).

                12. - Passando ad esporre brevemente la situazione esistente presso questo Tribunale amministrativo, devo innanzitutto segnalare che il complessivo carico di lavoro del T.A.R. - Sicilia (sede di Palermo e sezione staccata di Catania), risultante di n. 6.308 nuovi ricorsi depositati nell’anno 2008 (pari all’11,12% dell’intero carico di lavoro di tutti i TT.AA.RR. della Repubblica: vedi tabella allegata “A/1-2-3”) pone il T.A.R. della Sicilia al 3° posto della graduatoria nazionale, dopo il T.A.R. del Lazio e il T.A.R. della Campania, con un leggero incremento del 2,33% stimato rispetto all’anno precedente (ed un decremento del 40,69% nell’arco del periodo 2000-2008).

                Si sintetizza la specifica situazione esistente al 31 dicembre 2008 presso questa Sede di Palermo, ordinata su tre Sezioni interne.

                Mi limiterò a segnalare gli aspetti più significativi, lasciando a chi desideri farlo un più approfondito esame della esposizione analitica dei dati contenuti nelle tabelle allegate alla relazione.

                Risultano iscritti a ruolo nel 2008, n. 2.773 procedimenti, di poco superiori ai 2.761 iscritti a ruolo nell’anno precedente).                    

                Tuttavia, in relazione anche al numero di procedimenti esauriti nel corso dell’anno 2008, (1.890 esauriti contro 2.773 sopravvenuti), si registra, alla fine del periodo considerato, un incremento, rispetto all’anno precedente, del numero complessivo dei ricorsi pendenti di 805 unità (quantificabile in termini percentuali nel dato complessivo + 0.03% rispetto alla pendenza dell’anno precedente).

                Il totale dei procedimenti pendenti, al 1° gennaio 2009, risulta essere di 31.662 unità.

                A causa di contingenti difficoltà nel reperimento dei dati disaggregati per materia, dipendente dalla recente attivazione del NSIGA – Nuovo Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa (novembre 2008) – che ha comportato la “migrazione” dei dati contenuti nel preesistente CED locale alla banca dati centralizzata in Roma, non è allo stato possibile riportare l’andamento (incremento o decremento) dei ricorsi nelle singole materie, a differenza di quanto praticato nelle relazioni concernenti i precedenti anni giudiziari.

Ci si augura che l’auspicato affinamento del nuovo sistema informativo centralizzato possa consentire, per l’avvenire, l’esposizione analitica oggi mancante, che peraltro risultava utile ed apprezzata dagli operatori del settore.

                Si evidenzia, in controtendenza rispetto all’andamento degli anni precedenti, un incremento del numero dei ricorsi per ottemperanza al giudicato. Sono stati infatti iscritti a ruolo 154 ricorsi, contro gli 87 dell’anno precedente. Precedentemente si era passati dai 320 del 2004, ai 162 del 2005 (- 49,38%), ai 103 del 2006 (- 36,42%), scesi ulteriormente agli 87 del 2007 (- 15,53% rispetto all’anno precedente e – 72,81% rispetto al 2004), che evidenziavano una progressiva attenuazione della “tradizionale” tendenza delle Amministrazioni a sottrarsi il più possibile, almeno in termini temporali, al “dictum” giudiziario, con ulteriore aggravio per i cittadini e, in definitiva, per le stesse Amministrazioni esposte a condanne alle spese e commissariamenti. Evidentemente l’indirizzo seguito dalla giurisprudenza del TAR Sicilia, di nominare commissari ad acta nei casi di inadempimento, condannare alle spese processuali le strutture amministrative inadempienti, nonché di trasmettere periodicamente alla Procura Regionale della Corte dei Conti, per le eventuali iniziative di competenza sul versante delle responsabilità, le pronunce di accoglimento di ricorsi per ottemperanza, sembrava dare i frutti sperati.

Nell’anno appena decorso, invece, - per ragioni che sfuggono al riferente - si è verificato un incremento pari al 177%, che segna appunto un’inversione rispetto ad una tendenza che si era consolidata a partire dal 2004 in poi. Non sarebbe superfluo, a questo punto un monitoraggio generalizzato del fenomeno, che potrebbe essere condotto dalle strutture requirenti della Magistratura contabile.

