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Articoli e note

n. 3/2006

CONSIGLIO DI STATO

Relazione del Presidente Alberto de Roberto
sullo stato della Giustizia amministrativa

(Roma - Palazzo Spada, 9 marzo 2006)

SOMMARIO: 1. Saluti. 2. I “tre” punti della presente relazione. 3. Terzietà dell’attività consultiva. 4. La consulenza obbligatoria sull’attività normativa primaria. 5. La consulenza obbligatoria della attività normativa secondaria. 6. Il parere obbligatorio sui ricorsi straordinari. 7. La consulenza facoltativa del Consiglio di Stato. 8. L’attività giurisdizionale del plesso Consiglio di Stato-TAR. 9. Il nuovo confine assegnato alla giurisdizione amministrativa dalla giurisprudenza: la tutela dell’interesse pretensivo sostanziale. 10. segue: la giurisdizione amministrativa in tema di giurisdizione esclusiva dopo la decisione n. 204 del 2004 della Corte Costitituzionale. 11. Flessione delle entrate in primo grado e produttività. 12. Conclusioni.

1. Saluti.

Signor Presidente della Repubblica, grazie per aver voluto anche quest’anno essere presente a questa cerimonia che è entrata a far parte, ormai, delle nostre tradizioni.

Ringrazio Lei, il Presidente della Corte Costituzionale, i Vice Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, i Signori Ministri, i giudici costituzionali, il Sottosegretario delegato per la Giustizia amministrativa, i Sottosegretari, i Parlamentari, il rappresentante del Sindaco, tutte le altre Autorità politiche, civili e militari che hanno voluto essere presenti a questo incontro.

Un saluto particolare e un ringraziamento ai Colleghi delle Magistrature consorelle che hanno voluto essere insieme a Noi in questa importante giornata.

Un augurio fervidissimo ai componenti laici e togati del nostro Organo di autogoverno insediatosi la scorsa primavera presenti, per la prima volta, a questa cerimonia.

Un sentito saluto, infine, ai rappresentanti dell’Accademia, del libero Foro, dell’Avvocatura dello Stato e delle altre Avvocature pubbliche, a tutti i cari Colleghi e al Personale, in servizio e in pensione, della Giustizia amministrativa.

2. I “tre” punti della presente relazione

Passo allo svolgimento di questa mia relazione che, come al solito, farà perno su tre punti.

Parlerò, anzitutto, della funzione consultiva (la sola attribuita in via esclusiva dal Consiglio di Stato); poi dell’attività giurisdizionale che è quella che impegna insieme, nell’ambito di un unico plesso, Tar e Consiglio di Stato; farò, infine, riferimento a qualche problematica di carattere organizzativo offrendo qualche dato anche in ordine all’entità del nostro contenzioso e della produttività della nostra istituzione.

3. Terzietà dell’attività consultiva

Prendo le mosse dall’attività consultiva.

Il Consiglio di Stato in sede consultiva è chiamato ad un ruolo che, forse, non trova corretta individuazione nel vocabolario del quale si fa uso. In sede “consultiva” il nostro Istituto non si pone, infatti - come l’espressione utilizzata per identificare l’espletamento di tale compito, potrebbe indurre a pensare - quale “fiancheggiatore” di una parte che invoca ausilio nella ricerca di un itinerario rispondente ai propri progetti, ma si colloca, invece, - come è scritto nell’articolo 100 della Costituzione - in veste di organo di “giustizia nell’amministrazione”. Ciò significa che il Consiglio di Stato esprime in piena indipendenza le sue valutazioni in una posizione di assoluto distacco rispetto alla Amministrazione che chiede il parere valutando, con lo stesso “habitus” del giudice (e, perciò, con assoluta terzietà), la questione che gli viene sottoposta e gli interessi dalla stessa coinvolti.

4. La consulenza obbligatoria sull’attività normativa primaria

Nell’ambito dell’attività consultiva del Consiglio di Stato tratterò separatamente dell’attività di consultazione obbligatoria e di quella facoltativa.

L’attività di consultazione obbligatoria – dalla quale prenderò le mosse – risulta, nell’ordinamento vigente, limitata fondamentalmente all’attività normativa statale e al ricorso straordinario.

