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Articoli e note

n. 7-8/2003

DIEGO DE CAROLIS (*)

Il caso Catania Calcio tra giustizia nell’amministrazione e giustizia nel …. pallone

(ovvero la crisi nei rapporti tra ordinamenti)

“Fraus omnia corrumpit”

 

SOMMARIO: 1. La fattispecie del conflitto tra ordinamenti. 2. La posizione della dottrina e della giurisprudenza. 3. Alcune considerazioni sul sistema francese e prospettive de jure condendo. 4. Considerazioni conclusive.

 

1. Torna all’attenzione la querelle del rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale [1], che si sbilancia a favore dell’uno o dell’altro secondo il contesto storico, economico e sociale in cui si verifica e che sta trovando sempre più alimento in questo momento d’ineludibile passaggio, anche nel mondo dello sport, dalla “secolarizzazione alla globalizzazione” [2].

 A distanza di circa dieci anni, con vichiana memoria, gli organi di giustizia amministrativa sono stati di nuovo investiti di questioni attinenti alle vicende di un campionato di calcio da un soggetto dell’ordinamento sportivo – che il quale ha ormai avuto anche una qualificazione giuridica di rango costituzionale [3], ma nello stesso tempo anche soggetto dell’ordinamento statale.

 Peraltro, nel caso di dieci anni orsono era più evidente il contatto tra ordinamento statale e quello sportivo, atteso che il primo, seppure in maniera indiretta, poteva (e può) esercitare i propri poteri di vigilanza e controllo sull’attività delle società di capitale, secondo la vecchia formulazione all’epoca vigente, degli artt. 12 e 13 della L. 23 marzo 1981, n. 91; l’esito di tali controlli erano rilevanti in entrambi gli ordinamenti.

Si coglieva immediatamente e senza perplessità l’assoluta possibilità per il giudice “ordinario”, in questo caso amministrativo, di sindacare l’attività compiuta da soggetti ed organi dell’ordinamento sportivo, come affermato dalla giurisprudenza formatasi sullo specifico caso [4].

Peraltro, tale possibilità di ingerenza viene confermata anche dalla vigente nuova formulazione delle suddette disposizioni, a seguito delle modifiche apportate dalla L. 18 novembre 1996, n. 586, non toccate dal D. L.vo n. 242 del 1999.

La ratio dell’art. 12 novellato è quella di garantire “il regolare svolgimento dei campionati sportivi” ed il successivo art. 13 conferisce alle Federazioni Sportive un potere di denuncia al tribunale nei casi di violazione dell’art. 2409 del codice civile. In buona sostanza, in questi casi emergono norme statali che attribuiscono alle Federazioni l’esercizio di poteri pubblicistici che, come tali, sono sindacabili dal giudice amministrativo.

 Il principio dell’effettività della tutela presente nel nostro ordinamento, che si ricava dagli art. 24 e 113 della Costituzione, dalla disciplina e dalla giurisprudenza comunitaria, giustifica altresì che il giudice “ordinario” sia in grado di interferire anche sull’ordinamento sportivo e sui suoi sistemi di giustizia che, in ipotesi, avessero assunte decisioni rilevanti non esclusivamente sull’attività agonistica, ma anche sull’organizzazione dei campionati.

In definitiva, sulle attività proprie del CONI e delle Federazioni così come sono state ridisegnate dagli art. 1 e 15, comma 1, del D.L.vo 20 luglio 1999 n. 242, i quali prevedono rispettivamente che il CONI “cura l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale” e che “Le federazioni sportive nazionali svolgono l'attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività.” .

Di contro, nel caso di oggi, a tutta prima, potrebbe apparire che non emergano posizioni giuridiche differenziate e rilevanti per l’ordinamento statale.

Infatti, si è trattato di contestare decisioni che la Federazione Sportiva, attraverso le sue articolazioni interne, ha assunto in applicazione di regole disciplinari che attengono allo svolgimento dell’attività agonistica e della manifestazione sportiva ufficiale.

La Corte Federale era intervenuta nonostante si fosse formato il cd. giudicato sportivo sul ricorso presentato alla Corte di Appello Federale che aveva annullato la decisione del Giudice disciplinare di non omologazione del risultato di una partita di campionato sul presupposto che fosse stato utilizzato un giocatore che non aveva scontato legittimamente il turno di squalifica.

Se così fosse, nessun giudice statale avrebbe potuto intervenire atteso che la questione riguarderebbe esclusivamente le vicende interne dei soggetti dell’ordinamento sportivo, come in più occasioni hanno avuto modo di affermare sia la dottrina che la giurisprudenza.

 Ma se, come accennato, il soggetto dell’ordinamento sportivo è, nel contempo, anche un soggetto dell’ordinamento statale, come tale portatore di diritti ed interessi legittimi, non può disconoscersi in capo al soggetto stesso la possibilità di ricorrere ad un giudice, in virtù degli art. 24, 111 e 113 della Costituzione, laddove si ritenga ed in effetti venga leso nella sua sfera giuridica.

 Infatti, come correttamente in più occasioni affermato, il limite della reciproca “indifferenza” tra ordinamenti viene superato le quante volte i soggetti dell’ordinamento sportivo svolgano funzioni previste da norme statali ovvero compiano attività riconducibili a quelle sopra ricordate di esercizio concreto del potere di organizzazione e di potenziamento dello sport nazionale, id est anche organizzazione dei campionati attraverso le federazioni sportive nazionali che curano l'attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, “anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività” (art. 15, comma 1, D.L.vo n. 242/99).