                Sono state tenute nel corso dell’anno 2008 63 udienze pubbliche e 184 adunanze camerali, per un totale di 1.624 procedimenti trattati in udienza pubblica e 2.251 in adunanze camerali (di cui 2.175 concernenti misure cautelari).

                Sono stati conclusi con sentenza definitiva 1.968 procedimenti, con 1.890 sentenze, delle quali 225 emesse, nella forma di sentenze c.d. “brevi”, in sede di esame, in camera di consiglio, di istanze di misure cautelari.

                Giova evidenziare che l’utilizzo di tale strumento processuale introdotto dalla legge 205/2000 ha consentito, presso questa Sede, di portare a rapida definizione (mediamente, dal deposito del ricorso alla pubblicazione della sentenza, non più di 60/120 giorni) l’ 8,12% del contenzioso di nuovo impianto.

                Va segnalato che, nel corso dell’anno di riferimento (2008), sono state gravate di appello 115 sentenze (pari al 6,08% del totale).

                Sono stati trattati complessivamente 449 procedimenti riconducibili alle tipologie previste dagli artt. 3, 8, 9, della L. 205/2000 (cfr. tabella “B”, quadri 11, 12 e 13), tutti definiti con pronuncia in forma di decreto monocratico.

                A seguito dei mutati orientamenti in materia di giurisdizione indotti dalla ben nota sent. n. 204/2004 della Corte Costituzionale si è praticamente esaurito il fenomeno dei decreti ingiuntivi concernenti spese a carico del servizio sanitario che, specie nel 2002, nel 2003 e nel 2004, sino alla pubblicazione nel mese di luglio della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, già ricordata, era stato caratterizzato da un elevato numero di richieste, in conseguenza dei cronici ritardi nella liquidazione, da parte delle competenti A.U.S.L., dei crediti per spese farmaceutiche, centri clinici convenzionati con il S.S.N. e quant’altro.

                A partire dalla sentenza “capofila” n. 1543 del 6 luglio 2004 questo Tribunale ha declinato la giurisdizione in materia e ciò ha determinato la sostanziale cessazione del fenomeno.

Il numero dei ricorsi ex art. 8, L. 205/00 (decreti ingiuntivi) concernenti materie diverse (per lo più pubblico impiego non contrattualizzato), é passato dai 6 del 2006 ai 134 del 2007 (+ 2.133,33%), ai 38 del 2008 (- 71.64%).

                In materia sanitaria, comunque, va ricordato che questo Tribunale amministrativo, anche successivamente alla nota sentenza costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, ha ritenuto la propria giurisdizione in tema di determinazione dei “budgets” annuali (sentt. n. 2128 e segg. del 30 settembre 2004) riconoscendo il carattere autoritativo dei provvedimenti di fissazione dei tetti di spesa delle strutture sanitarie, avuto anche riguardo ai particolari vincoli finanziari ed amministrativi che circoscrivono l’astratta fase di negoziazione normativamente prevista.

                Anche questa soluzione ha, successivamente, avuto l’avallo della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n. 8 del 2 maggio 2006.

                Va segnalato che questo filone di contenzioso ha preso particolare consistenza, presso questa Sede, negli ultimi mesi del 2008, in conseguenza dei provvedimenti regionali e delle aziende sanitarie locali tendenti alla rimodulazione – in senso riduttivo – della spesa sanitaria, in attuazione del c.d. “piano di rientro” elaborato dall’Amministrazione regionale nell’osservanza delle direttive statali.

                Particolare attenzione è stata dedicata anche alla individuazione dei ricorsi già ultradecennali, ed oggi ultraquinquennali, agli effetti di cui al comma 2 dell’art. 9 della L. 205/2000.

                Purtroppo la carenza di fondi dedicati allo scopo ha impedito, nell’anno 2008, di utilizzare lo strumento della contrattazione decentrata con progetti finalizzati di interesse locale, che negli anni decorsi avevano consentito l’emissione di qualche migliaio di decreti di perenzione.

                Un ulteriore notevole impatto sulla organizzazione del servizio di segreteria giurisdizionale ha cominciato a manifestarsi per effetto della riduzione a cinque anni, disposta dall’art. 54, c. 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133 di conversione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, del termine decennale già previsto dall’art. 9, c. 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205.

