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Articoli e note

n. 7-8/2004 - © copyright

ROBERTO GAROFOLI
(Consigliere di Stato)

La nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici

dopo Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 [1]

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SOMMARIO: 1. Premessa: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998 – 2. Corte cost. n. 204/2004: le ragioni teoriche sottese all’intervento demolitorio. - 3. La parte additiva della sentenza n. 204/2004. – 4. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito. – 4.1. La nozione di servizio pubblico ex art. 33, d. lgs. n. 80/1998, dopo Corte cost. n. 204/2004: il contenzioso relativo al settore farmaceutico. – 5. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. - 6. Le controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. – 7. Controversie relative all’affidamento del servizio. – 8. Controversie relative alla vigilanza e al controllo. – 9. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.

 

1. Premessa: la precedente formulazione dell’art. 33, d.lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998.

Nella versione antecedente all’intervento manipolativo compiuto dalla Corte costituzionale con sentenza 6 luglio 2004, n. 204 (in questa Rivista, n. 7-8/2004, pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/ccost_2004-07-06.htm), l’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, riscritto dall’art. 7 della legge n. 205/2000 a seguito della dichiarazione di incostituzionalità intervenuta con sentenza n. 292/200, ha esteso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni, sul mercato mobiliare, nonché al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481; ha indicato, quindi, con finalità meramente esemplificative, le singole controversie da ricondurre nella nuova giurisdizione amministrativa.

L’ambito di tale giurisdizione è stato pertanto delimitato alla stregua di un triplice criterio [2]: il primo, costituito dal riferimento alla nozione di servizio pubblico, a carattere generale e principale. Il secondo, di tipo orizzontale, consistente nell’indicazione esemplificativa dei singoli settori in seno ai quali è normale riscontrare attività sussimibili in quella nozione; con il terzo, infine, di tipo verticale, sono state espressamente ricondotte nell’alveo di operatività della nuova giurisdizione esclusiva talune tipologie di controversie che, più di altre, avrebbero dato adito a maggiori perplessità di inquadramento.

Più in generale, l’intero d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 — da ultimo modificato dagli artt. 6 e 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205 — ha introdotto, a costituzione invariata, fondamentali novità destinate inevitabilmente a rivoluzionare il tradizionale assetto della giustizia amministrativa: ne sono risultati profondamente rivisitati e radicalmente innovati non solo i criteri volti a perimetrare i territori giurisdizionali da assegnare al Giudice amministrativo in sede esclusiva, ma ancor prima il ruolo stesso che a quel Giudice si è inteso riconoscere in un sistema sempre più ispirato al principio del pluralismo o, quanto meno del dualismo giurisdizionale, anziché a quello della tendenziale unicità della giurisdizione.

Ed invero, il d.lgs. n. 80/1998, con gli artt. da 33 a 35, ha dilatato non poco i confini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, includendovi le materie dei servizi pubblici, dell’edilizia e dell’urbanistica; al contempo ha mutato le regole del riparto nella stessa giurisdizione esclusiva, ascrivendo al Giudice amministrativo la cognizione dei diritti consequenziali e dei profili risarcitori, con l’ammissione della reintegra in forma specifica (di qui la riscrittura obbligata dell’art. 7 della legge T.A.R. e l’abrogazione in una prima fase solo parziale dell’art. 13 della legge n. 142/1992 e delle altre disposizioni che, in tema di appalti pubblici, obbligano l’interessato a promuovere l’annullamento dell’atto innanzi al giudice amministrativo quale condizione per la successiva proposizione innanzi al giudice ordinario della domanda risarcitoria); infine, ha munito il giudice amministrativo dell’armamentario processuale necessario per far fronte ai nuovi compiti, dotandolo dei mezzi istruttori codificati nel processo civile, ivi compreso l’indispensabile strumento della consulenza tecnica.

Come acutamente sostenuto, “una giurisdizione del genere, non limitata all’esercizio di alcune tecniche di tutela, appare, altresì, in qualche modo come una sorta di giurisdizione <<tipo>> del giudice amministrativo, che, in quanto volta ad assicurare una tutela potenzialmente esaustiva, si configura, nel suo rapporto con quella ordinaria, come una giurisdizione «paritaria» e ad essa alternativa. Anche questo esito costituisce una conseguenza della nuova disciplina introdotta con il d.lgs. n. 80/1998” [3].

Già questo sintetico quadro delle novità introdotte dall’intervento di riforma consente quindi di coglierne la portata rivoluzionaria per quel che attiene non solo alla individuazione dei parametri afferenti il riparto di giurisdizione, ma anche, e prima ancora, al ruolo stesso riconosciuto al giudice amministrativo, destinato a trasformarsi, in modo sempre più marcato, da giudice dell’interesse legittimo in giudice tendenzialmente naturale della pubblica amministrazione, con conseguente ridimensionamento del rapporto regola-eccezione che ha storicamente connotato la relazione tra giurisdizione generale di legittimità sull’atto e giurisdizione esclusiva impingente sul rapporto sottostante.

Evoluzione, questa, sulla cui armonizzabilità con le coordinate desumibili dal dettato costituzionale si è acceso un ampio dibattito in senso al quale si sono registrate ampie e consistenti divaricazioni prima del decisivo intervento di Corte cost. n. 204/2004.

Si consideri, peraltro, la Corte costituzionale, in taluni importanti e recenti interventi, sempre confermativi delle scelte compiute dal legislatore in punto di riparto di giurisdizione, non è parsa ideologicamente legata ad una lettura delle disposizioni costituzionali volta a ricavarne precisi ed insuperabili vincoli destinati a ridurre i margini di discrezionalità riconoscibili al legislatore ordinario in sede di distribuzione delle competenze e delle attribuzioni giurisdizionali [4].

Viceversa, con differenti pronunce, il Giudice costituzionale ha sostenuto che resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario –suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della giustizia ed ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali- il conferimento ad un giudice sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere e eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste [5] conferendo anche un eventuale potere di annullamento con gli effetti previsti dalla legge [6].

Significativo il passaggio contenuto nella sentenza 23 luglio 2001, n. 275, con cui la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento all’art. 18, d.leg. 29 ottobre 1998 n. 387 (ulteriori disposizioni integrative e correttive del d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni, e del d.leg. 31 marzo 1998 n. 80), che ha modificato l’art. 68, 1° comma, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29 (razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego a norma dell’art. 2 l. 23 ottobre 1992 n. 421): specificamente, il dubbio di legittimità era stato sollevato con riferimento alla parte della citata disposizione con la quale sono state devolute al giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali.

Osserva la Corte “che il principio della disapplicazione, desunto dal giudice a quo dall’art. 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, sul contenzioso amministrativo, ed il relativo limite ai poteri del giudice ordinario di fronte ad un atto amministrativo illegittimo non costituiscono una regola di valore costituzionale, che il legislatore ordinario sarebbe tenuto ad osservare in ogni caso. Infatti, resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario — suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali — il conferimento ad un giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti, secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste. La scelta del legislatore si inquadra nella tendenza a rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso una migliore distribuzione delle competenze e delle attribuzioni giurisdizionali, a seconda delle materie prese in considerazione (v. ordinanza citata n. 140 del 2001)” [7].

Si tratta, peraltro, di pronunce intervenute con riguardo a disposizioni intese a delimitare ed ampliare l’ambito della giurisdizione riconosciuta, in taluni settori, al giudice ordinario.

Nel verificare la legittimità costituzionale delle previsioni che estendono la giurisdizione amministrativa è però necessario tener conto di un più composito quadro di previsioni costituzionali: non vi è dubbio, infatti, che un’espansione pressocchè illimitata della giurisdizione del giudice amministrativo può innescare difficoltà di inquadramento costituzionale, in specie di compatibilità con la previsione di cui all’art. 103 della Carta fondamentale a tenore della quale le ipotesi di giurisdizione esclusiva possono essere dal legislatore fissate solo limitatamente a “particolari materie” [8].

2. Corte cost. n. 204/2004: le ragioni teoriche sottese all’intervento demolitorio.

E’ quanto ha ritenuto la Corte costituzionale che, con sentenza n. 204/2004, ha consistentemente modificato l’impianto complessivo dell’artr. 33, manipolandone il testo, con la riscrittura del comma 1 e la rimozione del comma 2.

La Consulta ha preso così posizione sulle ordinanze con le quali i giudici remittenti hanno lamentato che la legge n. 205 del 2000, portando a compimento un disegno di politica legislativa volto, a partire dal 1990, ad estendere l’area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha sostituito al criterio di riparto della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei "blocchi di materie": ad avviso dei giudici a quibus, sarebbe stato così “alterato non soltanto il rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo – rapporto che, pur non essendo stato realizzato il principio dell’unicità della giurisdizione, dovrebbe pur sempre essere di regola ad eccezione quanto alla cognizione su diritti soggettivi – ma anche il rapporto, all’interno della giurisdizione del giudice amministrativo, tra giurisdizione (generale) di legittimità e giurisdizione (speciale, se non eccezionale) esclusiva.