 A tale generale impostazione si aggiunga che la nozione attuale delle situazioni giuridiche soggettive, ed in particolare dell’interesse legittimo, tutelate dall’ordinamento secondo le modalità e gli strumetari parimenti previsti, sarebbe compromessa se tali garanzie potessero essere neutralizzate da ostacoli derivanti dall'esercizio dell'autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblicistica o, più in generale, da un ordinamento giuridico di settore, ma sempre di natura derivata come quello sportivo.

 Volendo anticipare alcune conclusioni, nel nostro sistema attuale appare fisiologico che un giudice “ordinario” si possa occupare, ovviamente solo su ricorso della parte che si ritiene lesa, di vicende che, seppure svoltasi nell’ambito dell’ordinamento sportivo,possano creare pregiudizio al titolare di una situazione giuridica soggettiva che trova una sua qualificazione dal diritto vivente.

 Sulla scorta di tale impostazione si sono mosse le decisioni in esame le quali, dopo la decisione squisitamente processuale della sezione Sesta del Consiglio di Stato, hanno ritenuto, seppure in sede cautelare, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo e hanno accolto la domanda cautelare, della quale si ha notizia che è stata chiesta anche l’esecuzione.

 In estrema sintesi, è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo ed accolta la domanda cautelare ribadendo, da un lato, che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui siano stati impugnati atti emessi da organi di giustizia sportiva di un’associazione aderente al CONI (nella specie della Federazione Italiana Giuoco Calcio), ove venga in considerazione non già la violazione di regole tecniche, bensì i principi fondamentali sull’organizzazione e sul funzionamento della giustizia sportiva i quali rifluiscono sulla valenza pubblicistica dell’attività sportiva stessa, così come riconosciuta dall'articolo 15, comma 1, del decreto legislativo 242/99; dalla violazione di tali principi, infatti, può discendere un pregiudizio alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell'attività sportiva e, quindi, la concomitante lesione di posizioni di interesse legittimo, la cui tutela è demandata al giudice amministrativo [5].

Dall’altro, ritenendo, ai sensi dell’art.21 della L. n. 1034 del 1971, nel testo novellato dall’art. 3 della L. n. 205 del 2000, fondate le doglianze volte a censurare il comportamento della F.I.G.C. che, a quanto consta, ha di fatto applicato la decisione della Corte federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio nei confronti della Calcio Catania s.p.a., che a sua volta è stata giudicata illegittima sia perché nell'ordinamento della giustizia sportiva, per le controversie di che trattasi, non è previsto un terzo grado di giudizio e sia perché, comunque, l’opposizione di terzo, in base ai principi generali, dovrebbe proporsi avanti allo stesso giudice che ha emesso la pronuncia gravata con tale rimedio e non innanzi alla Corte Federale.

 2. In realtà, al di là del clamore suscitato, le ordinanze dei Giudici siciliani e quelle degli altri TT.AA.RR. appaiono condivisibili atteso che fanno applicazione di consolidati orientamenti dottrinari e giurisprudenziali formatisi sia prima che dopo l’entrata in vigore del D.L.vo n. 242 del 1999.

Invero, in primo luogo giova ribadire che secondo l’opinione dominante, quanto meno nel settore pubblicistico, dopo un lungo processo evolutivo [6], l’ordinamento sportivo [7] viene a caratterizzarsi come ordinamento giuridico di settore il quale, se non dotato di sovranità originaria, è caratterizzato da un’ampia sfera di autonomia.

Peraltro, tale autonomia non impedisce all’ordinamento positivo nazionale di considerare gli Enti dell’ordinamento sportivo (in primis C.O.N.I. e Federazioni) in modo sostanzialmente non difforme da qualsiasi altro Ente (pubblico o privato) come tale tenuto ad osservare le norme dell'ordinamento in cui esso è inserito, senza con ciò diminuire la loro sfera di azione.

 L’ordinamento sportivo dunque assurge ad “ordinamento particolare o di settore” oggetto di norme statali di azione che regolano l’esercizio del potere pubblicistico riconosciuto al CONI di curare l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, coadiuvati in tale compito dalle Federazioni sportive.

Queste circostanze consentono di ricavare alcuni principi utili per un corretto coordinamento tra i due ordinamenti che si fondano su di una tendenziale compatibilità, di talché in caso di conflitto la prevalenza deve essere data a quell’ordinamento i cui principi sommi vengono messi in discussione, sempre tenendo presente l’inviolabilità dei principi costituzionali.

Dal suo canto, la giurisprudenza ha confermato, come in più occasioni dalla stessa ribadito [8], che l'ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, autarchia e autodichia, è derivato da quello generale dello Stato con la conseguenza che il c.d. "vincolo di giustizia sportiva" che impone alle società sportive affiliate l'impegno di accettare la previa e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottate dalla F.I.G.C. e dai suoi organi e soggetti delegati nelle materie concernenti l'attività sportiva opera con esclusivo riferimento alla sfera strettamente tecnico-sportiva ed in quella dei diritti disponibili ma non nell'ambito degli interessi legittimi i quali sono insuscettibili di formare oggetto di una rinuncia preventiva, generale ed illimitata nel tempo, alla tutela giurisdizionale.

Tale impostazione, secondo la giurisprudenza, viene supportata dal collegamento tra l'interesse legittimo e l'interesse pubblico e dalla stessa indisponibilità del diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto dagli artt. 24 e 113 Cost..