                Peraltro, per effetto dell’orientamento assunto dal Consiglio di Stato in tema (ordinanza sez. V dell’11 luglio 2008) – secondo il quale dovrebbero essere cancellati dal ruolo i ricorsi per i quali sia stata già disposta la fissazione in udienza pubblica in assenza del prescritto avviso di pendenza ultraquinquennale – ci si è visti costretti anche in questa Sede a disporre la cancellazione dal ruolo di ricorsi già iscritti per la trattazione del merito, con evidente inutile dispendio di attività di Segreteria ed ulteriore aggravio dell’attività difensiva delle parti..

                Un quadro più chiaro della situazione potrà comunque delinearsi nel corso dell’anno appena iniziato, sempre che non intervengano altre norme di modifica in materia.

                Sono stati adottati 188 provvedimenti istruttori collegiali (nella forma di sentenze od ordinanze) e 57 ordinanze istruttorie presidenziali, oltre ad ulteriori 183 decreti presidenziali di vario contenuto processuale.

                Si è mantenuta sostanzialmente sui livelli dell’anno precedente l’utilizzazione del mezzo istruttorio della consulenza tecnica d’ufficio (la cui ammissibilità nel processo amministrativo è stata generalizzata dalla legge 205/2000), con il relativo aggravio di adempimenti sia a carico dei magistrati delegati che delle Segreterie giurisdizionali.

                I dati concernenti il numero degli affari assegnati complessivamente ai magistrati ed il numero dei provvedimenti dagli stessi depositati sono analiticamente descritti nei quadri 18 e 19 dell’allegata tabella “B”.

                Va evidenziato, al riguardo, come tutti i magistrati abbiano continuato a dimostrare la più ampia disponibilità a superare i limiti di carico di lavoro previsti, dando prova di elevato spirito di servizio e di grande senso dello Stato.

                Analogo riconoscimento è dovuto a tutto il personale di segreteria e collaborazione che, pur in numero assai sparuto, ha sempre fronteggiato le esigenze dell’Ufficio con grande dedizione ed efficienza.

                13. - La situazione degli organici presso questa sede continua ad essere deficitaria.

                Per quanto concerne il personale di Magistratura, come già riferito in precedenza (cfr.§ 2.1.), la situazione risulta alquanto deteriorata allo spirare dell’anno decorso: la dotazione complessiva “di fatto” dell’Ufficio è ridiscesa a 15 magistrati, incluso il Presidente del T.A.R. e compresi 4 referendari di prima nomina.

                 Si è ancora lontani dal realizzare il completamento dell’organico di Magistrati previsto per la Sede di Palermo, che dovrebbe contare su complessive 18 unità, oltre il Presidente titolare: e l’effettiva copertura dell’organico si profila di non rapida realizzazione, attesi anche i tempi medi delle procedure concorsuali e l’esito delle medesime, che finora ha frequentemente registrato un numero di vincitori inferiore ai posti messi a concorso.

                Quanto alle strutture di segreteria delle tre Sezioni qui operanti, avevo già segnalato, fin dalla relazione concernente l’anno 2005, come la perdurante carenza di personale amministrativo e di collaborazione renda cronici i problemi di organizzazione complessiva degli uffici, essendosi dovuto inevitabilmente sottrarre operatori alle due preesistenti strutture di segreteria giurisdizionale per realizzarne una terza, a supporto, appunto, della terza Sezione, attivata dal 1° aprile 2005: con inevitabili ricadute negative sulla complessiva efficienza dei servizi, finora comunque assicurati per l’impegno e lo spirito di sacrificio degli operatori.

                Non può escludersi tuttavia, perdurando, anzi ulteriormente aggravandosi, l’attuale situazione di grave carenza di personale, che possano presto porsi seri problemi di mantenimento dello “standard” di rendimento dell’Ufficio: che, al momento, ha raggiunto, a prezzo di uno sforzo non comune di tutti gli operatori (magistrati e personale di segreteria, risultati elevatissimi, non a lungo ulteriormente perseguibili con le risorse disponibili.