 

La violazione degli artt. 102 e 103 Cost. (e dell’art. 100 – aggiunge l’ordinanza n. 488 del 2002 – con la trasformazione del Consiglio di Stato da giudice "nell’amministrazione" in giudice "dell’amministrazione") non si sarebbe realizzata con i pur massicci interventi legislativi degli anni ’90, in quanto le nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva concernevano pur sempre «talune specifiche controversie» caratterizzate «dall’intreccio di posizioni giuridiche riconducibili tanto al diritto soggettivo quanto all’interesse legittimo»: è con il d.lgs. n. 80 del 1998, specie come trasfuso nell’art. 7 della legge n. 205 del 2000, che il legislatore ha abbandonato il criterio dello «inestricabile nodo gordiano» ravvisabile in specifiche controversie correlate all’interesse generale per accogliere quello dei «blocchi di materie», nelle quali «la commistione di diritti soggettivi ed interessi legittimi non si debba ricercare nelle varie tipologie delle singole controversie ma nell’atteggiarsi dell’azione della pubblica amministrazione in settori determinati, anche se molto estesi, connotati da una significativa presenza dell’interesse pubblico».

 

Nell’esaminare i dedotti rilievi di costituzionalità, la Corte prende le mosse dal quadro normativo anteriore alla Carta costituzionale, utilizzato quale chiave interpretativa delle vigenti disposizioni. La Carta, infatti, secondo la Consulta "ha recepito - non senza conservare traccia, all'art. 102, primo comma, dell'orientamento favorevole all'unicità della giurisdizione - il nucleo di principi in materia di giustizia amministrativa quali evolutisi a partire dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865"; rimarca, al riguardo, la Consulta che la legge da ultimo citata aveva concentrato in capo al giudice ordinario la tutela di ogni diritto civile o politico (art. 2) e che la relazione Crispi al disegno di legge (il quale condusse all'approvazione della legge 31 marzo 1889, n. 5992, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato) si doleva dell'assenza di un giudice in grado di occuparsi della "immensa somma di interessi onde lo Stato è depositario" (interessi non aventi natura di veri e propri diritti e devoluti alle cure della medesima attività amministrativa). Alla Corte "sembra allora chiaro che il Costituente, accogliendo quest’ultima impostazione, ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865".

L’espresso riconoscimento in capo al giudice amministrativo di “piena dignità” di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive di interesse legittimo potrebbe apparire pleonastico, scontato, quasi sorprendente: si tratta, tuttavia, di un passaggio motivazionale non solo necessario, in quanto imposto dall’esigenza di dare risposta a talune questioni sollevate dai giudici remittenti, ma anche funzionale all’assunto (sostenuto nel par. 3.4.1. della sentenza) della legittimità costituzionale delle disposizioni intese ad assegnare a quel giudice il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto (art. 35, d. lgs. N. 80/1998, e ora art. 7, comma 3, l. n. 1034/1971). Assunto fondato, peraltro, anche sulla rimarcata esigenza di assicurare il pieno dispiegarsi del principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost.: non vi è dubbio, infatti, che l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria costituisca “uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo, da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica Amministrazione”.

La illustrata ricostruzione delle origini storiche della giurisdizione amministrativa è dalla Corte valorizzate in sede di lettura delle disposizioni costituzionali e di individuazione dei limiti che nelle stesse il legislatore ordinario incontrerebbe nell'esercizio del potere di distribuire le competenze giurisdizionali.

 

Affrontando nel dettaglio il tema dei limiti costituzionali della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o, detto altrimenti, dei limiti costituzionali frapposti alla discrezionalità del legislatore nel delineare gli ambiti delle differenti giurisdizioni la Corte si è soffermata sull’art. 103 Cost. rinvenendo nel riferimento alle “particolari materie” di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo un limite quanto mai severo e stringente.

 

Ad avviso della Corte, infatti, il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del g.a. "ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse". L'art. 103, comma 1, Cost. dunque, lungi dal consentire una qualsivoglia evoluzione degli assetti giurisdizionali, frappone un preciso limite alla discrezionalità legislativa, dalla Corte puntualmente rilevato laddove rimarca la necessità che sia considerata la natura delle situazioni soggettive coinvolte e non il mero dato, puramente oggettivo, delle materie.

 

E’ questo il passaggio probabilmente più importante della pronuncia, destinata in questa parte ad orientare, e pesantemente limitare, le future scelte del legislatore in punto di equilibri giurisdizionali.

 

Osserva il Giudice delle leggi, infatti, che “il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare particolari materie nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe anche diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie. Tale necessario collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.

 

Il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice della pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”.

Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva quindi “devono partecipare della medesima natura” di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità”, “contrassegnata dalla circostanza che la pubblica Amministrazione agisce quale autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo”.

Non si intende in questa sede approfondire il merito dell’opzione interpretativa abbracciata dalla Consulta, volendosene vagliare le implicazioni applicative.

Non ci si può sottrarre, tuttavia, dal rilevare che l’assunto di fondo secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è costituzionalmente ammissibile con esclusivo riferimento alle controversie che vedono necessariamente l’Amministrazione coinvolta in veste di autorità va valutato tenendo conto della non agevole ravvisabilità in tale tipologia di contenzioso di situazioni giuridiche soggettive diverse dall’interesse legittimo; per non dire che sono state da tempo ormai espresse non infondate perplessità in merito alla tradizionale impostazione che ravvisa il fondamento costituzionale della giurisdizione esclusiva nella sola esigenza “di sciogliere l’inestricabile nodo gordiano tra diritti-interessi riscontrabile in taluni settori [9].

Certo è che, in disparte i possibili rilievi critici, la sentenza n. 204/2004 è destinata ad imprimere una brusca e definitiva battuta di arresto a quel trend ordinamentale, da tempo in atto, connotato per il consistente ampliamento delle materie di giurisdizione esclusiva, nonché, per quel che più conta, per il ripensamento del ruolo da assegnare al giudice amministrativo e della conformazione strutturale dello stesso processo amministrativo: la c.d. civilizzazione del giudice amministrativo e del suo armamentario processuale (si pensi, soprattutto, agli strumenti di tutela sommaria ma non cautelare innestati nel processo amministrativo dall’art. 8, legge n. 205/2000) poggia ormai su basi quanto mai incerte dopo lo storico intervento del Giudice costituzionale.

 

Con specifico riferimento all’art. 33, la Corte osserva, quindi, che il riferimento generico a "tutte le controversie" in materia di pubblici servizi prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte e si radica, vagamente, solo sulla presenza, pur statisticamente apprezzabile ma di per sé solo insufficiente, del pubblico interesse in questo tipo di cause: presenza da sola inadeguata a fondare un giudizio di compatibilità costituzionale attesa l’attitudine di quel generico riferimento ad attrarre nell’ambito della nuova giurisdizione esclusiva controversie nelle quali "può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità".

 

3. La parte additiva della sentenza n. 204/2004.

 

Senonché, la stessa Corte non si limita a demolire il testo dell’art. 33, ma fa luogo ad una vera e propria riscrittura dello stesso.

 

Nella parte additiva della sentenza in esame si legge, allora, che “la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990): sicché, conclusivamente, viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi» anziché le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (così come era previsto fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (così come era previsto dall’art. 33, comma 2, lettere c e d). Va altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 2 della norma in esame”.

 

Nella nuova formulazione risultante dall’intervento manipolativo della Corte l’art. 33 dispone, quindi, che "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n.481": è questa la parte della pronuncia che occorrerà tenere in considerazione nel verificare gli attuali equilibri giurisdizionali nella materia dei servizi pubblici.

4. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito.

Preme subito osservare, al riguardo, che l’intervento della Consulta, se certo ha drasticamente ridotto l’ambito della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici circoscrivendolo alle sole controversie involgenti la concessione di servizi, l’affidamento degli stessi, i procedimenti attivati e condotti nel rispetto della legge n. 241/1990, la vigilanza e il controllo, non ha disancorato la giurisdizione stessa dalla nozione di servizio pubblico che continua ad integrare, quindi, il primo criterio di delimitazione degli spazi di cognizione assegnati dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, ultima formulazione.

Si ripropongono, pertanto, e meritano un’attenta disamina, gli interrogativi riguardanti la nozione citata, la sua effettiva estensione, i criteri da seguire per la sua perimetrazione.

Superfluo osservare, peraltro, che nella nuova formulazione la ricostruzione della nozione di servizio pubblico assume un’utilità applicativa diversa; individuate, infatti, le attività qualificabili in termini di servizio pubblico sarà necessario ancora verificare se la controversia che le involge afferisce uno dei segmenti di contenzioso riconosciuti al giudice amministrativo dalla parte additiva della sentenza n. 204/2004 (concessione, affidamento, procedimento ex lege n. 241/1990).

È ancora vivace al riguardo, nel panorama dottrinale e giurisprudenziale, la contrapposizione tra concezione c.d. soggettiva e concezione c.d. oggettiva del servizio pubblico: contrasto per vero piuttosto stemperato per effetto del ripudio, peraltro imposto dall’evoluzione del quadro ordinamentale, delle posizioni estreme in passato assunte in seno al primo dei due orientamenti ermeneutici.