Ciò posto, in via generale, occorre ora porre l’attenzione al grado di autonomia della giustizia sportiva rispetto alla giustizia ordinaria intesa in senso lato, e cioè a quella amministrata dallo Stato.

Infatti, si deve ribadire sottolineare che l’ordinamento sportivo, pur nella sua innegabile autonomia normativa e regolamentare, non può precludere a chi ne entra a far parte il diritto costituzionalmente garantito di adire il giudice statale ogni qualvolta si lamenti la lesione di diritti soggettivi [9] o di interessi legittimi (artt. 24 e 113 Cost,).

Invero, l'accertato inserimento dell'ordinamento sportivo e del suo Ente esponenziale, il CONI, nell'ordinamento giuridico statale italiano, anzi la sua dipendenza da quest'ultimo, comporta che il soggetto inserito in tale ordinamento sia titolare nei suoi confronti delle stesse situazioni, siano esse di diritto soggettivo o di interesse legittimo che ogni cittadino è suscettibile di assumere di fronte alla Pubblica amministrazione.

L'accertamento quindi dell'esistenza di una situazione di interesse legittimo o di diritto soggettivo di uno sportivo discende quindi dalla normativa sia generale che particolare che si riferisce a quella situazione di fatto in cui si trova ad essere il soggetto [10].

Perciò, una rinuncia alla tutela giurisdizionale da parte dello Stato si porrebbe in aperto contrasto con fondamentali principi di ordine pubblico, andando a comprimere irreversibilmente, diritti fondamentali ed indisponibili per ogni cittadino, al quale non è consentito di rinunciare volontariamente alla suddetta tutela prima che sia sorto il diritto di azione [11]

A questo va aggiunta la necessaria ed ineliminabile preminenza del controllo sul C.O.N.I. e sulle Federazioni da parte dello Stato sotto il profilo amministrativo, in senso lato, penale e contabile attraverso gli Organi Giurisdizionali limitando anche in tal modo la “giurisdizione domestica” riservata alle singole Federazioni anche nell’esercizio della propria autonomia organizzativa.  

Di talché si tenta di limitare sempre più i casi in cui i due ordinamenti possono essere reciprocamente indifferenti anche quando si tratta di estrinsecazione dell’autonomia privata delle singole federazioni e dei propri affiliati [12].

Di poi, riguardo ai profili di tutela che più interessanon in questa sede, è stata affermato che gli atti di affiliazione alle federazioni sportive, come gli atti di esclusione o sanzionatori nell’esercizio della cosiddetta giustizia sportiva, hanno natura provvedimentale con conseguente sindacato giurisdizionale da parte del giudice amministrativo [13].

E ciò dopo avere ribadito che le federazioni sportive, aventi geneticamente natura privatistica di associazioni non riconosciute, assumono la posizione di organi del Comitato olimpico nazionale italiano-CONI e partecipano della natura pubblicistico-autoritativa (e non economica) di quest'ultimo, allorché operano nell'esercizio di poteri di organizzazione e disciplina di attività sportive inerenti alle funzioni del CONI [14].

Più di recente, il giudice amministrativo si è occupato anche dell’attività contrattuale svolta dal CONI e dalle Federazioni sportive [15] nel perseguimento dei fini istituzionali di diffusione dello sport.

 In questi casi, seguendo l’impostazione tradizionale, pur rilevando la natura privatistica delle federazioni, è stato evidenziato che le attività della federazioni stesse coincidenti con quelle istituzionali di diffusione dello sport proprie del CONI mutuano da quest’ultimo la relativa disciplina, con la conseguenza che le controversie inerenti a tali attività rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo [16].

Per cui è stata ritenuto di competenza del giudice amministrativo la controversia instaura da un soggetto che non è stato posto in grado di partecipare alla procedura relativa alla aggiudicazione di un contratto a trattativa privata indetta da una Federazione sortiva, soggetta, in questi casi, alle procedure di evidenza pubblica [17].

O, ancora, occupandosi direttamente dell’attività di vigilanza sul mondo economico e della tutela avverso intese restrittive ed eventuali abusi di posizione dominante [18], ha affermato l’illegittimità del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza che ha qualificato alla stregua di accordi restrittivi della concorrenza due contratti stipulati nel 1992 e nel 1995 tra l'Associazione Italiana Calciatori (AIC) e la Panini S.p.A., aventi ad oggetto la cessione, da parte dell'AIC alla Panini, del diritto di riprodurre le immagini dei calciatori professionisti in tenuta da gioco al fine di fabbricare e commercializzare album di figurine e relative figurine autoadesive nonché altri prodotti appartenenti al collezionabile editoriale.

Infatti, in questo caso si ritiene che non possa rilevare una limitazione dell'assetto concorrenziale allorquando la concorrenza sia in radice esclusa ossia la situazione monopolistica preesista sia pure in forma virtuale mercé la mancata intrapresa dell'iniziativa economica diretta da parte del titolare del diritto allo sfruttamento e venga solo trasferita con l'accordo.

Tornando alla analisi in via generale dell’ordinamento giuridico sportivo e del suo modo di operare, occorre sottolineare che le carte federali contengono, a riguardo della tutela dei diritti e degli interessi del singolo affiliato alla “federazione”, una norma che impone alle persone fisiche tesserate ed ai gruppi minori affiliati alla federazione, per un verso l’obbligo di adire gli organi di giustizia interni a ciascuna federazione, o ad un collegio arbitrale costituito secondo criteri prestabiliti, per la tutela dei loro diritti ed interessi e per la risoluzione di tutte le controversie, insorte tra loro o tra soci e organi federali, attinenti allo svolgimento dell’attività sportiva, e per altro verso, l’obbligo di accertare le decisioni con esclusione di ogni altra giurisdizione in materia [19].