Per quel che riguarda l’attività normativa statale va preso atto, anzitutto, dell’obbligo sempre più spesso imposto ex lege al Governo quando attende, attraverso decreti legislativi, al riordino della normativa di acquisire il parere obbligatorio del Consiglio di Stato: un intervento - quello ora ricordato - che vale ad offrire all’autorità chiamata ad emanare la futura normativa un utile contributo sia al fine del controllo del rispetto dei principi e criteri ai quali è tenuta a sottostare la fonte delegata sia della corretta formulazione, sul piano letterale e sistematico, del D.Lgs.

Gli interventi di riassetto della normativa ai quali il Governo è stato chiamato (interventi che quest’ultimo ha assolto o va assolvendo con alacrità ed impegno) hanno condotto, durante il 2005, all’espressione di pareri su testi normativi in settori di particolare rilevanza economico-sociale, caratterizzati, fino al riassetto, da normative oscure e contraddittorie (ai testi riordinati si è dato - per la loro importanza ed estensione - il nomen di codici).

Dopo il D.Lgs concernente la proprietà industriale, intervenuto sullo scorcio del 2004, sono stati emanati i decreti legislativi aventi ad oggetto i nuovi codici sulle assicurazioni, sulla tutela dei consumatori, sull’amministrazione digitale. Si è proceduto, inoltre, alla sistemazione in un testo unitario delle norme in materia radiotelevisiva.

È di questi giorni, infine, l’espressione dei pareri sul codice delle pari opportunità e sul codice dei contratti pubblici, iniziativa, quest’ultima, di grande rilievo con la quale - oltre ad offrirsi attuazione a due recenti direttive comunitarie in tema di appalti pubblici e far luogo al riordino della materia contrattuale anche sotto soglia - si formulano i principi fondamentali e i livelli minimi essenziali ai quali la legislazione regionale dovrà sottostare.

Una linea - quella del coinvolgimento del Consiglio di Stato nei riassetti governativi attuati con normative primarie del Governo - di recente confermata dalla legge 246/05 sulla semplificazione che prevede la obbligatoria audizione del Consiglio di Stato sui decreti legislativi da adottare sulla base delle deleghe formulate nella citata legge tra le quali si inserisce quella che prevede - previa “rivisitazione” di tutta la normativa posta in essere negli anni tra il 1860 e il 1970 [i] - la identificazione delle discipline relative a tale periodo ancora vigenti e, ove occorra, il riordino di queste ultime. [ii]

5. La consulenza obbligatoria della attività normativa secondaria

La consulenza obbligatoria del Consiglio di Stato sulle norme regolamentari statali (governative e ministeriali) voluta dalla legge 400/88 è venuta, negli ultimi anni (come ho già ricordato in altre occasioni) riducendosi quantitativamente in conseguenza dell’emanazione del Titolo V della Costituzione che ha prodotto il passaggio alle fonti regionali (in via di competenza concorrente o esclusiva) di molte delle attribuzioni legislative già proprie dello Stato.

Le recenti operazioni di riassetto in area statale a livello di normativa primaria (di regola con decreti legislativi) e, soprattutto, il riordino, relativo al periodo dal 1860 al 1970, voluto dalla legge di delega n. 246 del 2005, di cui poco avanti si è fatto cenno, lasciano presagire, un significativo “recupero” da parte delle fonti secondarie di nuovi spazi di azione per garantire l’integrazione e il completamento della nuova disciplina ordinaria dettata dai decreti legislativi. È, infatti, impensabile che le fonti primarie possano far fronte da sole all’integrale riassetto di discipline spesso di sconfinata estensione.

6. Il parere obbligatorio sui ricorsi straordinari

In tutte le relazioni degli anni precedenti ho ricordato che il ricorso straordinario - rimedio alternativo a quello innanzi al giudice amministrativo - costituisce congegno di tutela di particolare affidabilità perché deciso, di regola, in conformità del “progetto” di soluzione della controversia offerto dal parere del Consiglio di Stato (parere che il decreto del Presidente della Repubblica richiama e fa proprio).

Non cambio, ovviamente, opinione a questo proposito anche perché questa affermazione trova conferma nel largo impiego del rimedio da parte dell’utenza (anche quest’anno la media di ricorsi introitati non ha sopportato flessioni).