Ed invero la situazione, per quanto concerne il personale di Segreteria e collaborazione, è tutt’altro che confortante, ove si consideri che, su scala nazionale, nel nostro settore, il rapporto attuale tra tale categoria di personale e quello di magistratura è di appena 1,5/1,9 addetti per magistrato: ben al di sotto di quello esistente presso le altre magistrature e, comunque, lontano dal rapporto minimo di cinque unità di collaborazione per ogni unità di magistratura, ritenuto accettabile dalle più recenti analisi di efficienza del settore.

                Questa Sede non fa eccezione alla regola generale, dal momento che la pianta organica attualmente in vigore prevede appena 34 unità suddivise fra le varie aree professionali (la situazione del personale addetto ai Servizi giurisdizionali risulta dal quadro 18 dell’allegata tabella B).

                Siffatta dotazione organica, già di per se inadeguata alle attuali necessità siccome determinata in epoca non recente, è stata nel tempo incisa negativamente dalla mancata sostituzione di varie unità di personale collocate a riposo o cessate dal servizio negli ultimi anni, nonché da ulteriori recenti depauperamenti conseguenti al trasferimento ad altri uffici per mobilità interna al settore.

                In particolare é da segnalare che questo Ufficio ha perduto dal mese di luglio 2008 il dirigente amministrativo con funzioni di Segretario generale, rientrato, a sua domanda, presso la struttura di provenienza – Agenzia dei Segretari comunali e provinciali – come ho già detto in precedenza (cfr. § 2.2). ed anche il Segretario generale ad interim qui assegnato dallo scorso mese di novembre 2008, é stato recentemente collocato a riposo per raggiunti limiti di età.

                Assume pertanto carattere di estrema urgenza attivare la procedura tendente alla nomina di un nuovo Segretario generale titolare, previsto in organico e comunque indispensabile, date le dimensioni di questo T.A.R.

                Analoga esigenza di pronta sostituzione si pone per altri tre recenti pensionamenti di personale di segreteria: due unità, rispettivamente di area II – pos. ec. F3 (ex B3) e di area II- pos. ec. F1 (ex B1), collocate a riposo per raggiunti limiti di età con decorrenza 2 gennaio 2009, ed una unità di area II – pos. ec. F1 (ex B1), collocata a riposo per limiti di età con decorrenza 1 marzo 2009.

                La cessazione dall’impiego del suddetto personale comporterà inevitabilmente, se non saranno tempestivamente assicurate le più volte richieste sostituzioni, carenze e disfunzioni allo stato non fronteggiabili con le residue unità di personale ancora in servizio.

                Ed invero corre l’obbligo di ricordare che presso questo Ufficio il “turn over” é bloccato ormai da oltre dieci anni, sicché alla paradossale situazione verificatasi, di una dotazione complessiva di personale di collaborazione attuale inferiore di più di dieci unità rispetto a quella esistente circa un decennio fa (quando, peraltro, non erano ancora stati introdotti i riti acceleratori previsti dalla legge 205/2000, e varie altre normative settoriali, che impegnano in modo più vasto del passato anche le strutture di supporto del giudice amministrativo di primo grado), si aggiunge la circostanza non irrilevante di un’età media degli operatori oggi in servizio che, superando i cinquanta anni, comporta un più elevato tasso di morbilità e comunque, oggettivamente, una minore resistenza fisica alla fatica ed all’impegno lavorativo, qui richiesti oltre i limiti normalmente osservati nella generalità degli uffici pubblici.

                Più volte questa Presidenza ha posto con forza il problema all’attenzione degli Organi di vertice della Giustizia amministrativa, purtroppo fino ad oggi senza successo.

                Non resta quindi che sollecitare ulteriormente un rapido adeguamento della dotazione organica della Sede di Palermo che, rispetto alla previsione in atto, andrebbe incrementata, a giudizio di questa Presidenza, di non meno del 50%, da ripartire proporzionalmente nelle varie posizioni funzionali.

                Non mi nascondo, tuttavia, con realismo, come, alla stregua delle più recenti teorizzazioni sul blocco del “turn over” e sulla riduzione generalizzata del personale del comparto pubblico, una tale aspettativa sia tutt’altro che realistica.