Non si può accettare con assoluta certezza la validità di tali norme nell’ordinamento statale [20], considerando che essa intende creare una vasta area di esenzione dall’applicazione del diritto comune, sottraendo alla cognizione del giudice statale una serie indefinita di controversie relative a rapporti non privi di rilevanza giuridica per questo ordinamento [21]

È quindi importante che tale libertà normativa debba necessariamente soggiacere ai limiti propri dell’autonomia privata, e cioè rispettare “i principi costituzionali posti a garanzia del privato” [22].

Infatti, l’obbligo assunto dagli associati di adire gli organi della giustizia sportiva non può riguardare in nessun caso i diritti inviolabili dell’uomo, che debbono essere direttamente tutelati dall’ordinamento statale anche all’interno delle formazioni sociali e non possono costituire oggetto di accordi tra gli associati.

Così come sarebbe priva di rilevanza giuridica la rinuncia alla tutela giurisdizionale di tali diritti di fronte all’autorità giudiziaria Statale [23].

Allo stesso modo, la rinuncia preventiva dei singoli consociati, può operare solamente nell’ambito strettamente tecnico-sportivo, come tale irrilevante per l’ordinamento dello Stato, ovvero nell’ambito in cui ciò sia consentito dalla natura giuridica degli interessi coinvolti: gli interessi legittimi, in particolare, a causa del intrinseco collegamento con un interesse pubblico, ed in forza dei principi sanciti dall’art. 113 Cost., sono insuscettibili di oggetto di rinunzia preventiva, generale e temporalmente illimitata alla tutela giurisdizionale, e devono quindi essere tutelati innanzi al giudice amministrativo.

Corollario di non poco momento di tale impostazione è l’insusceitibilità di devolvere tali controversie ad un Collegio arbitrale che, allo stato, nel nostro ordinamento non può conoscere di situazioni aventi natura di interesse legittimo conosciute dal giudice amministrativo, come ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [24], anche dopo la novella introdotta dall’art. 6, comma 2 , della L. n. 205 del 2000, che consente il ricorso a tale strumento di tutela sono quando si tratti di controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo [25].

 Indubbiamente, ben potrebbero essere raggiunti accordi per risolvere le controversie con la conseguenza processuale di determinare la cessazione del giudizio per sopravvenuto difetto di interesse, ma tale possibilità non può essere “imposta” per evitare gli effetti pronunce giurisdizionali, ma consentita solo in relazione alla piena e libera disponibilità del diritto di azione, tutelato in maniera assoluta dal nostro ordinamento.

 Per concludere al riguardo, quello che emerge è la grande difficoltà di individuare criteri certi ed univoci di risoluzione dei conflitti tra ordinamenti al fine di garantire la certezza del diritto e dei rapporti giuridici tra i soggetti che li compongono e che siano portatori di situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela.

Peraltro, sinora tale lacuna è stata colmata dai principi rinvenibili dalle affermazioni dei giudici statali, ordinari e amministrativi, che possono considerarsi delle vere è proprie fonti atipiche di origine giurisprudenziale e che costituiscono ormai jus receptum, nonostante qualche malcelato tentativo di volerne disattendere la funzione regolatrice dei rapporti tra soggetti dell’ordinamento.

 Del resto, tutti gli atteggiamento riottosi ad accettare lo “stato dell’arte” sul punto sono stati puntualmente censurati e modificati d’imperio dall’intervento del giudice statale.

Con questo non si vuole certamente affermare che debba essere soffocata qualsiasi forma di autonomia dell’ordinamento sportivo, ma solo ricordare che quest’ultimo è tenuto comunque a rispettare le regole dell’ordinamento (rectius degli ordinamenti) statale e comunitario dal quale comunque deriva ed è riconosciuto.

 3. Spunti di ulteriore riflessione  ed un’eventuale proposta de jure condendo per chiarire meglio i rapporti, dal punto di vista delle relazioni organizzative tra ordinamento statale, CONI, Federazione sportive e, comunque, di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, si possono cogliere da un’importante decisione del Consiglio di Stato francese del luglio 2001.

La pronuncia, che è stata annoverata tra le “grandi sentenze della giurisprudenza sportiva”, ha infatti annullato la decisione della commissione d’organizzazione delle competizioni della Lega nazionale di calcio in data 22 maggio 2001 che omologava la classifica finale del campionato di Francia professionale di prima serie per la stagione 2000-2001, obbligandola a riscriverla secondo la corretta applicazione delle norme federali e condannando “La Federazione francese di calcio e la Lega nazionale di calcio sono condannate congiuntamente al pagamento della somma di 20.000 franchi alla società ad oggetto sportivo Toulouse Football Club”.

 La decisione, scaturita dal fenomeno dei cd. passaporti falsi che ha toccato anche il nostro paese, offre interessanti ed innumerevoli spunti di riflessione che, peraltro non è possibile affrontare in questa sede.

 Su tutti, peraltro, può distinguersi, per le spiccate analogie con il caso in corso nel nostro ordinamento, l’interesse che può suscitare il sistema ed il modello francese che deriva appunto da caso colà deciso.

 Infatti, si evince che, in Francia, il riparto delle competenze giurisdizionali ubbidisce a delle regole particolari in materia sportiva.

In virtù dell’art. R.311-1 del codice di giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato è normalmente competente in prima e seconda istanza per conoscere delle decisioni amministrative,regolamentari o individuali, degli organi collegiali a competenza nazionale.