I fautori della prima teoria, nella sua versione «temperata» [10], pur escludendo la necessità che il servizio sia gestito in modo diretto ed esclusivo dalla pubblica amministrazione, identificano la pubblicità nella imputabilità del servizio all’organizzazione pubblica complessiva, nella titolarità dello stesso in capo all’apparato pubblico, ancorchè disgiunta dall’effettivo esercizio: elemento imprescindibile perchè il servizio possa considerarsi a connotazione pubblica è pertanto, alla stregua di siffatto approccio dottrinale, la determinazione della pubblica amministrazione di assumerne la titolarità. Del tutto marginale sarebbe, invece, la circostanza della partecipazione alla gestione del servizio — assunto come proprio dall’ente pubblico — di soggetti privati: gli stessi, infatti, si limiterebbero a prendere «parte ad un’attività dell’Amministrazione», sicché sarebbe sempre necessario «un provvedimento di natura concessoria» [11].

La pubblicità del servizio, pertanto, postulerebbe «un intervento dell’Amministrazione, che si traduca per lo meno in un rapporto specifico, di ordine organizzatorio, fra l’Amministrazione e il gestore del servizio» [12].

La esposta concezione soggettiva, pur nella sua versione temperata, non è andata del tutto esente da rilievi critici, attenti non solo al dato normativo, ma anche all’evoluzione complessiva del quadro ordinamentale e, in particolare, al progressivo passaggio che, a seguito e per effetto dei processi di privatizzazione in atto nel nostro paese, si sta verificando da una forma diretta di intervento pubblico in economia ad un modello di intervento che si contraddistingue, invece, per l’utilizzazione da parte della pubblica amministrazione e soprattutto di quei nuovi organismi pubblici costituiti dalle autorità amministrative indipendenti di strumenti di regolamentazione, indirizzo e controllo di attività non semplicemente gestite, ma sempre più spesso assegnate — anche sotto il profilo della titolarità — a soggetti privati: attività che, purtuttavia, non per cio` solo perdono quelle connotazioni pubblicistiche che spesso in passato avevano giustificato il loro espletamento ad opera di enti pubblici[13].

Quanto ai dati normativi, particolare impulso all’affermazione di una concezione oggettiva del servizio pubblico è stato dato dall’art. 43 Cost., a tenore del quale, come è noto, «a fini di utilità generale, la legge puo` riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Ed invero, come osservato in dottrina[14], da tale disposizione è consentito ricavare una serie di elementi militanti in favore della concezione oggettiva di pubblico servizio.

In primo luogo, infatti, la riserva o il trasferimento allo Stato o altro ente pubblico delle imprese che si riferiscono a pubblici servizi essenziali è prevista dalla disposizione costituzionale come mera possibilità, con la conseguenza che è costituzionalmente ammessa la eventualità di una gestione di tali servizi ad opera di privati; inoltre, tra i potenziali destinatari della riserva o del trasferimento l’art. 43 contempla anche le comunità di lavoratori o utenti, ossia soggetti che ben possono assumere natura giuridica privata. Proprio la prevista possibilità di un trasferimento in capo a soggetti privati della titolarità, non già certo della sola gestione, di servizi pubblici costituisce un argomento normativo difficilmente armonizzabile con la pur rivisitata concezione soggettiva.

L’opzione di stampo oggettivistico sembra, del resto, trovare ulteriori conferme in alcuni dati normativi anche recenti: tra questi, l’art. 2 del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito con emendamenti nella legge 30 luglio 1994, n. 474 recante Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, che, nel circoscrivere il novero delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, per le quali la dismissione della partecipazione azionaria comportante la perdita del controllo pubblico deve essere preceduta dal previo inserimento nei relativi statuti di una clausola volta ad attribuire al Ministro del Tesoro la titolarità di determinati poteri speciali, fa espresso riferimento a quelle che operano nei settori della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi: la prevista e programmata privatizzazione materiale, quindi, se certo determina il mutamento della natura giuridica dell’ente, non più pubblica, ma privata, non comporta il venir meno delle connotazioni pubblicistiche dell’attività dallo stesso espletata, che continua ad integrare la nozione di pubblico servizio e a presentare quell’indubbio interesse pubblico che solo giustifica la introduzione di quell’ampio ventaglio di strumenti di tutela previsti dalla citata legge n. 474/94 [15].

Argomenti a sostegno della tesi oggettiva possono trarsi anche dalle discipline dal legislatore dettate con riguardo alla complessa materia dei servizi pubblici locali e delle relative modalità di gestione.

Giova esaminare in estrema sintesi le tre principali tappe della recente evoluzione normativa, la prima costituita dall’entrata in vigore della legge n. 142 del 1990, la seconda dall’approvazione delle legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002, che con l’art. 35 ha profondamente innovato il precedente quadro normativo), la terza, infine, inaugurata con la il decreto legge n. 269 del 2003, conv. con legge L. 24 novembre 2003, n.326.

Ciascuno degli interventi legislativi indicati introduce previsioni utilizzabili quali vere e proprie attestazioni di validità dell’esposta opzione per una nozione di servizio pubblico di stampo oggettivistico.

Quanto alla prima delle tre fasi il giusto rilievo va, al riguardo, riconosciuto all’art. 22, legge n. 142/1990 (ora confluito nell’art. 113 del T.U enti locali) che espressamente prevedeva, come è noto, la costituzione della società per azioni a partecipazione pubblica locale quale forma di espletamento del servizio cui l’ente locale puo` ricorrerre ogniqualvolta si renda opportuna, in relazione al servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.

L’art. 22 l. 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali, sotto la rubrica «servizi pubblici locali», disponeva, infatti, al 3° comma che i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici (per tali intendendosi quelli che «abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolti a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali») «nelle seguenti forme: a) in economia, quando per le modeste dimensioni e per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o un’azienda; b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione al servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati».

 La scelta, da parte dell’ente pubblico, della forma di gestione ha luogo in relazione alla natura del servizio ed è affidata a valutazioni ampiamente discrezionali, che debbono tuttavia aver riguardo agli obiettivi programmati ed al modo migliore di realizzare l’interesse pubblico ad essi sotteso. In particolare, ove il servizio di gestire consista in attività di rilevanza imprenditoriale, ossia in attività economiche volte alla produzione e allo scambio di beni o di servizi, l’ente pubblico ha facoltà di affidarlo in concessione a terzi ovvero di gestirlo a mezzo d’«azienda speciale» o di «società per azioni a prevalente capitale pubblico locale» (requisito, quest’ultimo, non più richiesto a seguito dell’entrata in vigore della l. 23 dicembre 1992 n. 498, il cui art. 12 ha apportato rilevanti modificazioni all’art. 22 l. 142/90).

 La scelta del modello organizzatorio della gestione a mezzo di società per azioni partecipata dall’ente pubblico è generalmente determinata, da un lato, dalla opportunità di promuovere la collaborazione tra enti locali ed altri soggetti apportatori di capitali, di tecnologie, di organizzazione e di competenze imprenditoriali specifiche, nella prospettiva di una più efficiente prestazione del servizio mediante una più agile struttura di tipo privatistico; dall’altro lato, dalla determinazione dell’ente pubblico di non estraniarsi totalmente dall’attività di gestione (come avviene in caso di concessione), ma di essere presente nella compagine societaria con il capitale conferito (in misura maggioritaria) e con gli amministratori e i sindaci da esso nominati, per poter indirizzare dall’interno l’attività sociale, nelle forme consentite dalla disciplina civilistica delle società, verso gli obiettivi di interesse pubblico che l’amministrazione intende realizzare, senza pregiudizio, peraltro, per l’economicità della gestione e per il conseguimento (almeno eventuale) del profitto, che resta lo scopo primario di una società di capitali.

È quindi certamente vero che si è in presenza di una delle distinte modalità utilizzabili dall’ente pubblico per la gestione dei servizi pubblici locali, tali dovendosi intendere quelli che a giudizio dell’ente stesso, ex art. 32 secondo comma, lett. f), rivestano utilità sociale: senonchè, non si puo` trascurare che, diversamente da quanto si verifica in caso di affidamento della gestione del servizio mediante concessione in favore di soggetto privato, ove quest’ultimo è mero gestore di un’attività la cui titolarità permane in capo all’apparato pubblico, gli organismi societari a partecipazione pubblica maggioritaria o minoritaria — la cui natura giuridica assolutamente privatistica è stata ripetutamente riconosciuta dalle Sezioni Unite di Cassazione — espletano il servizio in assenza del presupposto concessorio, come a più riprese affermato, vigente quel testo normativo, dalla giurisprudenza amministrativa e da quella di Cassazione.

Come sostenuto in nota pronuncia delle Sezioni unite di Cassazione, infatti, una volta deliberata (ovviamente con procedure di diritto pubblico) la costituzione di una società per azioni per la gestione di un determinato servizio locale, non necessita un (ulteriore) provvedimento di concessione in senso tecnico (che presupporrebbe un procedimento di valutazione e selezione degli aspiranti - concessionari): l’opzione dell’ente per quel modello di gestione comporta, infatti, l’affidamento diretto e «privilegiato» del servizio alla società appositamente costituita, il cui oggetto consiste proprio nello svolgimento dell’attività economica in cui il servizio stesso si concreta. Questa conclusione, pur se ha sollevato dubbi circa la compatibilità di un simile sistema di «affidamento» con la normativa comunitaria di tutela della concorrenza e della par condicio delle imprese operanti nell’ambito delle Comunità europee[16], è sembrata ineludibile alla luce della lettera e della ratio della disposizione di legge in esame (art. 22 l. 142/90 cit.), nella quale l’istituto della «concessione a terzi» del servizio era previsto in alternativa alla gestione del servizio stesso a mezzo di società per azioni con partecipazione maggioritaria dell’ente locale.
Agevole concludere, allora, che alle società in questione è riconosciuta, già alla stregua dell’originario quadro normativo e almeno sotto un profilo formale, certo non privo di implicazioni pratiche, la pertinenza del servizio stesso.