Mi corre, peraltro, l’obbligo di fare cenno a taluni problemi che si sono posti in questi ultimi anni sui quali sarebbe opportuno prendessero posizione, a seconda dei casi, o il legislatore o la nostra giurisprudenza consultiva.

Pare rendersi necessario, anzitutto, un intervento legislativo per quanto attiene alla esecuzione delle decisioni del Capo dello Stato che comportano l’adempimento di obblighi da parte delle amministrazioni.

Per tutta la seconda metà del secolo da poco decorso il decreto decisorio del Capo dello Stato ha ottenuto esecuzione, in caso di mancato spontaneo adempimento in sede amministrativa, attraverso l’utilizzazione della stessa procedura prevista per l’adempimento degli obblighi scaturenti dalle sentenze rese dal giudice amministrativo (l’ottemperanza innanzi al giudice amministrativo).

La recente giurisprudenza della Cassazione (costretta a prendere posizione sull’applicabilità dell’ottemperanza al decreto decisorio del Capo dello Stato) ha ritenuto di dover tener fermo il suo antico indirizzo secondo cui tale congegno non potrebbe operare a servizio del decreto decisorio perché tale provvedimento ha carattere amministrativo e non giurisdizionale.

L’emanazione, alla prima occasione, di una norma legislativa rivolta a estendere l’ottemperanza anche al ricorso straordinario o, comunque, l’adozione di una iniziativa legislativa per dar vita ad una procedura esecutiva anche non giurisdizionale a servizio della decisione resa in sede straordinaria, può costituire soluzione capace di favorire, sulla distanza, la stessa sopravvivenza del ricorso straordinario. [iii]

7. La consulenza facoltativa del Consiglio di Stato

Vengo ora alla considerazione della attività consultiva facoltativa del Consiglio di Stato.

Debbo, anzitutto, dare atto che per il divieto di non “aggravamento” delle procedure amministrative di cui alla legge 241/90 (un divieto che vale a trattenere le amministrazioni dalla prospettazione di quesiti ispirati ad  obiettivi impropri: ad esempio, quello di riversare sull’organo consultivo la “corresponsabilità” del provvedimento da adottare etc.), la più parte dei pareri che vengono oggi avanzati implicano l’interpretazione di astratte norme in vista di porre a disposizione delle amministrazioni un affidabile punto di riferimento.

Come già ho avuto occasione di rilevare anche in anni passati la consulenza facoltativa non è offerta soltanto al Governo e ai Ministri. Hanno, infatti, chiesto e ottenuto pareri dal Consiglio di Stato i Presidenti dei due rami del Parlamento per questioni di carattere amministrativo (concernenti ad es. il personale dipendente delle Camere) le Autorità di Garanzia etc.

Anche nel 2005 il Consiglio di Stato ha continuato ad operare a servizio delle Regioni e degli enti locali che hanno chiesto il suo parere per il tramite regionale. [iv]

8. L’attività giurisdizionale del plesso Consiglio di Stato-Tar

Passo ora a qualche riflessione sulla seconda parte dedicata all’attività giurisdizionale della giustizia amministrativa.

I presidenti dei Tar regionali hanno offerto, nei giorni scorsi, un quadro ricco e articolato del contenzioso nel quale resta coinvolto, in sede giurisdizionale, il giudice amministrativo: un contenzioso fondamentalmente rivolto ad assicurare - come ha ribadito anche la Corte costituzionale nella sentenza 204/04 sulla quale si ritornerà [v] - la tutela del soggetto (singolo e collettivo) nei confronti della amministrazione: una amministrazione meno impettita che muove, oggi - dimesso il modus operandi autoritativo e dispotico del passato - sempre più alla ricerca del consenso aprendo la procedura ad interventi partecipativi e, addirittura, ad accordi con il privato, quando sintonie tra quest’ultimo e la amministrazione lo consentano. [vi]

Numerosi gli atti dell’amministrazione – come pure emerge dalle citate relazioni – suscettibili di produrre ampie ricadute in settori anche di particolare rilevanza  e criticità dell’ordinamento (economia, mercato, libertà religiosa, ambiente, urbanistica, salute etc.: basti pensare sul piano esemplificativo agli atti di natura regolamentare e programmatoria, ai provvedimenti tariffari e di regolazione delle Autorità di garanzia, agli atti che deliberano opere pubbliche di interesse strategico etc.).