 A tale categoria appartiene chiaramente parte la commissione di organizzazione delle competizioni sportive ,autrice dell’omologazione.

Ma,in deroga,l’art. R311-2 dello stesso codice attribuisce competenza ai tribunali amministrativi per i ricorsi contro “le decisioni individuali prese da una federazione sportiva nell’esercizio delle sue prerogative di autorità pubblica”.

 Per cui, come esattamente rilevato dalla dottrina, il Consiglio di Stato poteva dunque dichiararsi competente solo se la decisione di omologazione,che viene emanata da un organo collegiale a competenza nazionale,era vista come una decisione che non presentava carattere di atto individuale.

 Al di là delle specifiche questioni processuali e sostanziali appena accennate, la pronuncia offre lo spunto per constatare come le controversie sulle decisioni prese “da una federazione nell’esercizio delle sue prerogative di autorità pubbliche” siano attribuite alle giurisdizione del giudice amministrativo.

 Questa opzione non pare creare particolari giudizi negativi o reazioni eccessive da parte dell’ordinamento sportivo, come sta accadendo in Italia.

 Probabilmente, quando emergono profili di interesse generale dell’attività sportiva e della sua organizzazione, si riescono a cogliere elementi decisivi che consentirebbero di far rientrare tale attività tra quelle soggette al regime del servizi pubblici, sociali e culturali, al di là dell’indubbio valore economico del fenomeno sportivo.

Se così fosse, una norma siffatta ben potrebbe essere emanata dal nostro legislatore, recepita e fatta propria dall’ordinamento sportivo al fine di fornire un primo punto fermo.

4. Con ciò non si vuol affermare che il giudice statale possa sempre e in ogni caso intervenire e sovrapporre la sua decisione a quella presa da altri nella propria sfera di autonomia.

 In questi casi, contrariamente ad un regola aurea valida per ogni ordinamento, lascerebbe un ruolo troppo grande all’insicurezza giuridica ammettere che i risultati delle partite potrebbero, attraverso un’eccezione di illegalità, essere rimessi in discussione dopo molti mesi e modificare così l’assetto del campionato [26].

 Ma non può condividersi il principio,che in più occasioni viene evocato per cui rex in regno suo est imperator, dal momento che nell’attuale sistema non possono sopravvivere zone franche, prive di tutela effettiva.

 Sono ipotizzabili ed auspicabili soluzioni nei rapporti tra ordinamenti attraverso modelli che tocchino sia profili etici che giuridici per evitare momenti di crisi ed il loro vichiano ripetersi [27].

 Sul primo profilo, quello etico, che si può solo brevemente accennate essendo chi scrive in grado solo di intuire e percepirne la profonda rilevanza, occorrerebbe ricentrarne e riscoprine l’importanza, anche in un mondo in cui pare prevalere esclusivamente la cultura della performance, del risultato e del valore economico della gestione delle attività sportive agonistiche, finanche a livello dilettantistico ed amatoriale.

 Sul secondo profilo, quello giuridico, occorrerebbe recuperare autorevolezza e piena coerenza nelle decisioni degli organi di giustizia sportiva, sforzandosi di garantire, almeno nell’ordinamento sportivo, la certezza del diritto.

Se così è, appare assolutamente impensabile che un buon ed ordinato Stato moderno non vigili con attenzione sul fenomeno sportivo ad ogni livello e se ne curi direttamente, sia attraverso il potere legislativo che giudiziario, una volta che si è preso atto che da tale fenomeno possano derivare pregiudizi all’economia del paese o, in termini più ristretti, a singole situazioni giuridiche soggettive.

 Subito dopo l’entrata in vigore della norma di riordino si è avuto modo di sottolineare che avrebbe dovuto iniziare  una nuova stagione per riformulare meglio la disciplina di settore ed i rapporti tra ordinamenti, altrimenti si subiscano le conseguenza di una crisi (etica e, per così dire, giuridica) dell’intero settore sportivo.

Un utile insegnamento può trarsi da Silvio Spaventa, fautore della giustizia nell’amministrazione, nel memorabile discorso tenuto a Bergamo il 7 maggio 1880, in un epoca in cui “le forme patologiche avevano avuto il sopravvento su ciò che doveva essere uno sviluppo armonico delle istituzioni nel rapporto con i cittadini” [28].

 Secondo Spaventa, per evitare che “ l’interesse di un partito, di una classe o di un individuo …predomini ingiustamente sopra l’interesse degli altri… La soluzione sta nel fare un’essenziale distinzione tra governo e Amministrazione”.

In buona sostanza, la giustizia dell’Amministrazione veniva vista, n primo luogo, come un fatto interno alla medesima che poteva essere soggetta ad un sistema di guarentigie che, per essere veramente efficiente, abbisogna di una volontà decisa ed illuminata degli operatori.

Tale esortazione appare ancora più attuale alla luce della vicenda in esame.

Gli è che, nell’attuale momento, emerge sempre più la circostanza che l’ordinamento sportivo non riesca più a governare in maniera condivisa (e condivisibile) e giuridicamente convincente le vicende che si svolgono al proprio interno, per cui al giudice statale viene chiesto di regolare un conflitto interno al mondo dello sport e del calcio in particolare.

 In questi casi, confermando un fenomeno che in più occasioni si è manifestato anche mediante forme di grande impatto come quella in esame, è assolutamente fisiologico, indipendentemente da altre questioni, l’intervento dell’ordinamento statale su quello sportivo, alle volte anche per quello che può riguardare il concreto svolgimento dell’attività agonistitica in ogni sua manifestazione, cosa che sembrava completamente indifferente per l’ordinamento statale.

