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Articoli e note

n. 12/2003  - © copyright

SALVATORE CURRAO (*)

Il ruolo della Provincia Regionale nel nuovo assetto dei poteri locali a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione

… con la riforma del Titolo V della Costituzione i rapporti tra Stato, Regione ed Enti Locali si sono capovolti, l’attribuzione amministrativa parte dal basso e non è più una “concessione” del potere centrale o regionale…

 

La riforma del titolo V – Parte II – della Costituzione ed il nuovo assetto dei poteri locali che da essa ne discende hanno innescato un intenso dibattito a vario livello in ordine agli scenari che possono prospettarsi in sede di adattamento della legislazione a tale innovato contesto ordinamentale.

Per quanto attiene al sistema delle autonomie locali, si è avviato un processo di revisione del Testo Unico degli Enti Locali, approvato con D.Lgs. 267/2000, nel quale come è noto è refluita la quasi totalità delle leggi introdotte dal legislatore negli anni 90 a partire dalla legge 142/90 per arrivare alla legge 265/99.

Nel dibattito in corso si inserisce la legge 5 giugno 2003 n. 131 (nota come la “La Loggia”, dal nome del Ministro proponente) recante disposizioni per l’adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica alla legge Costituzionale 18.10.2001 n. 3.

Essa mira a disciplinare una serie di problemi lasciati aperti dalla riforma del Titolo V della Costituzione, al fine di i numerosi (anche se in parte inevitabili) elementi di incertezza che la frettolosa riforma costituzionale condotta in porto nella scorsa legislatura ha lasciato aperti.

I punti cardine della legge “La Loggia” sono: a) individuazione dei limiti generali alla competenza legislativa statale e regionale; b) delimitazione delle reciproche sfere di competenza operativa della normativa comunitaria e del potere estero delle regioni; e) definizione del potere sostitutivo statale; f) integrazione della  del ricorso alla Corte Costituzionale in chiave di garanzia; g) rimodulazione delle forme di rappresentanza dello Stato presso le autonomie; h) riconferma del regime vigente per le Regioni a Statuto Speciale.

Riservandosi di tornare di tornare sulla legge con un esame più approfondito delle innovazioni da essa recate, in questa sede ci interessa fare il punto del Ruolo delle Province nel nuovo assetto istituzionale.

E’ indubbio che il nuovo quadro legislativo ha rafforzato il ruolo dei Comuni e delle Province rispetto a quello oggi risultante dalla nostra legislazione regionale.

Su questo specifico punto va posta l’attenzione sull’art. 10 della Legge Costituzionale il quale stabilisce che, “sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti le disposizioni introdotte con la riforma si applicano alle Regioni a Statuto Speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomie più ampia rispetto a quelle già attribuite”.

Prevedendosi tempi lunghi per l’adeguamento dello Statuto della Regione Sicilia, essendo quest’ultimo soggetto alla procedura di revisione aggravata richiesta dall’art. 138 della Costituzione, è indispensabile che le forze politiche al di là della loro collocazione facciano pressione sul governo regionale per arrivare al più presto alle definizioni di un nuovo assetto politico-istituzionale che riconosca pari dignità nei rapporti tra gli enti locali e la Regione.

Sappiamo tutti che la Regione ha continuato e continua a svolgere funzioni amministrative persino nelle materie trasferite, e della costante riduzione dei trasferimenti decisa unilateralmente, che rendono ormai impossibile far fronte in modo adeguato alla molteplicità di servizi che il Comune e la Provincia devono garantire.

Il testo riformato sancisce che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che per assicurare l’esercizio unitario siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”, mentre il successivo comma stabilisce che “i Comuni, le Province e le Città Metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.

Dalle suddette disposizioni appare evidente che i rapporti tra lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali si sono capovolti, l’attribuzione amministrativa parte dal basso e non è più una “concessione” del potere centrale o Regionale, e, solo quelle che sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza il Comune non può esercitare da solo saranno conferiti ai livelli superiori.

Il principio di “sussidiarietà” assume così valenza costituzionale.

A ciò si aggiunge che la potestà statutaria non è più soggetta ai limiti della legge ordinaria (Statale o Regionale) ma solo ai principi fissati dalla Costituzione ed a quelli di ordine finanziario.

In questo ordinamento lo Stato è chiamato a provvedere solo sulle materie espressamente elencate nel secondo comma del nuovo art. 117 e solo attraverso “leggi cornici” su quelle attribuite alla competenza concorrente delle Regioni, il che significa che le strutture istituzionali dello Stato e della Regione devono necessariamente subire un forte dimagrimento, tanto più che in quelle stesse materie di competenza esclusiva dello Stato e delle Regioni le relative funzioni amministrative devono di norma essere esercitate dai Comuni e dalle Province e solo eccezionalmente ed in via sussidiaria dallo Stato e dagli Enti Locali necessari.