Non mancano, peraltro, anche piccoli provvedimenti ai quali il giudice amministrativo (garante del soggetto debole rispetto ai poteri forti) dedica cure non minori di quelle riservate agli atti caratterizzati da più ampie incidenze.

9. Il nuovo confine assegnato alla giurisdizione amministrativa dalla giurisprudenza: la tutela dell’interesse pretensivo sostanziale

Vorrei, però, riprendere un discorso lasciato in termini interrogativi in occasione della relazione dell’anno scorso svolta a pochi mesi di distanza dalla emanazione della sentenza 204/04 della Corte costituzionale: quali incidenze la detta sentenza avrebbe prodotto nell’ambito della nostra giurisdizione.

Un interrogativo, al quale, ovviamente, in quel momento, era impossibile dare una risposta con riguardo alla elaborazione giurisprudenziale perché nessuna sentenza significativa (del giudice ordinario, del giudice amministrativo e della Cassazione, giudice regolatore della giurisdizione) risultava ancora adottata.

Il quadro di riferimento di allora si è profondamente modificato: tenterò, pertanto, di offrire i corollari tratti dalla giurisprudenza amministrativa non mancando di segnalare gli ambiti nei quali si sia manifestato qualche contrasto tra la nostra giurisprudenza e quella soprattutto della Cassazione, giudice regolatore della giurisdizione.

Non si rinvengono dirette prese di posizione del giudice regolatore della giurisdizione in tema di tutela degli interessi legittimi (e, perciò, in relazione alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo).

Si è venuto affermando, a questo riguardo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato - facendo leva su talune proposizioni della citata sentenza n. 204 della Corte Costituzionale - [vii] un orientamento rivolto a riconoscere, quando l’interesse (pretensivo) sostanziale garantito dal provvedimento non riesca ad ottenere “fisiologica” soddisfazione con l’emanazione (o la tempestiva emanazione) dell’atto vantaggioso, la riparazione per equivalente della lesione sopportata per il mancato o tardivo conseguimento dell’utilitas attesa.

Il che conduce a riconoscere cittadinanza nel giudizio amministrativo (come è detto espressamente nella sentenza 7/2005 dell’Adunanza Plenaria) ad una più vigorosa figura di interesse legittimo (pretensivo) [viii] al “bene della vita”, ignota al nostro ordinamento prima della storica svolta di cui alla sentenza 500/99 della Corte di cassazione: un interesse legittimo capace di manifestarsi come pretesa al conseguimento, innanzi al giudice amministrativo, della riparazione per equivalente (e, perciò, in chiave patrimoniale) [ix] quando non possa essere conseguita tutela in forma specifica con l’emanazione (o la tempestiva emanazione) del provvedimento. [x]

10. segue: la giurisdizione amministrativa in tema di giurisdizione esclusiva dopo la decisione 204/04 della Corte costitituzionale

Anche per quel che concerne la giurisdizione esclusiva la giurisprudenza del giudice amministrativo non ha mancato di prendere posizione dopo la sentenza 204/04 della Corte costituzionale con orientamenti interpretativi che almeno fino alla recentissima sentenza 1207/06 della Cassazione (sulla quale avrò occasione di ritornare) si sono sviluppati in sostanziale sintonia con la giurisprudenza del giudice ordinario e del giudice regolatore della giurisdizione.

Il punto di partenza della linea interpretativa del giudice amministrativo (condivisa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione 4/2005) è che la sentenza 204/04 della Corte costituzionale cit. si sia proposta di ricondurre con la dichiarazione di illegittimità parziale degli articoli 33 e 34 del D.Lgs 80/1998 (nella formulazione di cui alla legge 205/00), a legittimità costituzionale le dette norme che conferivano, nella originaria versione, al giudice amministrativo la potestà di conoscere di qualunque diritto soggettivo leso dall’amministrazione nelle aree dei servizi pubblici e dell’edilizia-urbanistica.