Un conferma in tal senso si rinviene, ad esempio, nelle recenti modifiche al T.U. in materia di immigrazione che ha espressamente previsto [29] che “ con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato il limite massimo annuale d'ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da sottoporre all'approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili.”

 Questo è un ulteriore esempio del tendenziale intento di colmare lacune e dirimere controversie che, altrimenti, non appaiono agevolmente risolvibili, come conferma il caso che ci occupa che sta già ampliando i suoi effetti e dando occasione ad altri interventi del giudice amministrativo [30].

L’auspicio è che la ragionevolezza ed il buon senso “giuridico” possano prevalere sugli interessi di parte, evitando “avvitamenti” che non possono portare a nulla di costruttivo.

 

(*) Ricercatore conf. di Diritto amministrativo, Docente di Diritto amministrativo presso il Corso di Laurea in Scienze Giuridiche, economiche e manageriali dello sport, dell’Università di Teramo - Sede di Atri (TE).

[1] All’indomani dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 242 del 1999,di riordino del CONI e delle Federazioni sportive, si è avuto modo di anticipare che occorreva iniziare una nuova stagione e riformulare meglio la disciplina di settore ed i rapporti tra ordinamenti. Sul punto sia consentito rinviare a DE CAROLIS, Il CONI e le Federazioni nel quadro normativo nazionale, in Lancillotto e Nautica 1999 e in www.giust.it ed alla dottrina e giurisprudenza ivi citata.

[2] Riprendendo le parole del sottotitolo del recente lavoro di L. Russi, La democrazia dell’agonismo, Pescara 2003, che compie una lucida analisi di questo fenomeno dal punto di vista storico, sociale in senso lato, e soprattutto etico. Con ciò offrendo spunti di riflessione sulla rilevanza di tale percorso evolutivo nei rapporti tra ordinamenti (statale e sportivo), quando gli stessi vengono chiamati a stabilire le regole dei rispettivi ambiti.

[3] Com’è noto era stata la dottrina a teorizzare l’esistenza di un ordinamento sportivo e la giurisprudenza ne aveva confermato la piena qualificazione. Oggi l’ordinamento sportivo viene contemplato sia dall’art. 1, terzo periodo, del D.L.vo n. 242 del 1999 che, soprattutto, dall’art 117, comma 2, della Costituzione, che indica l’ordinamento sportivo tra le materia soggette alla potestà legislativa concorrente tra stato e regioni. Peraltro, forse più correttamente, de jure condendo, la materia sarà ricondotta tra quelle di competenza esclusiva dello Stato.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2001, n. 2546, in Foro amm. 2001, 1226, secondo cui il potere di controllo della federazione sportiva, in virtù di delega del Comitato olimpico nazionale italiano, ai sensi dell'art. 12 l. 23 marzo 1981 n. 91, non viene meno nei confronti di società sportiva affiliata, a seguito della messa in liquidazione della società stessa, di guisa permane il potere sanzionatorio nel caso di violazione delle regole della vita associativa o gravi irregolarità di gestione, indipendentemente dagli accertamenti di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria in riferimento allo stato debitorio della società predetta.

[5] Cfr. in tal senso TAR Puglia, Bari, Sez. I, 11 settembre 2001, n. 3477, in www.lexitalia.it. Il principio è stato più affermato anche da Cons. Stato sez. VI n. 1050/95, in senso conforme al consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a partire dalla fondamentale sentenza SS.UU. 1989, n. 4399 così anche Cass. n. 4063/93);

[6] Il processo evolutivo dei rapporti con l’ordinamento statale è stato oggetto attenzione da parte degli studiosi. Limitando le citazioni alla dottrina pubblicistica è fondamentale lo scritto di CESARINI-SFORZA,La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro It. 1933, I, 1381, nonché quello di GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi,in Riv. Dir. Sport. 1949, 10. Cfr. altresì, PIACENTINI, Sport, in Dizionario amministrativo, a cura di GUARINO, II, Milano 1983, 1147; PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva nell’ordinamento dello sport, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano 1988, pag. 509; MORBIDELLI, Gli Enti dell’ordinamento sportivo, in Dir. Amm. 1993, 302; GIANNINI, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. Trim. dir. Pubbl. 1996, 671; FRACCHIA, Sport, in Dig. Disc. Pubbl. , vol. XIV, TORINO 1999, 467 e ss; SANINO, Sport, in Enc. Giur. Treccani, Vol. XXX, Roma; IDEM, Diritto sportivo, Padova, 2002; FRASCAROLI, Sport, in Enc. Dir., vol. LXIII, Milano 1990, 513; FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano 1995; CAPRIOLI, L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, Napoli 1997; TORTORA- IZZO- GHIA., Diritto Sportivo, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, Fondata da BIGIAVI, Torino, 1998.

[7] FRACCHIA, Sport, in Dig. Disc. Pubbl., vol. XIV, Torino, 1999, il quale sottolinea che il nostro ordinamento, a differenza di quanto accade per le confessioni religiose, non concepisce l’ordinamento sportivo come superstatale e originario, né, in mancanza di una specifica garanzia costituzionale, lo colloca al riparo dall’ingerenza della disciplina statale.

[8] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050, in Foro amm. 1995, 1934.

[9] Su tali aspetti VIDIRI, Potere disciplinare delle federazioni sportive e competenza dell'A.g.o. (nota Cass., Sez. Un., 10 novembre 1994 n. 9351), in Giust. civ. 1995, I, 392.