                Né, purtroppo, ha avuto ricadute positive su questa Sede la previsione del c. 1309 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007, la quale consentiva l’adozione di un programma straordinario di assunzioni “fino a 50 unità” di personale amministrativo e di collaborazione, che andrebbero ripartite, ovviamente, fra i vari Uffici giurisdizionali dislocati sul territorio nazionale [2].

                Sul punto, tuttavia, non può non ricordarsi con rammarico come sia rimasta a suo tempo inattuata una analoga disposizione contenuta nella la legge finanziaria per il 2004 (L. 24 dicembre 2003, n. 350), che all’art. 3, c. 71, aveva previsto, per sopperire a straordinarie esigenze di supporto amministrativo del Consiglio di Stato, dei Tribunali Amministrativi Regionali, della Corte dei Conti e dell’Avvocatura dello Stato,la possibilità per detti uffici di avvalersi, su base volontaria, nel limite complessivo di 300 unità, del personale del CONI e di altri enti pubblici interessati da procedure di liquidazione o soppressione, nonché del personale dell’Agenzia del demanio che ha esercitato l’opzione per il passaggio ad altra Amministrazione “anche in soprannumero ed in deroga alle vigenti disposizioni legislative e contrattuali in materia di mobilità” (in tal modo consentendo, tra l’altro, di superare i limiti discendenti delle piante organiche in atto vigenti, finora opposti come ostacolo insormontabile, da parte dell’Amministrazione centrale, ad ogni richiesta di ampliamento).

                Purtroppo, nel settore della Giustizia amministrativa la norma in parola è rimasta inspiegabilmente non applicata, per difficoltà burocratiche diverse, di volta in volta opposte alle ripetute richieste di chiarimenti rivolte alle strutture centrali, cui sono state in più occasioni segnalate le esigenze di questa Sede di una più congrua dotazione di personale di collaborazione.

                É stata, viceversa, data pronta attuazione, anche nel settore considerato, alla norma contenuta nella successiva legge finanziaria 2005 (art. 1, c. 93 della L. 30 dicembre 2004, n. 311) che ha imposto a tutte le Amministrazioni dello Stato – compresa quella della Giustizia amministrativa – una riduzione non inferiore al 5% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico: con il risultato di rendere sempre più evanescente la prospettiva di incrementare le scarse dotazioni esistenti.

                La conclusione, non confortante, é quella di dovere registrare – con amarezza – una costante disattenzione degli Organi centrali verso le esigenze minimali di funzionamento del più meridionale dei Tribunali amministrativi regionali italiani.

                Non va dimenticato, al riguardo, l’ulteriore aggravio di lavoro che è derivato dalla applicazione della norma contenuta nel c. 1308 del più volte richiamato art. 1 della L.fin. 2007, che istituisce presso gli Organi giurisdizionali amministrativi, centrali e periferici, una commissione per il patrocinio a spese dello Stato, composta di magistrati amministrativi ed avvocati ed assistita, per i compiti di segreteria, da un funzionario amministrativo della giustizia amministrativa: commissione chiamata ad esaminare – a titolo gratuito – le istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con le connesse implicazioni, anche di responsabilità patrimoniale.

                Presso questa Sede la commissione, già istituita con D.P. n. 02/07 del 16 gennaio 2007, e rinnovata annualmente con D.P. 4 dicembre 2007, n. 30/07 e 4 novembre 2008, n. 30/08 è in piena attività (cfr. tab. B, n. 17).

                Per concludere sull’argomento del personale di collaborazione, va ricordato che la Regione siciliana si era data carico del problema delle carenze strutturali degli organi giurisdizionali, ordinari e speciali, operanti in Sicilia, con l’approvazione di un disegno di legge, predisposto dal Governo della Regione, contenente provvedimenti di sostegno dell’attività giurisdizionale realizzantisi con l’assegnazione, senza alcun onere finanziario per le Amministrazioni statali destinatarie, di contingenti di personale di collaborazione nonché di attrezzature strumentali in comodato1. [3]

                L’iniziativa, bloccata in un primo tempo da una impugnativa del Commissario dello Stato, è stata giudicata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 207 del 26 maggio 2006.