Con la pronuncia “amputatoria” della norma (articolo 34 cit.) concernente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in area urbanistica-edilizia (la soppressione della parola “comportamenti” collocata all’interno dell’articolo cit.) e l’intervento “manipolativo-surrogatorio” condotto sull’articolo 33 in campo di servizi pubblici (una sostituzione normativa rivolta, anch’essa, a dar vita ad un precetto di più limitata estensione rispetto a quello originario della stessa norma) si è ottenuto dalla Corte Costituzionale di ricondurre a legalità costituzionale l’attribuzione al giudice amministrativo delle liti relative a diritti soggettivi nelle due aree ora ricordate.

Dopo la pronuncia del giudice delle leggi la giurisdizione amministrativa viene chiamata a conoscere di diritti soggettivi solo quando la loro lesione possa venir ricondotta alla Pa nella sua veste di autorità.

In conseguenza di questa nuova regola si è ritenuto ad esempio che la tutela dei diritti vantati dal gestore del servizio pubblico verso l’amministrazione o in area urbanistica ed edilizia, la tutela della proprietà, dei diritti reali, del possesso etc. di beni immobili posti nel territorio, possano essere garantiti dal giudice amministrativo solo in quanto il vulnus sopportato dai diritti predetti risulti riconducibile all’amministrazione-autorità (e, perciò, all’adozione di provvedimenti amministrativi).

Ai fini di stabilire quando possa intendersi realizzato il presupposto voluto dalla legge (la lesione del diritto soggettivo da parte del potere) la giurisprudenza ha, ovviamente, ritenuto di dover escludere che possa considerarsi realizzata tale situazione in quelle ipotesi nelle quali l’atto amministrativo, incidente sui diritti, comprima o estingua legittimamente le dette posizioni soggettive: e ciò in quanto l’atto legittimo (ed efficace) non lede diritti ma produce secundum legem i suoi effetti e il soggetto che ha visto limitare o estinguere il suo diritto soggettivo potrà pretendere dall’Amministrazione, se spettante, solo un indennizzo per atto lecito (innanzi al giudice ordinario).

Del pari si è escluso, mancando, in questa ipotesi, la esplicazione di qualunque potere, la riparabilità da parte del giudice amministrativo di lesioni riconducibili a meri comportamenti materiali dell’amministrazione, ad azioni amministrative macroscopicamente divergenti dalla fattispecie legale (atti inesistenti o ad atti nulli ipotesi queste ultime, in cui la lesione del diritto va ricondotta a “fatti” e non ad “atti” dell’amministrazione).

Su tali presupposti si è ritenuto che la lesione del diritto soggettivo provocata dal potere pubblico si lasci ravvisare solo quando un atto amministrativo incidente sui diritti abbia esplicato, per l’efficacia che gli inerisce, secundum legem i suoi effetti compressivi o estintivi e sopraggiunga poi in conseguenza dell’annullamento dell’atto o per altra causa (ad esempio dichiarazione di pubblica utilità non seguita nei termini dagli espropri previsti) la retroattiva caducazione dell’atto e degli effetti spiegati dal provvedimento restando in campo, così, sine titulo gli interventi provocati dal potere.

Il quadro or ora ricostruito non presentava fino a qualche giorno or sono momenti di rottura con la giurisprudenza del giudice regolatore della giurisdizione: anzi qualche decisione della Corte di cassazione suscitava l’impressione che i due orientamenti marciavano nella stessa direzione.

Si pone, peraltro, in evidente contrasto con la lettura offerta fin qui dal giudice amministrativo, nelle aree di cui agli articoli 33 e 34 del D.Lgs 80/1998 (novellato dalla legge 205/00 e ridisegnato dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale) una recentissima decisione delle Su della Corte di cassazione: 1207/06. [xi] [xii]

La citata sentenza afferma che anche del diritto leso dal potere avrebbe titolo a conoscere il giudice ordinario, giudice dei diritti soggettivi. Sarebbe solo accordata al giudice amministrativo la facoltà di scendere in campo quando la lesione del diritto sia da ricondurre ad un atto annullato (non quindi ad un atto divenuto inefficace solo ex lege in via retroattiva come ad esempio la dichiarazione di pubblica utilità non seguita dall’esproprio) e a condizione che la riparazione del diritto sia domandata dalla parte nello stesso processo nel quale l’annullamento è stato richiesto e conseguito.