[10] Il principio è stato chiaramente affermato per la prima volta dal TAR Lazio, 22 ottobre 1979 n. 680 del in TAR 1979, I, 3447.

[11] Tale principio è meglio spiegato da Cons. St., sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050, in Giust. civ. 1996,I, 577 e, Foro it. 1996, III, 275.

[12] Una degli esempi più evidenti di tale interferenza è rappresentato da Cass. Civ. Sez. III, 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro It. 1978, I, 862 e ss., in base al quale il contratto tra società calcistica e giocatore professionista con il quale la prima si obbliga a corrispondere alla moglie del secondo una somma di denaro entro dieci giorni dall’accettazione, da parte del calciatore, del suo trasferimento a società appartenente alla lega semipofessionisti, sebbene contrario alla clausola federale che vieta ai calciatori professionisti di concludere direttamente contratti concernenti il proprio passaggio a sodalizi affiliati a tale Lega e di accettare compensi o liberalità per siffatto trasferimento,è valido; PACCES, Competizioni automobilistiche: nuovo terreno fertile per il risarcimento delle chances perdute? (nota a sent. Trib. Monza 21 febbraio 1992, First Racing Team c. Bonanno), in Riv. dir. sport. 1994, II, 447; in generale sui rapporti di lavoro sportivo BERTINI, Il contratto di lavoro sportivo, in Contratto e impresa 1998,I, 743. Ciò emerge, ad esempio, dall’affermazione che il giudice sportivo potrà non riconoscere il contratto e prendere tutti i provvedimenti disciplinari ritenuti opportuni per la violazione dei principi sportivi, ma il giudice civile non può non riconoscere validità al contratto se trattasi di convenzione stipulata fuori del puro ambito sportivo ed anche se contraria a principi giuridici della regolamentazione federale. Sul punto Cass. Civ. sez.V, 11 febbraio 1978, n. 675, in Giur. cost. e civ., 1978, 862. Più recentemente il principio è stato ribadito anche dai giudici di merito. E’ stato infatti affermato che la pattuizione, con la quale la società sportiva s’impegna a riconoscere all'atleta un determinato compenso in caso di raggiungimento di un particolare risultato, è pienamente valida anche se non redatta secondo le forme previste dall'ordinamento sportivo. Tribunale Perugia, 10 aprile 1996, in Giur. merito 1996, 864. In dottrina CUCCINIELLO, Considerazioni in tema di "contratto di lavoro sportivo professionistico": prescrizioni di forma e di contenuto nell'art. 4 l. 23 marzo 1981 n. 91, in Rass. dir. civ. 1996,I,1, 449. Un altro esempio si ricava dalla dichiarazione di nullità del contratto di cessione di titolo sportivo per l’impossibilità dell’oggetto del contratto stesso derivante dalla disciplina interna di una federazione. Invero è stato affermato che, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 cc. Nonché dell’art. 5 della L. 16 febbraio 1942 n. 426, Il contratto tipico di compravendita del titolo sportivo da un'associazione calcistica è nullo per impossibilità dell'oggetto in considerazione dell’incedibilità del titolo sancita nei regolamenti della F.I.G.C. Tribunale Spoleto, 20 febbraio 1997, in Rass. giur. umbra 1997, 417, con nota di EROLI). Da ultimo è stato precisato che la clausola compromissoria per arbitrato irrituale prevista nel contratto di prestazione sportiva stipulato ai sensi dell'art. 4 l. 23 marzo 1981 n. 91 non ha effetto nei confronti dei terzi estranei ai quali non è precluso di adire il giudice ordinario

[13] In tal senso Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 1996, n. 654, in Foro Amm. 1996, 1573. Il caso riguardava la controversia tra un arbitro e l’Associazione italiana Arbitri Federazione italiana gioco calcio.

[14] Peraltro, questo principio sin ora comunemente accettato dovrà essere riesaminato alla luce dell’art. 19 del D.Lgs n. 242 del 1999 che ha espressamente abrogato l’art. 14 della legge 23 marzo 1981, n. 91 dalla quale si faceva discendere la doppia natura delle Federazioni sportive. Tuttavia tale rivisitazione non potrà non tenere conto dell’art. 15, comma 1, del D.L.vo n. 242/99, della normativa comunitaria e della nozione di organismo di diritto pubblico da questa introdotta seppure limitatamente all’esercizio di determinate attività.

[15] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5424, in www.giustizia-amministrativa.it.

[16] Sin ora era jus receptum il principio in base al quale, ai sensi dell'art. 14 l. 23 marzo 1981 n. 91, le Federazioni sportive hanno autonomia tecnica, organizzativa e di gestione sotto la vigilanza del Coni, con la conseguenza che presentano un duplice aspetto, l'uno di natura pubblicistica, riconducibile all'esercizio in senso lato di funzioni pubbliche proprie del Coni, e l'altro di natura privatistica, riconnesso alle proprie specifiche attività che, in quanto autonome, sono separate dalle prime e fanno capo unicamente alle federazioni medesime. Cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 18 marzo 1998, n. 313, in Rass. Cons. Stato 1998,I, 444.

[17] Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 1998, n. 1662, in Giur. it. 1999, 1317. Nella nota redazionale, pag. 1319, viene posta in evidenza la necessità di rivisitare la materia alla luce delle disposizioni introdotte dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80.