La Regione, in attuazione di detta legge regionale, ha stanziato in favore degli Uffici giudiziari ordinari somme utilizzate per attrezzature informatiche, fisse e mobili, stampanti, abbonamenti a banche dati giuridiche e quant’altro.

                Nei confronti di questo Ufficio il competente Dipartimento della Presidenza della Regione Siciliana ha, in tempi successivi, disposto l’assegnazione, in comodato d’uso, di un totale di dieci P.C. completi di stampanti laser, nonché di due stampanti multifunzione: materiale già in esercizio.

                Si tratta, per quanto riguarda la sede di Palermo del T.A.R. – Sicilia, di un segnale di attenzione del quale non può che prendersi atto: il che non esaurisce, tuttavia, le aspettative indotte dalla legge regionale citata nei confronti delle più volte rappresentate esigenze di funzionalità del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, che in questa occasione desidero riconfermare, sopratutto sul versante del personale di collaborazione, estremamente deficitario. Ed invero nessuna assegnazione di personale é stata disposta in favore di questa Sede, malgrado le numerose richieste, verbali e scritte, rivolte dallo scrivente, cui sono state opposte varie difficoltà burocratiche, prima fra tutte la asserita mancanza di disponibilità ad accettare la destinazione al T.A.R. da parte di dipendenti regionali (probabilmente, per il maggiore impegno lavorativo richiesto).

                Peraltro, iniziative in sede regionale a sostegno dell’amministrazione della giustizia si registrano anche presso altre Regioni d’Italia. Ricordo, a mo’ di esempio, il protocollo d’intesa siglato dal Ministero della Giustizia con la Presidenza della Regione Friuli – Venezia Giulia nel dicembre 2006, al quale altri sono seguiti in diverse realtà territoriali.

                È auspicabile che la nostra Regione, che ha avuto il merito di portare fra le prime attenzione all’argomento, continui a manifestare lo stesso impegno nella fase attuativa.

                14. -       In conclusione malgrado i notevoli risultati conseguiti il carico di lavoro cui bisogna far fronte presso questa Sede rimane ingente: e ciò in presenza di un ancora inadeguato organico di personale in servizio, sia di Magistratura che di Segreteria. In tale situazione continua ad essere tutt’altro che agevole cercare di contemperare l’esigenza di venire in qualche modo incontro alle pressanti richieste delle parti volte ad una sollecita trattazione degli affari per i quali esistono obiettive ragioni di urgenza, con quella di osservare i criteri sui carichi di lavoro dei Magistrati fissati nelle deliberazioni adottate al riguardo dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (da ultimo, in data 18 dicembre 2003), e con quella, non meno pressante, di osservare i ristretti termini temporali introdotti per una serie di ipotesi contenziose previste dalla L. 205/2000 e successive integrazioni.

                Il protrarsi di queste condizioni non agevolerà certamente una significativa riduzione del numero dei ricorsi pendenti in attesa di giudizio, con grave nocumento per l’ordinato esercizio della giurisdizione amministrativa ed ulteriori esposizioni a censure e sanzioni presso le competenti sedi, sia europee che nazionali, a causa dell’ eccessiva durata dei processi.

                A quest’ultimo riguardo nella relazione dell’anno precedente avevo ricordato quello che sembrava essere l’ormai consolidato indirizzo interpretativo introdotto dalle SS.UU. della Corte di Cassazione (sent. n. 28507 del 23 dicembre 2005 e varie successive) secondo cui, con riferimento al tema del risarcimento del danno, il principio della ragionevole durata del processo, applicato all’attività giurisdizionale amministrativa, fa sì che la lesione del diritto corrispondente va ritenuta sussistente anche per le cause proposte dinanzi al giudice amministrativo, senza che sulla valutazione del periodo di tempo decorso dalla instaurazione del processo possa incidere, quale esimente del ritardo, la mancata o tardiva presentazione della c.d. “istanza di prelievo”, nella considerazione che la presenza – o meno – di attività sollecitatorie delle parti non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, né comporta il trasferimento sulle parti medesime della responsabilità connessa al superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio.