Nella seconda fase di questo ipotetico e tortuoso percorso evolutivo dalla legislazione italiana compiuto nel tentativo di dettare le regole cui la gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali devono conformarsi, l’art. 35 legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) , nel ridisciplinare organicamente la materia, ha riformulato l’art. 113 d.lgs. n. 267/2000 e ha introdotto ex novo l’art. 113-bis [17].

La nuova normativa opera una netta distinzione tra servizi aventi rilevanza industriale e servizi che ne sono privi. Con riferimento ai primi, l’art. 113, comma 5, prevede che ‘‘l’erogazione del servizio, da svolgere in regime di concorrenza, avviene secondo le discipline di settore, con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica’’.

La norma contiene due elementi di sicuro interesse: da un lato, sancisce la regola dell’obbligatorietà della gara con procedura di evidenza pubblica per l’individuazione del gestore superando così il sistema dell’affidamento diretto di cui in passato potevano beneficiare le società miste a partecipazione pubblica locale [18]; dall’altro, per quel che qui più interessa, attribuisce espressamente la titolarità del servizio non agli enti locali, ma alle società di capitali, a soggetti cioè cui deve senz’altro riconoscersi natura privatistica.

Agli enti locali, invece, il legislatore del 2001 ha assegnato essenzialmente funzioni di indirizzo, di programmazione dello sviluppo delle reti e delle infrastrutture, nonchè di vigilanza e controllo di attività le quali, pur avendo un indubbio carattere pubblicistico sono non solo gestite ma assegnate, anche sotto il profilo della titolarità, a gestori privati.

Per quanto riguarda invece i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, il modello di gestione generale previsto dal nuovo art. 113-bis d.lgs. n. 267/2000 non è la società di capitali scelta in base a procedura ad evidenza pubblica, ma l’affidamento diretto in favore di istituzioni, aziende speciali e società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali e regolate dal codice civile. Con riferimento a quest’ultime valgono allora le considerazioni svolte sopra per le società miste già previste dall’art. 22, comma 3, lett. e) legge n. 142 del 1990: si tratta di soggetti privati che svolgono la loro attività in assenza di concessione e ai quali pertanto deve riconoscersi la titolarità e non la mera gestione del servizio.

La terza ed ultima tappa dell’evoluzione è quella inaugurata, come già rilevato, dall’entrata in vigore dell’art. 14 del decreto-legge n. 269/2003, conv. con L. 24 novembre 2003, n.326, che, riscrivendo ancora l’art. 113, d. lgs. n. 267/2000, ha in primo luogo sostituito alla distinzione tra servizi di rilevanza industriale e servizi di rilevanza non industriale, quella tra servizi di rilevanza economica e servizi di rilevanza non economica.

Quanto ai primi, ferma la previsione secondo cui l’erogazione del servizio comporta “conferimento della titolarità”, si prevede quale regola generale l’obbligo di indire e gestire procedure ad evidenza pubblica per la selezione della società di capitali cui affidare il servizio.

Alla regola, tuttavia, il riscritto art. 115, comma 5, D. lgs. n. 267/2000, fa eccezione con riferimento a due casi rispettivamente contemplati dalle lett. b) e c) della previsione citata.

La gara infatti non è richiesta, così consentendosi l’affidamento diretto, quando si tratta di “società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche” (lett. b), ovvero di “società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”: previsione, quest’ultima che richiama la nozione tipicamente comunitaria di affidamento in house [19].

Alla stregua della teoria c.d. oggettiva, quindi, assume rilievo decisivo — in sede di individuazione delle attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico — non già certo la possibilità di considerarle di pertinenza dell’amministrazione pubblica, bensì il loro assoggettamento ad una disciplina settoriale che assicuri costantemente il perseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, lungi dal limitarsi a connotare sul versante meramente teleologico tale genere di attività, costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime giuridico tutto peculiare [20].

Anche nell’ambito di tale seconda opzione ricostruttiva si registrano, in realtà, differenze per nulla trascurabili.

Un primo indirizzo ricomprende nella nozione di servizio pubblico tutte le attività in qualche modo assoggettate a forme più o meno intense di regolamentazione pubblica: proprio con riferimento alla disposizione in commento, l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, nel parere n. 30 del 12 marzo 1998 reso sullo schema di decreto presentato dal Governo, ha affermato che l’art. 33 avrebbe fatto propria la nozione oggettiva di servizio pubblico «nella sua portata più ampia», fino a ricomprendere nel suo ambito «tutte le attività svolte da qualsivoglia soggetto, riconducibili ad un ordinamento di settore, sottoposte cioè a controllo, vigilanza o a mera autorizzazione da parte di una amministrazione pubblica».

L’impostazione ha prestato il fianco ad una sin troppo agevole obiezione: risulterebbe difficile differenziare, infatti, la semplice attività economica, anch’essa sovente assoggettata a forme più o meno penetranti di interferenza ad opera della mano pubblica, dal vero e proprio servizio pubblico.

Su altra linea si collocano, allora, quegli indirizzi che, nell’intento di perimetrare in termini più puntuali la nozione in esame pur muovendo da un approccio di tipo oggettivo, indicano i tratti che il regime giuridico cui l’attività è assoggettata deve in concreto presentare perchè la stessa possa assumere le sembianze del servizio pubblico. Non sarebbe sufficiente, infatti, che l’attività sia sottoposta a misure di controllo, vigilanza o di mera autorizzazione da parte di un’amministrazione pubblica.

Ciò che, invece, contraddistingue l’attività qualificabile come servizio pubblico è la necessità che la stessa sia espletata in ossequio al principio di imparzialità implicante la doverosa osservanza di una serie di obblighi, tra cui, non solo quello di svolgere l’attività con carattere di continuità e regolarità, ma anche e soprattutto quello di non operare alcuna forma di favoritismo o discriminazione, ammettendo al servizio, o meglio alle prestazioni cui lo stesso è preordinato, tutti coloro che vi hanno titolo, nel rispetto, peraltro, del principio di uguaglianza dei diritti dell’utente.

E’ necessaria pertanto la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali, in specie, quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata, invece, una comune attività economica.

4.1. La nozione di servizio pubblico ex art. 33, d. lgs. n. 80/1998, dopo Corte cost. n. 204/2004: il contenzioso relativo al settore farmaceutico.

Senonché, la nozione di servizio pubblico rilevante ai sensi della disposizione in esame quale parametro di delimitazione della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo presuppone un ulteriore requisito, dalla giurisprudenza desunto sulla scorta di una lettura finalistica e costituzionalmente orientata dell’art. 33. Si è così ritenuto che in sede di ricostruzione della decisiva nozione di servizio pubblico, l’interprete debba utilizzare, quali ausili di tipo ermeneutico, tutti i riferimenti contenuti nell’art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, non ultimi quelli volti ad indicare, sia pure con finalità meramente esemplificative, talune tipologie di attività sussumibili nel concetto in questione.

Se è vero, infatti, che il legislatore del ’98 si è sottratto al compito di indicare espressamente gli elementi costitutivi e tracciare gli essenziali confini della nozione in esame, non è men vero, d’altra parte, che sono desumibili dalla stessa formulazione del citato art. 33, in specie dall’elencazione esemplificativa di cui al primo comma, talune essenziali indicazioni sintomatiche della scelta di far riferimento a quelle attività non solo assoggettate ad un regime giuridico implicante la necessaria osservanza di un dovere di imparzialità e di obblighi di continuità, regolarità ed obiettività in sede gestionale, ma anche connotate, sul piano finalistico, dall’idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti.

L’illustrata accezione restrittiva di servizio pubblico, basata sulla destinazione finalistica dell’attività in favore di una platea indifferenziata di utenti, pare in linea anche con la nuova formulazione dell’art. 33, d.lgs. n. 80/1998, come risultante a seguito di Corte cost. n. 204/2004: anche nella nuova versione, infatti, permane il riferimento a taluni settori (trasporto, telecomunicazioni, servizi pubblici ex lege n. 481/1995) nei quali l’attività del gestore presenta le indicate connotazioni funzionali.

Tale impostazione interpretativa è stata in passato accolta dal Giudice della giurisdizione, chiamato a verificare l’operatività dell’art. 33 con riguardo alle controversie promosse dalle case farmaceutiche per conseguire il pagamento dei compensi spettanti a fronte di forniture di prodotti effettuate in favore dell’unità sanitaria sì da consentire alla stessa il conseguimento dei beni necessari per la gestione del servizio sanitario [21].