Dandosi vita, così, ad un assetto che - in contrasto con la nostra giurisprudenza e con quella della Corte costituzionale e il testuale tenore degli articoli 33 e 34 cit. che parlano ancora di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - realizza una giurisdizione concorrente e non esclusiva del giudice amministrativo.

Una giurisdizione concorrente non solo al di fuori di ogni nostra tradizione ma contrastante con lo stesso articolo 103 della Costituzione che consente deroghe alla clausola generale di riparto con attribuzione in via esclusiva del diritto soggettivo al giudice amministrativo e non attribuzione di giurisdizione in via concorrente con il giudice ordinario.

Si aggiunga a tutto questo l’affermazione, sempre della Corte di cassazione secondo cui ai fini dell’esercizio dell’azione innanzi al giudice amministrativo andrebbe utilizzato il giudizio di ottemperanza.

Sebbene tale statuizione possa, forse, non ritenersi vincolante per il giudice amministrativo (la Corte di cassazione, come giudice regolatore della giurisdizione può definire solo i limiti esterni della potestas decidendi delle altre giurisdizioni e non le modalità processuali con le quali il contenzioso di queste ultime viene gestito) deve rilevarsi l’assoluta inadeguatezza di un processo, come quello di ottemperanza, a porsi quale congegno chiamato a garantire la tutela dei diritti compromessi dopo l’annullamento dell’atto amministrativo.

Ed invero l’ottemperanza (processo rivolto a consentire la realizzazione di obblighi che hanno ottenuto in sede di cognizione la loro puntuale definizione) si presenta come istituto che per l’incompletezza del contraddittorio, la sommarietà dei mezzi istruttori utilizzabili, la gestione in un unico grado, la posizione dominante riservata al commissario ad acta (figura di difficile decifrazione: organo amministrativo o longa manus del giudice?) mal si presta a divenire la sede per l’accertamento dell’an e del quantum del danno provocato al diritto dalla esplicazione del potere.

11. Flessione delle entrate in primo grado e produttività

Passo ora alla terza parte di questa esposizione: mi limiterò ad offrire solo qualche dato in relazione alla quantità degli affari conosciuti in sede consultiva e giurisdizionale nel 2005.

Per quel che riguarda l’attività consultiva obbligatoria in relazione agli atti normativi rilevo che, nell’anno 2005, risultano pervenute 112 richieste di parere su schemi di normativa primaria o regolamentare (un numero che si colloca nella media che ha preso avvio dal 2001).

Quanto ai ricorsi straordinari il loro numero ascende a 5.500 nel 2005 (un numero che eccede, di poco, la media di 4000-5000 dell’ultimo decennio, derogata solo nel 2004, con i raggiungimento della inattesa punta di 11.000 ricorsi, dovuta alla presenza di circa 6.000 impugnative seriali dei dipendenti di una amministrazione statale).

I quesiti avanzati in sede di consultazione facoltativa sono stati invece 80 (con una lieve flessione rispetto alla media del precedente decennio oscillante tra i 100-110 affari annui).

Qualche novità si lascia cogliere, invece, nell’area del contenzioso giurisdizionale.

Per quanto attiene al primo grado è dato rilevare una sensibile flessione dei ricorsi in entrata: dagli 80.000 ricorsi dell’anno 2004 si è scesi ai 62.000 ricorsi dell’anno 2005.

Quanto al numero delle uscite (le decisioni conclusive dei ricorsi) il loro numero - sempre in primo grado - resta sensibilmente maggiore di quello dei ricorsi in entrata. Risultano, infatti, definiti quasi 114.000 ricorsi (all’incirca il doppio dei ricorsi introitati).

Quanto alle cause che hanno condotto alla riduzione del contenzioso in entrata viene da pensare, oltrecchè agli effetti della sentenza 204 della Corte costituzionale, all’aumento del costo del contributo unificato e alla sempre più diffusa prassi di far luogo, anche nel giudizio amministrativo, alla condanna alle spese della parte soccombente in caso di esito sfavorevole del ricorso.