[18] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 1999 n. 172, Est. Caringella, in http://www.lexitalia.it -Autorità Garante della Concorrenza c. Associazione Italiana Calciatori e Panini s.p.a

[19] R. CAPRIOLI, L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato,  Napoli, 1997, p.132. Peraltro, da tempo la giurisprudenza ha chiarito molti aspetti che apparivano problematici. Significativa al riguardo è la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 26 ottobre 1989, n. 4399, in Foro it. 1990, I,899. Nella motivazione, viene illustrato chiaramente il percorso ermenutico da seguire in questi casi. Infatti, viene chiarito che la via “ conducente alla negazione sia del diritto soggettivo che dell'interesse legittimo (e, perciò, all'esclusione di ogni possibilità di adire il giudice statale), è pertanto una sola, ed è quella che non trascura di considerare come nell'ambito di taluni organismi (prevalentemente ma non necessariamente privati) sussiste - quale espressione di una particolare autonomia - la possibilità dell'emanazione di determinate norme "interne" di comportamento, la cui osservanza o meno, da parte dei destinatari, pur rilevante nell'ambito predetto, è assolutamente irrilevante, nell'ambito dell'ordinamento generale. È ben nota l'impostazione dottrinale secondo cui l'ordinamento può assumere, nei confronti di un "ordinamento separato", tre possibili atteggiamenti: l'ignorarlo, il riconoscerlo "come ordinamento", il riconoscerlo "come proprio soggetto di diritto". Ma, all'evidenza, questi possibili atteggiamenti non sono tanto rigidi da escludersi sempre vicendevolmente, potendosi ben pensare che ciascuno di essi possa di volta in volta trovare giustificazione nei confronti del medesimo organismo ("ordinamento separato"), a seconda delle sue varie manifestazioni. Può, cioè, ritenersi che anche nelle ipotesi in cui tale organismo venga riconosciuto "come ordinamento", oppure "come soggetto dell'Ordinamento generale", possa sempre esservi spazio per l'individuazione di una zona di "ignoranza", perfettamente coincidente con quella che è stata poc'anzi denominata di "irrilevanza" di determinate norme interne.”

[20] FRASCAROLI, voce Sport cit., 528, ribadisce che l’ordinamento sportivo, pur nella sua innegabile autonomia normativa e regolamentare, non può precludere a chi ne entra a far parte il diritto costituzionalmente garantito di adire il giudice statale ogniqualvolta ai lamenti la lesione di diritti soggettivi e di interessi legittimi

[21] “La rilevanza pratica della differente regolamentazione deriva dal fatto che, ove l’interprete ritenga applicabile la normativa statale contrastante con quella sportiva essa in via di massima si impone ai soggetti dell’ordinamento sportivo i quali fanno contemporaneamente parte dell’ordinamento statale”. Così FRACCHIA, voce Sport , in Dig. Disc. Pubbl., vol XIV,Torino, 1999, 471.

[22] BIANCA, Le autorità private, NAPOLI 1977, p.48

[23] LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975

[24] Cfr. per il principio Cass. Civ., sez. un., 24 aprile 2002, n. 6034, in Foro it. 2002, I,2290.

[25] Ad esempio, così possono essere risolte anche le controversie in materia di raccolta scommesse e gestione pronostici. Per T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 31 luglio 2002, n. 3280, in Foro amm. TAR 2002, 2354, in virtù  dell'art. 6, l. 21 luglio 2000 n. 205, le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del g.a. possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto.

[26] Indubbiamente, la legge naturale dello sport prevede che una volta che un incontro è stato perso,che sia ciò giusto o ingiusto,non ci si possa più tornare

[27] Un altro profilo di evidente difficoltà è quello di coniugare, in via più generale, l’ordinamento sportivo con quello statale e comunitario. Non è facile cioè delineare i rispettivi limiti e confini e l’incidenza delle accennate continue evoluzioni che caratterizzano l’uno e l’altro diritto. Nel millennio appena iniziato si sta assistendo ad una riaffermazione della prevalenza dell’ordinamento statale, dopo che per quasi tutto il secolo scorso si era percorsa la strada inversa, in quanto l’ordinamento sportivo aveva l’esigenza di affermarsi quale esempio di sistema vigente e consolidato costituito da quel complesso di regole (tecniche e disciplinari) alle quali sono tenute ad assoggettarsi tutti coloro che praticano un’attività sportiva. Una delle ragioni profonde della ripresa dell’ingerenza dell’ordinamento statale, che comunque per la sua posizione pozione fa assurgere ad ordinamento derivato di settore quello sportivo, va individuata, a mio sommesso avviso, nella crisi di identità “ etica” nel mondo dello sport in generale. E’ inutile soffermarsi sugli innumerevoli esempi negativi che hanno segnato le vicende sportive, in tutte le discipline, e che hanno fatto perdere fiducia nella funzione dello sport come “diletto” e di alimento dello spirito.Tale fenomeno massimamente si è manifestato nel momento in cui la cultura della performance è stata fatta propria dal mondo economico e commerciale che tende, direi quasi fisiologicamente, sempre più a mettere in un angolo la funzione sociale dello sport, anche professionistico.

[28] Come rammenta VERDE, L’unità della giurisdizione e la diversa scelta del costituente, in Dir. proc. amm. 2002, 343, spec.352.

[29] Così dispone, in materia di attività sportive, l’art. 27, comma 5 bis, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

[30] Infatti, è di questi giorni la notizia che altre società sportive (Salernitana e Venezia) hanno chiesto l’intervento del Giudice amministrativo contestando le decisioni della Federazione Gioco Calcio e della Lega.


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