Il che comporta un trasferimento di funzioni e delle relative risorse finanziarie ai soggetti periferici competenti in concreto a provvedere.

E’ necessario quindi e non più rinviabile che le associazioni istituzionali degli Enti Locali (ANCI Sicilia ed URPS) chiedano l’apertura di un tavolo con il Governo Regionale per disegnare il nuovo assetto dei poteri locali alla luce della riforma costituzionale e definire (in attesa che il nuovo Statuto Regionale venga adottato) quali funzioni e quali risorse debbano intendersi oramai trasferite definitivamente agli Enti Locali e quali disposizioni dell’O.R.E.L. debbono ritenersi ancora in vigore perché volte ad ampliare la sfera di attribuzione delle Province e dei Comuni.

L’apertura immediata di un tavolo istituzionale permanente, anche rivalorizzando la “Conferenza Regione-Autonomie Locali”, potrà impedire che al centralismo dello Stato si sostituisca il Centralismo di una Regione tuttofare, che ancora elargisce persino i contributi ai Comuni per le feste paesane e li elargisce ad personam.

Se si vuole invertire la rotta, i rappresentanti degli Enti Locali devono avere la consapevolezza che la nostra regione fin’ora non ha mai accettato il ruolo di legislatore secondario e di grande programmatore: abbiamo invece una Regione che si ostina a detenere tutti i poteri nelle sue mani dimostrandosi indifferente ai dettami della Costituzione.

Certo la Regione Siciliana si vanta di avere decentrato ai Comuni e alle Province con la legge regionale n. 9/86 parecchie funzioni, ma chi vive nella provincia sa benissimo che si è trattato di un decentramento virtuale.

Spesso le deleghe sono state passate senza la necessaria copertura finanziaria.

Un esempio per tutti: l’edilizia scolastica degli Istituti superiori alla fine degli anni ‘80 per intero passa alla provincia, ma da allora, a distanza di un ventennio, non è mai stata trasferita una lira alle Province per far fronte alle manutenzioni ed alle realizzazioni di nuove strutture scolastiche.

Un altro importante esempio è quello della legge sulle Aree Metropolitane: disegnate le aree metropolitane, varato il decreto istitutivo, affidato le deleghe, le tre Province Palermo, Catania e Messina hanno persino impegnato risorse finanziarie sul proprio bilancio per agevolare l’avvio, ebbene dal 1986 si è ancora in attesa del decreto attuativo.

Questi esempi, ma se ne possono fare ancora tanti altri, ci rendono consapevoli del clima culturale in cui vivono e delle difficoltà che bisognerà affrontare, se si vuole un nuovo contesto istituzionale in cui le autonomie locali assumano il ruolo di protagoniste della crescita e dello sviluppo delle proprie comunità.

Non è più tollerabile che le scelte più importanti che riguardano lo sviluppo ed il futuro delle comunità locali nella sostanza vengano ostacolate o decise altrove, fuori dalla loro “sede naturale”, secondo logiche ed interessi che non sono espressione diretta delle popolazioni interessate.

Ed in questo nuovo contesto la Provincia in particolare, deve diventare la sede in cui vengono affrontate esigenze e bisogni sovracomunali, un organismo di sintesi politico-amministrative di tali esigenze e bisogni che trovano sbocco nello strumento della programmazione e tradotti in progetti e programmi.

La Provincia deve diventare l’unico strumento di sintesi di tutte le diversità territoriali e di interessi locali concorrenti, l’unico terreno sul quale si possono confrontare e comporre le spinte spesso esasperate e conflittuali dei Comuni.

Le Province dovranno svolgere un ruolo da registi e di coordinatori dello sviluppo locale in quanto titolare di una propria potestà di pianificazione socio-economica e territoriale.

E’ indispensabile che la provincia esca fuori dai propri confini amministrativi in cui è stata relegata per diventare Ente Locale dotato di competenza generale per tutte le questioni e le problematiche che interessino una vasta area territoriale, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

La riforma del Titolo V della Costituzione è una occasione da non perdere che ci auguriamo la Sicilia riesca a captare pienamente per recuperare il tempo perduto.

Altrimenti anche questa seconda occasione che ci viene offerta dal Legislatore costituzionale la sprecheremo così come è avvenuto in passato con il riconoscimento alla Regione Siciliana della potestà legislativa esclusiva, che anziché anticipare e/o promuovere le riforme ha finito per ritardarne l’applicazione.

 

(*) Segretario Generale della Provincia Regionale di Palermo.

V. anche la pagina di approfondimento dedicata alla riforma del Titolo V della Costituzione.


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