Innanzi al Consiglio di Stato il numero dei ricorsi in entrata sembra aver sopportato una flessione anche se più limitata - pur in termini percentuali - rispetto al primo grado (risultano introitati nel 2005 poco più di 7.000 ricorsi rispetto ai 7.800 del 2004).

Anche di fronte al Consiglio di Stato le uscite risultano in numero superiore ai ricorsi in entrata (circa 7.500 nel 2005).

È evidente, peraltro, che la differenza tra le entrate e le uscite non è tale da lasciar prevedere - in entrambi i gradi - in tempi brevi, la risoluzione dell’annoso problema dell’arretrato, che rimane comunque, sempre al centro della nostra attenzione.

Non privi di interesse i dati relativi al giudizio cautelare (un intervento giurisdizionale che assorbe in misura non trascurabile l’attività degli organi della nostra giurisdizione).

Per quel che riguarda i tribunali amministrativi deve rilevarsi che su 62.000 ricorsi presentati nel 2005 circa 40.000 (e, perciò, quasi i due terzi del contenzioso complessivo) risultano accompagnati dalla richiesta di misure cautelari.

Nel giudizio d’appello avverso decisioni di primo grado ben oltre 5.500 dei 7.000 ricorsi proposti (quasi l’80%) sono stati proposti con istanze di misure cautelari.

Gli appelli contro le ordinanze cautelari adottate dai Tar non raggiungono, invece, nemmeno il 10% (risultano proposti 3.600 appelli avverso circa 30.000 ordinanze cautelari rese dai Tar).

12. Conclusioni

Sono arrivato alla fine di questa relazione annuale sullo stato della Giustizia amministrativa, che sarà anche l’ultima che svolgo nella mia veste di Presidente del Consiglio di Stato perché tra dieci mesi lascerò il servizio per limiti di età.

Non è, quello di oggi, un commiato perché conserverò ancora nelle mie mani, per quasi un anno, il timone di questo Istituto e della Giustizia amministrativa nel suo complesso.

Non posso perdere, però, questa straordinaria occasione per esternare qualche mia convinta sensazione.

Mi considero un uomo fortunato perché raggiungerò – se Dio vorrà – 52 anni al servizio della Giustizia di cui ben 45 nei ruoli di Palazzo Spada, con una lunga presidenza al vertice dell’Istituto: una permanenza (quella dei 45 anni) credo, mai maturata da alcuno a partire dai tempi in cui Carlo Alberto dette vita, nel 1831, al Consiglio di Stato.

Gli anni di vita passati in questo Palazzo mi confermano nell’idea che la Giustizia amministrativa ha saputo evolversi al passo con i tempi e offrire sempre risposte adeguate in un ordinamento che è venuto - specie in questo ultimo mezzo secolo - sopportando tumultuose trasformazioni.

Un dato che è da ascrivere oltre che alle qualità culturali, professionali ed umane dei nostri Magistrati e del nostro Personale alla capacità con la quale la Giustizia amministrativa - assecondata da un Legislatore sensibile alle istanze della società civile e delle Istituzioni - ha saputo cogliere e soddisfare le esigenze via via sopravvenute coniugando insieme - sempre armoniosamente - nuovo ed antico.

Signor Presidente, Autorità, Signori e Signori, grazie di cuore della vostra partecipazione a questo incontro.

 

[i] La rivisitazione sembra prescritta anche per aree precedenti al 1860 e successive al 1970. Per il primo aspetto va ricordato che il Regno d’Italia è subentrato nel 1860 allo Stato piemontese nella cui normativa è pure succeduto; per quanto attiene alla normativa successiva al 1970 va tenuto presente che la delega richiede il riordino della normativa precedente al 1970 anche se interessata da interventi posti in essere dopo tale anno.

Resta interdetto, peraltro, al legislatore delegato ogni intervento in talune “isole normative” relative al periodo 1860-1970 e dintorni in relazione a settori caratterizzati da discipline organiche (ad es. codici, testi unici) o incidenti in materie di particolare delicatezza e criticità (normative di attuazione della Costituzione, norme applicative di accordi internazionali, norme comunitarie etc.).