Le Sezioni Unite sottolineano che « le prestazioni rese all’amministrazione sanitaria per consentire ad essa di ottenere i beni utilizzati per gestire il servizio sanitario ... si collocano a monte di tale servizio e non possono confondersi con le prestazioni del servizio pubblico, il quale si caratterizza per il fatto che è erogato al pubblico degli utenti ». Nella parte centrale del circuito motivazionale la Corte di Cassazione rimarca come « il significato preciso della nuova materia di giurisdizione esclusiva indicata dal citato art. 33 in termini di pubblici servizi debba essere tratto soprattutto dal contenuto di questa disposizione normativa, attraverso un processo di astrazione concettuale che, dalle previsioni esemplificative contenute nei primi due commi dell’articolo, risalga alla nozione di tale materia »: ciò anche e soprattutto con l’intento di « pervenire ad un risultato giuridicamente corretto », attento ai referenti costituzionali, primo tra tutti l’articolo 103, primo comma, « il quale ha previsto che il legislatore possa attribuire al giudice amministrativo la giurisdizione su particolari materie in cui coesistano interessi legittimi e diritti soggettivi. Nessun contrasto è peraltro ravvisabile tra la pronuncia illustrata e quella con cui l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ricondotto nell’ambito della giurisdizione esclusiva di cui all’art. 33 le controversie, comprese quelle riguardanti il mancato pagamento di somme, intercorrenti tra il titolare di una farmacia e una A.S.L. o un’altra amministrazione pubblica facente parte del Servizio sanitario nazionale (CS, Ad. Plen. 30 marzo 2000, ord. n. 1): le controversie prese in considerazione dal Supremo Consesso della giustizia amministrativa sono, infatti, strettamente connesse alla gestione di un tipico servizio pubblico, quale è ritenuto quello che il titolare della farmacia espleta in favore della platea indifferenziata di utenti.

Si consideri, peraltro, che al riparto di giurisdizione occorre ora attendere applicando le innovazioni apportate da Corte cost. n. 204/2004: va quindi senz’altro esclusa la giurisdizione esclusiva per le controversie squisitamente patrimoniali intercorse tra farmacista e amministrazione.

Ciò non esclude che possa residuare uno spazio di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel settore farmaceutico: si pensi alle controversie riguardanti l’affidamento dell’attività.

La questione era già stata esaminata da Cons. Stato, Ad. Plen., 31 maggio 2002, n. 5, che ha sostenuto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del g.a. della controversia relativa alla legittimità del silenzio rifiuto serbato dalla regione in ordine all’istanza di assegnazione di una sede farmaceutica atteso che il servizio farmaceutico è considerato ad ogni effetto servizio pubblico ai sensi del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80.

5. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi.

Volendo formulare alcune prime impressioni sulla nuova giurisdizione delineata dalla Consulta, giova prendere in considerazione la prima ipotesi di giurisdizione esclusiva tenuta ferma dalla sentenza n. 204/2004: quella involgente le controversie relative a concessioni di pubblici servizi.

Si ritorna, in tal modo, all’ipotesi originariamente contemplata dall'art. 5 legge TAR, di cui si ribadisce il contenuto precettivo anche per quel che attiene al limite frapposto all’ampiezza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: ne restano, infatti, sottratte le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi.

E’ destinato, quindi, a restare tendenzialmente sottratto al giudice amministrativo, o quanto meno alla sua cognizione esclusiva, il contenzioso avente ad oggetto le pretese creditorie degli operatori del servizio sanitario (farmacisti, case di cura) nei confronti delle Asl, nonché, più in generale, quelle vantate dai gestori di pubblici servizi per l’intervenuto espletamento del servizio stesso.

Come anticipato, si ridimensiona fortemente l’ambito di invocabilità, innanzi al giudice amministrativo, di quei tipici strumenti di tutela dei diritti soggettivi a contenuto squisitamente patrimoniale innestati nel processo amministrativo con l’art.8 della della legge 205 del 2000: decreto ingiuntivo, ordinanze anticipatorie di condanna ex artt. 186 bis e 186 ter c.p.c.

Strumenti introdotti dal legislatore del 2000 proprio per assicurare un adeguato livello di tutela ai titolari di posizioni soggettive a contenuto spiccatamente patrimoniale, fuoriuscite dall’ambito cognitorio del giudice ordinario anche e soprattutto per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998.

Si consideri, peraltro, che l’utilizzazione, nella parte dispositiva ed additiva della sentenza della Corte costituzionale, di una formulazione testuale molto vicina [22] a quella dell'art. 5, legge TAR, consentirà di tener conto, nell’esame delle singole questioni applicative, degli indirizzi giurisprudenziali formatisi in sede di interpretazione di quella previsione; indirizzi che, ad onta dell’apparente chiarezza del dettato normativo, non risultano sempre omogenei.

Giova dare atto, quindi, delle principali questioni sul tappeto, ora destinate a riproporsi in sede di applicazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, come riscritto da Corte cost. n. 204/2004.

In primo luogo, non è affatto scontata la natura della giurisdizione delineata dal citato art. 5, co. 2, l. TAR.

Secondo un indirizzo più radicale [23] la ripartizione della giurisdizione operata dal legislatore deve intendersi effettuata per materie, con la conseguenza che il giudice ordinario dovrebbe conoscere tutte le controversie relative a canoni e corrispettivi, indipendentemente dalle situazioni giuridiche coinvolte. Alla stregua di tale orientamento, quindi, l'art. 5 radicherebbe due distinte ipotesi di giurisdizione esclusiva: al primo comma quella del G.A. in materia di concessioni di beni; al secondo quella dell'A.G.O. in materia di canoni ed altri corrispettivi.

Per l'orientamento contrapposto [24], invece, l’art. 5, legge TAR, lungi dal creare una giurisdizione esclusiva dell'A.G.O., avrebbe semplicemente ripristinato, in materia di canoni ed altri corrispettivi, le regole generali sul riparto di giurisdizione, con la conseguenza che, di volta in volta, sarà necessario verificare la natura della situazione giuridica in contestazione.

Si pone, quindi, aderendo a tale contrapposto fronte ricostruttivo, l’esigenza di individuare un criterio sufficientemente certo e funzionale di attribuzione della giurisdizione.

Una prima soluzione, talvolta seguita dalla giurisprudenza amministrativa, è stata quella di riservare al giudice amministrativo tutte le controversie in cui la soluzione della questione relativa alla misura del canone sia meramente consequenziale rispetto a quella da dare al principale punto della qualificazione giuridica o della natura intrinseca dell'atto concessorio [25], e, addirittura, ogni controversia in materia di canoni in cui venga in discussione anche l'atto concessorio.

Si è però obiettato che l'atto concessorio viene sempre in qualche modo in rilievo, anche quando si controverte esclusivamente sui diritti patrimoniali che su di esso si fondano. Da qui la necessità di trovare un più preciso criterio di riparto onde evitare di attrarre l'intera materia dei canoni e dei corrispettivi nell'orbita della giurisdizione amministrativa, privando di significato il comma 2 dell'art. 5 cit. e "tradendo" la volontà del legislatore.

Si è allora sostenuto il radicarsi della giurisdizione amministrativa di legittimità per le ipotesi in cui la soluzione della controversia concernente la misura del canone postuli un sindacato sul potere discrezionale esercitato dalla P.A. nell’ambito del rapporto concessorio.

Laddove non venga in discussione tale potere, e la fissazione del canone debba avvenire sulla base di rigidi criteri di legge, la giurisdizione sarà dell'A.G.O.; così, ad esempio, nel caso in cui si controverta solo sull'individuazione della disciplina per la determinazione del canone prevista dal legislatore o sulla sua interpretazione [26].

Qualora, poi, fosse in discussione non la correttezza dell'uso del potere discrezionale da parte della P.A. ma la sua stessa esistenza (nullità della clausola della convenzione che consente all'amministrazione di determinare a posteriori il canone di concessione), la controversia, che attiene a diritti soggettivi non degradati ad interessi legittimi a causa della nullità della clausola, dovrebbe spettare alla cognizione dell'A.G.O. [27].

Articolata appare la soluzione del problema di giurisdizione nel caso di scadenza della concessione: la Cassazione attribuisce infatti alla giurisdizione esclusiva del G.A. non solo le controversie in tema di rinnovo della concessione, ma anche quelle in materia di determinazione del canone per il caso di rinnovo, prima facie rientranti nell’ambito cognitorio dell'A.G.O. ai sensi del comma 2 dell'art. 5 l. TAR. Ed invero, come chiarito dalle Sesioni unite di Cassazione [28], tale norma non risulta applicabile per la mancanza, in capo all'ex concessionario che aspira al rinnovo, di una situazione qualificabile in termini di diritto soggettivo. Nel dettaglio, ad avviso delle Sezioni unite, “le controversie concernenti la consistenza di canoni dovuti in corrispettivo di una concessione in fieri, essendone stata presentata domanda di rinnovo, il cui accoglimento la p.a. condizioni al pagamento di tali canoni, sulla quantificazione dei quali insorga contestazione, appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, atteso che, affinché possa sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, deve ricorrere il presupposto della concessione, sicché, fino a quando essa non sia rinnovata - se è configurabile un interesse al rinnovo, tutelabile davanti al giudice amministrativo - non v’è un diritto, già sorto, a pagare come canone della concessione una anziché altra somma, e dunque non ne può essere chiesta tutela al giudice ordinario”.