                È ora da registrare un intervento legislativo di segno contrario alla riferita interpretazione della Suprema Corte, contenuto nell’art. 54, 2° c., del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133 (c.d. “manovra d’estate”), secondo il quale con riferimento al processo amministrativo la domanda di equa riparazione non è proponibile se non sia stata presentata, nel corso del giudizio, “una istanza ai sensi del secondo comma dell’art. 51 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642”, comunemente definita “istanza di prelievo”.

                Ancora non è dato sapere se detta norma contribuirà a deflazionare l’andamento, in continua ascesa, delle domande di equa riparazione.

                Come che sia, al momento attuale è facile prevedere che, continuando a permanere le attuali vistose carenze di strutture e mezzi, si raggiungerà presto il paradossale risultato che le risorse non impiegate per migliorare il servizio giurisdizionale dovranno essere destinate, forse in misura anche maggiore, a risarcire i danni per i ritardi nella definizione dei processi!

                Ad una tale conclusione induce la considerazione dell’andamento esponenziale dei giudizi risarcitori introdotti in base alla legge n. 89 del 2001 (c.d. “legge Pinto”) con riferimento a processi presso questa Sede: si è passati infatti dalle poco numerose richieste dei primi anni di operatività della legge citata (anno 2001, 4 richieste; anno 2002, 8 richieste; anno 2003, nessuna richiesta, anno 2004, 2 richieste; anno 2005, 8 richieste) alle 80 richieste dell’anno 2006, ed alle 150 richieste relative all’anno 2007, fino a giungere alle 218 richieste avanzate nell’anno 2008; e la curva del fenomeno, a quanto è dato desumere dalle richieste già incardinate nei primi giorni di quest’anno, non sembra attenuarsi.

Non mi stancherò di sottolineare per l’ennesima volta – so di essere ripetitivo, ma il tema lo merita - come l’area territoriale nella quale opera questo Tribunale, caratterizzata, come è ben noto, da elevati indici di criminalità mafiosa, che tende ad estendere i propri “interessi” verso settori dell’attività amministrativa di notevole rilevanza economica (quali le opere pubbliche, le pubbliche forniture, gli interventi sul territorio, segnatamente quelli in materia ecologica ed ambientale, etc.), comporta la necessità di “standars” di efficienza aggiuntiva rispetto a quelli normalmente ritenuti sufficienti in aree territoriali meno esposte al rischio del crimine organizzato.

                Il che postula che la risposta dello Stato in questo territorio, anche attraverso i propri organi di giurisdizione amministrativa nei settori di competenza, deve essere rapida e qualitativamente e quantitativamente adeguata, onde contribuire ad alimentare la fiducia dei cittadini e degli operatori economici nella efficienza della giustizia (non soltanto quella repressiva penale ma anche quella, in qualche misura preventiva, amministrativa) epperò a contenere ed auspicabilmente eliminare spazi alternativi che una poco efficace risposta giudiziaria può oggettivamente dischiudere a poteri illegali.

                Non può quindi che ribadirsi l’auspicio, che è anche una pressante richiesta, affinché gli Organi Legislativi e di Governo rivolgano una maggiore attenzione ai problemi di questo settore della giustizia, onde far si che possa concretamente realizzarsi anche nel processo amministrativo il principio, ora espressamente enunciato in Costituzione (art. 111), della “ragionevole durata”, nella consapevolezza che ritardare giustizia equivale, sovente, a denegarla.


 

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[1] European Judicial Training Network: Rete Europea di Formazione Giudiziaria.

[2] La “Gazzetta Ufficiale” della R.I., n. 44 del 17 gennaio 2008, pubblica il D.P.Rep. 29 novembre 2007, che, per l’anno 2007, fra le assunzioni autorizzate presso le varie Amministrazioni, annoverava 13 unità per il Consiglio di Stato, nessuna delle quali é stata assegnata a Palermo.

1 D.d.l. n. 805 approvato dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 12 aprile 2005 concernente “disposizioni urgenti per il rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità”  e promulgato in pendenza di impugnativa (ai sensi dell’art. 29 dello Statuto speciale della Regione Siciliana), se pur non attuato in attesa della pronuncia della Corte costituzionale: L.reg. 31 maggio 2005, n. 6, pubblicata nella “Gazzetta ufficiale” della Regione Siciliana n. 24 del 3 giugno 2005.


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