[ii] All’attività rivolta, ai sensi della legge n. 246 del 2005, alla individuazione delle norme vigenti e al loro eventuale riassetto deve accompagnarsi anche l’adozione di esplicite proposizioni abrogative. Ove, infatti, alla scadenza dei termini di esecuzione vengano scoperte normative non riordinate, non mantenute in vita espressamente nè espressamente abrogate si determinerà la loro automatica caducazione (il c.d. “effetto ghigliottina”).

[iii] Si noti che il codice di procedura civile riconosce la piena praticabilità della procedura esecutiva giurisdizionale anche nei confronti di titoli che non hanno carattere giudiziario (articolo 473 cpc).

[iv] Si ricordi anche l’articolo 23 dello statuto siciliano che contempla la presenza di una sezione consultiva del Consiglio di Stato in Sicilia quale organo di consulenza della Regione (il Consiglio di Giustizia Amministrativa - composto da una Sezione consultiva e da una Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato - costituisce una vera e propria propaggine del Consiglio di Stato nella regione Siciliana).

[v] Ed è immancabilmente avvenuto sin dal 1889, l’anno di istituzione della IV Sezione di Silvio Spaventa.

[vi] Il Consiglio di Stato è dunque – come ha ribadito anche la Corte costituzionale con la sentenza n.204 del 2004 cit. – in primo luogo giudice della funzione pubblica, un compito assolto con grande dignità e coraggio anche negli anni della dittatura fascista. È proprio in considerazione del ruolo che il Consiglio di Stato seppe assolvere anche in anni bui che la Costituzione volle la conservazione dell’Istituto nella sua strutturazione e nelle sue originarie attribuzioni.

[vii] Si pensi a quella proposizione della sentenza della Corte in cui si afferma che si pongono non come materia ma come esplicazione della stessa situazione soggettiva le differenziate modalità di tutela (reintegrazione in forma specifica o per equivalente) con la quale la posizione individuale si manifesta.

[viii] Il che può anche esprimersi prendendo atto dell’acquisizione al nostro ordinamento di una nuova una figura di interesse legittimo non più subalterna all’interesse pubblico perché capace di sopravvivere anche quando venga ad interrompersi l’anello che lega insieme interesse individuale e interesse pubblico e il primo di tali interessi non possa conseguire soddisfacimento insieme al parallelo interesse pubblico.

[ix] La giurisprudenza della Cassazione non riconosce, per la verità, espressamente, che l’interesse legittimo riparato per equivalente resti ancora interesse legittimo: anzi se dovesse valorizzarsi qualche proposizione della sentenza n. 500 del 1999 della Cassazione dovrebbe pensarsi ad un contenzioso nel quale si configura come diritto soggettivo la pretesa al ristoro del danno patrimoniale. (Il diritto al ristoro per equivalente che prende vita  dalle “ceneri” dell’interesse legittimo pretensivo non soddisfatto in forma specifica).

Non si mette in discussione, comunque, dalla Cassazione - almeno dopo la legge n. 205 del 2000 - che del diritto alla riparazione per equivalente sia unico giudice quello amministrativo (a titolo di giurisdizione esclusiva? O come giudice generale dell’interesse legittimo?).

[x] Si è peraltro esclusa la risarcibilità del ritardo nella pronuncia quando il bene della vita non venga riconosciuto al titolare dell’interesse pretensivo (v. sentenza n.7 del 2005 dell’Adunanza Plenaria).

[xi] La decisione della Cassazione si riferisce solo alla materia dell’urbanistica e dell’edilizia (articolo 34) ma il discorso, per la ratio che lo ispira, va esteso come relativo anche alla materia dei servizi pubblici regolati dall’articolo 33.

[xii] La Corte di Cassazione richiama nella sentenza n. 1207 del 2006 un brano della pronuncia della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 nel quale si afferma che non costituisce “materia” la previsione di ulteriori forme di tutela della posizione soggettiva rimessa al giudice amministrativo (tutela anche patrimoniale dell’interesse legittimo, tutela anche in via di reintegrazione del diritto soggettivo riparabile solo per equivalente quando la sua salvaguardia risultava attribuita al giudice ordinario). Viene anche richiamata l’enigmatica formula – collocata oggi nell’articolo 35, quarto comma, della legge n. 205 del 2000 – nella quale si legge che il giudice amministrativo “nell’ambito della sua giurisdizione conosce di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.


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