Giova inoltre considerare che presupposto indefettibile per l'applicabilità dell'art. 5 comma 2 legge TAR è che il corrispettivo si collochi all'interno di un singolo rapporto concessorio, nella relazione tra amministrazione concedente e privato concessionario. Dal raggio di azione della norma esulano dunque i provvedimenti generali con cui si determina la misura delle tariffe: trattasi infatti di atti validi per un'intera categoria di fruitori del bene (o del servizio), rispetto ai quali sono configurabili posizioni di interesse legittimo degli imprenditori del settore, degli utenti o degli organismi collettivi rappresentativi dei consumatori [29].

Ulteriore problema di giurisdizione in materia di concessioni di beni si è posto infine con riguardo alle controversie tra concessionario e terzi. Come la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha chiarito, si ha giurisdizione esclusiva del G.A. quando "la pretesa del concessionario nei confronti del terzo, derivante dal rapporto tra costoro costituito, sia basata sul contenuto dell'atto di concessione e sia, quindi, riferibile direttamente all'amministrazione pubblica concedente"[30]; è quanto si verifica allorché l'amministrazione abbia espressamente previsto e autorizzato nella concessione il rapporto tra il concessionario ed un determinato terzo. La giurisdizione apparterrà invece all'A.G.O. qualora la pretesa trovi la sua origine in un rapporto tra concessionario e terzo rispetto al quale la concessione sia semplice presupposto, essendo ad esso l'amministrazione rimasta estranea. In tale ipotesi, non sussistendo alcun collegamento tra il rapporto derivato e quello di concessione, la controversia tra il concessionario e il terzo assumerà infatti connotazione squisitamente privatistica [31].

6. Le controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

La Consulta, nella operata riscrittura dell’art. 33, ha riguardo, inoltre, alle controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

L’intervento manipolativo è questa volta quanto mai criptico e di non agevole comprensione nella parte in cui riferisce ai gestori di pubblici servizi la possibile titolarità e gestione di procedimenti amministrativi regolamentati dalla legge n. 241/1990: si consideri, in particolare, che alla gestione di un pubblico servizio sono non di rado preposti soggetti giuridici a natura privata, la cui assoggettabilità alla sfera di efficacia della legge n. 241/1990 non è affatto scontata, tanto più se si considera che la stessa legge prende in considerazione indistintamente i gestori di pubblico servizio al solo art. 23 (come modificato dall’art. 4, legge n. 265/1999) in sede di identificazione dei soggetti tenuti all’osservanza della disciplina in tema di ostensione.

Nel tentativo di riconoscere una portata applicativa al riferimento contenuto ai gestori di pubblico servizio nella sentenza n. 204/2004 è stata posta in luce l’attitudine espansiva dei principi della legge n. 241/1990, destinati a trovare applicazione per effetto della “qualità sostanziale del potere pubblico, a prescindere dalla veste formale indossata da chi lo esercita” [32].

Lo spunto merita attenzione, non senza obliterare tuttavia che l’ambito di operatività della legge n. 241/1990 è espressamente riferito (cfr. artt. 1, 2, 4, 5, 7, 8, 14, 15, 16) alle sole amministrazioni, non anche a gestori privati di attività a connotazione pubblica: del resto, l’unico riferimento ai gestori, contenuto nell’art. 23, legge n. 241/1990, e peraltro inserito solo dalla legge n. 265/1999, potrebbe essere agevolmente inteso come conferma a contrario della non inclusione degli stessi nell’ambito di operatività della disciplina dettata dalla legge n. 241/1990 al di fuori della materia relativa all’accesso agli atti [33].

Meno problematico il riferimento alle controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241: può pensarsi al caso in cui l'amministrazione, applicando anche la legge n. 241 del 1990, provveda alla scelta di un socio privato per la costituzione di una società mista affidataria della gestione di un servizio pubblico.

Si pensi ancora al contenzioso relativo alla legittimità di una delibera di revoca del consenso alla trasformazione di azienda speciale in società per azioni, già in passato ricondotta nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dal Cass., Sez. un., 10 ottobre 2002, n. 14474, in applicazione dell’ormai cancellata lett. a) dell’art. 33, co. 2, d. lgs. n. 80/1998.

Pare arduo ritenere, infatti, che il Comune possa sottrarsi alle regole dettate dalla legge n. 241/1990 in sede di adozione della indicata delibera di revoca del consenso alla trasformazione di azienda speciale.

Più problematica, invece, la sussumibilità entro l’ambito di operatività della ipotesi di giurisdizione esclusiva in esame del contenzioso relativo alla revoca ad opera dell’ente locale degli amministratori di società mista preposta alla gestione del servizio pubblico.

La soluzione può risultare condizionata dall’opzione che si ritiene di seguire in merito alla questione relativa alla natura, di diritto pubblico o privato, dell’atto di revoca: questione scandagliata dal Cons. Stato., sez. V, 13 giugno 2003, n. 3346, che ha sostenuto il carattere privatistico dell’atto di nomina del socio (e quindi anche della sua revoca), rimarcando la genesi patrizia e convenzionale della relativa facoltà: non si tratterebbe, dunque, di estrinsecazione di potestà pubblica, da assoggettare alle regole di cui alla legge n. 241/1990, ma di mera facoltà negoziale.

7. Controversie relative all’affidamento del servizio.

Resta ancora ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative all'affidamento di un pubblico servizio: tra queste, quelle che coinvolgono la procedura selettiva e le modalità con cui la stessa è gestita, quelle nelle quali si discute della omessa osservanza dell’obbligo di gara e dell’affidamento diretto del servizio, nonché, ancora, quelle, che, pur non inerendo direttamente all’affidamento del servizio, attengono ad attività che, successive all’avvio del rapporto tra amministrazione e gestore del servizio, sono tuttavia destinate ad incidere in senso modificativo sulle originarie condizioni che regolano quel rapporto stesso (si pensi alla controversia relativa alla rinegoziazione delle condizioni di aggiudicazione della gara: cfr. al riguardo, prima di Corte cost. n. 204/2004, Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2003, n. 4167).

8. Controversie relative alla vigilanza e al controllo.

La sentenza della Consulta lascia inoltre intatta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché per quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare.

Il persistente riferimento alla vigilanza, se da un lato garantisce l’attualità del vivace dibattito sorto sulla questione relativa al riparto di giurisdizione in materia di sanzioni, innesca, dall’altro, qualche perplessità in merito all’attitudine della sentenza della Consulta a rompere gli equilibri giurisdizionali che sembravano raggiunti sulla differente problematica afferente la responsabilità risarcitoria delle Autorità di vigilanza: si pensi alla responsabilità della Consob per i danni arrecati ai risparmiatori a causa dell’omesso controllo sulla veridicità e completezza dei prospetti informativi.

La questione è stata di recente esaminata da Cass., Sez. un. 2 maggio 2003, n. 6719, che ha affermato al riguardo la giurisdizione del giudice ordinario facendo però leva sul limite frapposto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’ormai cancellato art. 33, comma 2, lett. e, d. lgs. n. 80/1998, e dal riferimento nello stesso contenuto alle “controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose”. Ad avviso del giudice della giurisdizione, invero, “la ragione per cui un tale tipo di controversie resta … alla giurisdizione ordinaria e non è devoluta ala giurisdizione esclusiva, pur se si genera nell’area delle attività riconducibili alla nozione di pubblico servizio, è da vedere … nel fatto che il risarcimento non si presenta come mezzo di completamento della tutela, .., ma è l’unico mezzo di tutela che l’ordinamento offre a soggetti rimasti danneggiati per colpa del titolare del servizio, in occasione dell’esercizio di poteri e dello svolgimento dell’attività in cui il pubblico servizio si svolge”.

Senonché, la conclusione cui le Sezioni unite sono pervenute nel 2003 deve ora fare i conti con la dichiarazione di illegittimità costituzionale che ha colpito nel luglio 2004 l’intero comma secondo dell’art. 33 e il riferimento, contenuto nella lett. e, alle “controversie meramente risarcitorie” quale limite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: per un apparente paradosso, va rimessa in discussione la illustrata questione di giurisdizione. Si consideri, del resto, che anche dopo Corte cost. n. 204/2004, resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie involgenti l’attività di vigilanza (art. 33, comma 1, nuova ed ultima formulazione): previsione, questa, da applicare in uno al successivo art. 35, d. lgs. n. 80/1998, inteso ad ascrivere al giudice amministrativo cognizione sulle questioni risarcitorie sorte nelle materie attratte alla sua giurisdizione esclusiva [34].

Quanto al riparto di giurisdizione in materia di sanzioni, restano ferme, come accennato, le difficoltà interpretative già sorte sotto la precedente formulazione.

Le difficoltà ermeneutiche sono dettate dalla necessità di coordinare le suindicate previsioni introdotte dal d.lgs. n. 80/98 con le discipline di settore che prevedono in talune ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario: è quanto si verifica in relazione alle impugnazioni delle ordinanze-ingiunzioni adottate nell’esercizio dei poteri di vigilanza.

Un non semplice problema interpretativo è posto dal riferimento legislativo alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare. Le difficoltà ermeneutiche sono dettate dalla necessità di coordinare le suindicate previsioni introdotte dal d.lgs. n. 80/98 con le discipline di settore che prevedono in talune ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario: è quanto si verifica in relazione alle impugnazioni delle ordinanze-ingiunzioni adottate nell’esercizio dei poteri di vigilanza. Il coordinamento delle due indicazioni normative potrebbe condurre a risultati diametralmente opposti a seconda che si adotti, quale canone di individuazione della disposizione applicabile, quello cronologico della lex posterior, la cui utilizzazione implicherebbe la concentrazione presso il giudice amministrativo di tutte le controversie in materia di vigilanza e controllo nei confronti dei gestori di pubblici servizi, ovvero quello inteso a distinguere tra poteri di vigilanza, attratti nella nuova giurisdizione esclusiva, e poteri sanzionatori in senso stretto, sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario, anche in applicazione di preesistenti disposizioni, ritenute prevalenti alla stregua del criterio della lex specialis .

Non mancano, per vero, precedenti giurisprudenziali che, formatisi in relazione alla questione della riconducibilità in altre materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di controversie concernenti l’impugnazione di provvedimenti sanzionatori, possono fornire indicazioni utili in sede di soluzione del dilemma prospettato.

 

Il riferimento è all’orientamento seguito dalle Sezioni unite di Cassazione in materia di poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato: la l. 10 ottobre 1990, n. 287, da un lato, prevede che “i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” (art. 33), dall’altro, stabilisce che “per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689” (art. 31), ossia quelle che, nell’integrare la disciplina generale in materia di sanzioni amministrative, dispongono la competenza funzionale del giudice ordinario sui giudizi di impugnazione delle ordinanze ingiunzione. Come è noto, le Sezioni unite, mosse dall’intento di garantire la massima concentrazione dei giudizi nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, hanno affermato che la cognizione dei ricorsi avverso i provvedimenti sanzionatori adottati dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato va riconosciuta, ai sensi dei citati artt. 31 e 33, al giudice amministrativo in sede esclusivo, precisando che il riferimento fatto dallo stesso art. 31 alle disposizioni della l. n. 689/81 è unicamente volto a richiamare la disciplina di taluni aspetti sostanziali dell’illecito o della procedura di irrogazione della sanzione e di riscossione (CC., S. U., 5 gennaio 1994, n. 52).

 

Un’interpretazione diametralmente opposta è stata, invece, accolta dal T.A.R. Liguria intervenuto su ricorso volto d impugnare l’ordinanza con cui il presidente della provincia di La Spezia ha ingiunto al direttore della centrale ENEL di zona il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, a seguito della realizzazione di una discarica ritenuta abusiva, atteso lo stoccaggio, in assenza della prescritta autorizzazione, di enormi quantità di ceneri umide derivanti dal funzionamento della centrale stessa. Si è sostenuto che la vigilanza e il controllo costituisce solo il presupposto dell’eventuale sanzione: la formulazione testuale della disposizione in commento, pertanto, precluderebbe al giudice amministrativo di giudicare della legittimità di un’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una multa, espressione di un potere punitivo e sanzionatorio (parapenale), oggetto di esclusiva cognizione del giudice ordinario, non già manifestazione del potere di vigilanza e controllo (TAR Liguria, 15 aprile 1999, n. 181).

A diverso indirizzo ha aderito tuttavia la più recente giurisprudenza.

Ed invero, il riferimento alla vigilanza sul credito è stato utilizzato per sostenere che si radica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ipotesi di controversia originata dall’impugnativa del decreto del ministro del tesoro che, su proposta della banca d’Italia, infligge ad una banca sanzioni amministrative pecuniarie ai sensi dell’art. 144 d.leg. 1º settembre 1993 n. 385 (TAR Lazio, sez. I, 7 settembre 2001, n. 7236, Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2003, n. 2533).

Nell’articolato apparato motivazionale, i Giudici amministrativi osservano che dal raffronto fra il testo originario dell’art. 33 cit., che faceva generico riferimento — per quanto qui interessa — ai «servizi afferenti al credito», ed il testo novellato dalla l. 205/00, traspare con chiarezza l’intenzione legislativa di affidare unitariamente alla giurisdizione amministrativa, ratione materiae, la cognizione dei giudizi relativi all’attività di vigilanza sul credito. Si consideri questa, infatti, come «servizio pubblico», secondo quanto fa la nuova versione dell’art. 33 cit., o invece, in ossequio all’art. 4 d.leg. n. 385 del 1° settembre 1993 (t.u.b.), come una «funzione»; il punto certo che ne emerge, pur in presenza di categorie dogmatiche dai confini insicuri, è proprio quello della volontà di assegnare al giudice amministrativo tutto il contenzioso inerente alla vigilanza sul credito. In questo contenzioso, quindi, rientra –ad avviso dei giudici amministrativi- la descritta controversia, atteso che l’irrogazione di sanzioni deve essere considerata come un momento della «vigilanza sul credito», da intendere come inscindibilmente comprensiva, oltre che dei profili istruttori, ispettivi, permissivi e regolamentari dei quali si occupano gli art. 51 ss. t.u.b., anche di quello sanzionatorio.

L’esposto indirizzo giurisprudenziale pare tuttavia in parte superato dal legislatore che, in occasione della recente riforma del diritto societario, con l’art., comma 2, d.klgs. n. 5 del 2003, ha ripristinato la competenza esclusiva della Corte di appello di Roma sia per le sanzioni in materia creditizia che per quelle in materia mobiliare.

La disposizione, che peraltro conferma, argomentando a contrario, che in mancanza di espressa e diversa previsione la giurisdizione sulle sanzioni irrogate nell’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di servizi pubblici spetta al giudice amministrativo, è stata bersaglio di consistenti rilievi critici intesi a rimarcarne la contraddittorietà rispetto alla scelta (compiuta due anni prima) di devolvere al giudice amministrativo il contenzioso relativo alla vigilanza sul credito e sui mercati mobiliari; si è anche dubitato della tenuta costituzionale della disposizione e della sua armonizzabilità con i limiti della delega di cui all’art. 12, legge 3 ottobre 2001, n. 366.

9. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.

 

Problematico è ancora il persistente riferimento, contenuto nel nuovo art. 33, come riscritto dalla Consulta, a talune tipologie di servizi pubblici: servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n.481.

 

In primo luogo, viene meno, a seguito dell’intervento manipolativo della Corte, l’importante espressione “ivi compresi” che precedendo, nell’originaria versione, l’elencazione di alcune tipologie di servizi, denotava senza alcun dubbio l’intento solo esemplificativo, e non certo esaustivo, di quell’enumerazione.

 

E’ necessario ritenere che nulla sia al riguardo cambiato anche a seguito della sentenza n. 204/2004, non potendosi certo pensare che la Consulta abbia inteso limitare ai soli servizi elencati l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, già su altro fronte ridimensionata con il riferimento alle sole controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio.

 

E’ quanto, del resto, agevolmente desumibile dal persistente ed ampio riferimento, contenuto nella prima parte del riscritto art. 33, alle “controversie in materia di pubblici servizi”.

 

Al contempo, appare quanto mai ragionevole, se non del tutto scontato, ritenere che anche nell’ambito dei servizi pubblici nominativamente indicati la nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia ormai destinata a radicarsi limitatamente alle sole controversie che la Consulta ha provveduto a tipizzare.


 

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[1] Il presente lavoro costituisce una breve sintesi del capitolo sulla giurisdizione in tema di servizi elaborato dallo stesso autore nell’ambito del Trattato di giustizia amministrativa (a cura di F. Caringella - R. Garofoli), Tomo I, F. Caringella-R. De NICTOLIS- R. Garofoli- V. POLI, Il riparto di giurisdizione, di prossima pubblicazione per i tipi della Giuffrè. 

[2] M. LIPARI, I, La nuova giurisdizione amministrativa in materia edilizia, urbanistica e dei pubblici servizi, in Urbanistica e appalti, 1998, 593.

[3] A. PAJNO, Il riparto di giurisdizione, in S. CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 4193 ss., in part. 4269.

[4] Sulla unicità della giurisdizione, intesa come tendenziale generalità ed illimitatezza delle attribuzioni giurisdizionali del giudice ordinario, con conseguente eccezionalità di quelle riconosciute come proprie dei giudici speciali, sia consentito rinviare a R. GAROFOLI, Unicità della giurisdizione e indipendenza del giudice: principi costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 1998, 130.

[5] Corte cost., sent. n. 275/2001, in Foro it., 2002, I, 2965, con nota di D’AURIA, La «privatizzazione» della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore; ord., n. 414/2001, in Cons. St., 2001, 12, II, 2040.

[6] Corte cost., sent. n. 140/2001, in Cons. St., 2001, 5-6, II, 828; Corte cost., sent. n. 165/2001, ivi, 861; n. 423/2002. Cfr., al riguardo, A. PAJNO, cit., 4281, il quale osserva che quello delineato dalla Corte è “un sistema in cui è la legge ad effettuare il riparto della giurisdizione. Le scelte discrezionali in tal modo operate dal legislatore – nel rispetto per altro dei limiti della non manifesta irragionevolezza e palese arbitrarietà - si inquadrano, infatti, nella tendenza a rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale anche attraverso una ridistribuzione delle competenze e della attribuzioni giurisdizionali a seconda delle materie prese in considerazione. … La regola tradizionale di riparto fondata sulla distinzione tra le situazioni soggettive non costituisce più il principio organizzativo fondamentale del sistema di tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione: essa, infatti, risulta ormai sostituita, in attuazione delle prescrizioni contenute nell’art. 113, co. 3, cost., dall’indicazione di bloc de competences da parte del legislatore, la cui discrezionalità, con i limiti che tradizionalmente la caratterizzano, costituisce anche la misura della concentrazione delle tutele nelle singole materie”

[7] In Foro it., 2002, I, 2965, cit..

[8] Secondo l’art. 103, primo comma Cost., infatti: “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi” . Fra i numerosissimi autorevoli contributi in materia e senza alcuna pretesa di esaustività, ci si limiterà qui a richiamare Lipari, I nuovi criteri di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. I lineamenti della riforma, in Dir. e formazione, 2001, p. 733, ss.; Fracchia, La giurisdizione esclusiva, cit., p. 354, ss.; Proto Pisani, Riparto della giurisdizione per blocchi di materia, funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e unicità della giurisdizione, in Atti del Convegno sull’incontro di studio dal tema “Unità e riparto di giurisdizione”, Roma, 2002; id: Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?, in: Foro it., 2001, V, p. 21, ss.; Cintioli, Il servizio pubblico come criterio di riparto della giurisdizione, in Dir. e formazione, 2001, p. 143, ss.; Cannada BaRtoli, Sul criterio del "petitum"(nota a Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 1998 n. 1478, Soc. Della Morte c. Soc. Vespucci interporto toscano e altro), in: Giur. It., 1999, p. 1537.

[9] Per approfondimenti sia consentito rinviare a R. GAROFOLI,  Il riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, in Trattato di giustizia amministrativa (a cura di F. Caringella - R. Garofoli), Tomo I, F. Caringella-R. De NICTOLIS- R. Garofoli- V. POLI, Il riparto di giurisdizione, di prossima pubblicazione per i tipi della Giuffrè

[10] VILLATA, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 1999, 4 ss.

[11] R. VILLATA, Pubblici servizi, cit., 8

[12] A. TRAVI, Commento all’art. 33, in Le nuove Leggi civili commentate, I, 1999, 1513.

[13] R. GAROFOLI, Servizi pubblici (art. 33), in F.CARINGELLA - P.DE MARZO, F. DELLA VALLE - R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2000, 54.

[14] U. POTOSCHINIG, I Pubblici servizi, Padova, 1964.

[15] R. GAROFOLI, I servizi pubblici, 57.

[16] Il legislatore del 2003, intervenendo a modificare per la seconda volta l’art. 113, comma 5, d. lgs. n. 267/2000, ha ritenuto di poter superare le perplessità a carattere comunitario accennate nel testo stabilendo che “l’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio, a) a società di capitali individuate  attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, fatte salve due eccezioni tra cui quella di cui alla lett. b) dello stesso comme, a tenore della quale l’affidamento può aver luogo senza gara in favore di “società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche”. L’espletamento della gara nella fase di scelta del partner, quindi, esonera dall’obbligo di assicurare momenti di concorsualità a valle, in sede di affidamento del servizio, evidentemente sul presupposto, inabdicabile sul piano logico, che l’una e l’altra integrino fasi di un unicum procedimentale. Sia consentito rinviare a R. GAROFOLI, Modalità di scelta dei partners privati di una società a prevalente partecipazione pubblica locale (Nota a T.a.r. Sicilia, sez. Catania, 12 settembre 1997, n. 1742, Com. Messina c. Coreco Messina), in Urbanistica e appalti, 1998, 168; Id., Società in mano pubblica: forma, natura e problemi di giurisdizione, in Urbanistica e appalti, 1998, 241.

[17] Sul tema cfr. M. ALESIO, I servizi pubblici locali: peso della tradizione e nuovo assetto delineato dalla Finanziaria 2002, in www.lexitalia.it, 2002, n. 2; R. DAMONTE, La gestione dei servizi pubblici dopo la Finanziaria, in Urb. App., 2002, n. 3, 253; A. MANCAZZO, Confronti tra la nuova e la vecchia disciplina sulle modalità di scelta del socio privato di minoranza di società miste, ibidem, 2002, n. 5.

[18] La norma si adegua sotto questo punto ai principi comunitari esplicati della circolare della Presidenza del Consiglio, Dipartimento per le politiche Comunitarie, 1o marzo 2002, pubblicata nella G.U. n. 102 del 3 maggio 2002, secondo cui l’affidamento della gestione di un servizio pubblico, pur se non regolato dalle direttive in tema di appalti, soggiace a principi di concorrenza e di confronto competitivo ricavabili direttamente dal Trattato. La circolare si dilunga poi sul criterio discretivo tra appalto pubblico di servizio e affidamento di pubblico servizio, dato dalla diretta funzionalizzazione (presente nel secondo ed assente nel primo) dell’attività svolta al soddisfacimento dei bisogni dell’utenza sulla scorta di un’attività di gestione i cui proventi remunerano i costi di erogazione.

[19] Per un’approfondita disamina della figura organizzatoria del c.d. affidamento in house cfr. D. CASALINI, L’organismo di diritto pubblico e l’organizzazione in house, Napoli, 2003, 247 ss. Cfr., anche, A. ANNIBALI, Gli affidamenti "in house": dal diritto comunitario ai servizi pubblici locali, in www.lexitalia.it.  In giurisprudenza, cfr., Corte di giustizia CE, sent. 18 novembre 1999, causa C-107/98, Techal srl c. Comune di Vaiano e AGAC, in www.europa.eu.int, 51, ove si afferma che può eccezionalmente derogarsi alla regola che impone alle amministrazioni aggiudicatici l’osservanza delle procedure di aggiudicazione di appalti allorché l’ente locale “eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano”.

[20] P. PIRAS, I servizi pubblici tra efficienza e fini sociali, in Dir. amm., 1996, 171.

[21] Cass., sez. un civ., 30 marzo 2000, n. 71, in UA, 2000, 602, con nota di R. GAROFOLI, L’art. 33 d.lgs. n. 80/98 al vaglio della Cassazione e del Consiglio di Stato.

[22] In realtà la Consulta fa riferimento alle controversie “relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”, utilizzando, quindi, in sede di delimitazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, una formulazione apparentemente più ampia di quella di cui all’art. 5, l. TAR, a tenore della quale rientrano nella cognizione del giudice amministrativo i "ricorsi contro atti e provvedimenti relativi ai rapporti di concessione": non sembra, tuttavia, che il diverso tenore letterale sia indicativo di una differente ampiezza delle due ipotesi di giurisdizione.

[23] Cfr., ex plurimis, Cass. SS.UU., 11 gennaio 1994, n. 215 e 10 dicembre 1993, n. 12164, in Foro It., 1994, I, 2147; Cons. di Giust. Amm., 5 agosto 1993 n. 290, in Cons. St., 1993, I, 1037.

[24] Cons. di Stato, sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1711, in Urb. app., 2000, 278. Per riferimenti dottrinali e giurisprudenziali cfr. CAIANELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, 245; CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2003, 2101; VIPIANA, Giurisdizione amministrativa esclusiva, in Dig. Pubbl., Torino, 1991, 414.

[25] Cons. di Stato, sez. VI, 7 dicembre 1994, n. 1741, in Cons. St., 1994, I, 1799.

[26] Cons. di Stato, sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1711, in Giur. it. 2000, 401 e Urb. e app. 2000, 276, con nota di De Palma; Tar Basilicata, 8 novembre 1999, n. 614, in Urb. e App. 2000, 277.

[27] Cass. SS.UU. 11 gennaio 1994, n. 215, in Giust. Civ. Mass. 1994, 21 e in Foro It. 1994, I, 2147.

[28] Cass. SS.UU. 17 luglio 2001, n. 9652, in Foro It., 2002, I, 1813 e Rass. Avv., 2001, II, 160.

[29] De Palma, La giurisdizione in tema di corrispettivi alla luce della sentenza SU n. 500/1999 e dopo il d.lgs. 80/98, in Urb. App. 2000, p. 278.

[30] Cass. SS.UU., 25 giugno 2002, n. 9233, in Giust. Civ., 2002, 2438.

[31] Cfr. Cass. SS.UU., 19 febbraio 1992, n. 2056, in Giust. Civ. Mass. 1992, f. 2; 8 novembre 1997, n. 11028, in Giust. Civ., 1998, I, 710; 6 agosto 1998, n. 7710, in Foro it. 1998, I, 3206; 23 luglio 2001, n. 10013, in Giust. Civ. Mass. 2001, 1448. Per ulteriori approfondimenti cfr. E. BUONVINO - O. FRATAMICO, L’art. 5, L. TAR: principali profili problematici, in Lexfor.it.

[32] F. CINTIOLI, La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, in Giustamm.it.

[33] Lo stesso CINTIOLI, peraltro, osserva che solo “qualora questi soggetti, per scelta comunitaria o nazionale, fossero riconosciuti come effettivamente sottoposti ai principi in esame, potrebbero allora vedersi i presupposti per dare attuazione a questa misurata valvola di apertura predisposta dalla sentenza”.

[34] Per approfondimenti sia consentito rinviare a R. GAROFOLI,  Il riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, in Trattato di giustizia amministrativa (a cura di F. Caringella - R. Garofoli), Tomo I, F. Caringella-R. De NICTOLIS- R. Garofoli- V. POLI, Il riparto di giurisdizione, di prossima pubblicazione per i tipi della Giuffrè


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