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GIOVANNI
CIARAVINO
(Cultore di diritto amministrativo
nell’Università degli Studi di Palermo)
La
progressione verticale nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni:
questioni di costituzionalità e di giurisdizione
![]()
SOMMARIO: 1. La progressione di carriera dalla L. n. 312/1980 ai nuovi C.C.N.L.: una rapida sintesi. - 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 4.1.1999 e suoi riflessi sui C.C.N.L. e sulla giurisdizione. - 3. Critica all'applicabilità dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale ai nuovi C.C.N.L.. - 4. Attuali limiti normativi e contrattuali alla progressione interna, con particolare riferimento al C.C.N.L. del comparto EELL.
1.
Nell'ordinamento antecedente alla L. n. 312 dell’11 luglio 1980, che prevedeva
la suddivisione del personale in carriere (per gli impiegati civili dello Stato
erano quattro: direttiva, di concetto, esecutiva e ausiliaria) e l'articolazione
delle carriere in numerose qualifiche, la progressione da una qualifica
all'altra avveniva con il sistema delle promozioni, attuate con diversi metodi:
per titoli (scrutinio per merito comparativo, scrutinio per merito assoluto) e
per esami (merito distinto) (1).
Con la legge n. 312/1980 vennero abolite le carriere ed il
relativo sistema delle promozioni, sostituito con il pubblico concorso (art. 7).
A un dipendente pubblico che dunque avesse voluto migliorare la propria
posizione non rimaneva che partecipare al concorso per la qualifica superiore;
concorso che, peraltro, doveva essere aperto a tutti (come ribadito dall'art. 1,
1° comma, D.P.R. n. 487 del 9.5.1994).
A tale regola vennero tuttavia apportate numerose eccezioni,
sia con disposizioni contrattuali, previste dagli Accordi Nazionali, recepiti
con D.P.R., sia con norme di legge, specifiche per alcuni settori della P.A.,
che consentivano l'accesso a qualifica superiore mediante concorsi interni (2).
Così, l'art. 6, 12° comma, L. n. 127 del 15.5.1997 dispone
che "gli enti locali, che non versino in situazioni strutturalmente
deficitarie... possono prevedere concorsi interamente riservati al personale
dipendente, in relazione a particolari profili o figure professionali
caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all'interno
dell'ente".
Il disposto di tale norma è stato poi esteso alle Aziende
Unità Sanitarie Locali dall'art. 2, 17° comma, della L. 16.6.1998, n. 191.
Infine, con l'art. 3, commi 205, 206 e 207 della L.
28.12.1995, n. 549, come modificato dall'art. 6, comma 6 bis, del D.L.
31.12.1996, n. 669, convertito con L. 28.2.1997, n. 30, veniva prevista la
copertura dei posti disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione
finanziaria, per i livelli dal quinto al nono, attraverso procedimenti di
riqualificazione riservata al personale appartenente alle qualifiche funzionali
inferiori, e consistenti in una prova scritta, in un corso e in una prova
tecnico‑pratica finale.
Ed è stata proprio tale ultima norma ad originare, su
ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato (3),
la sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 4 gennaio 1999, che ne ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale, seppure, per ragioni meramente
procedurali, limitatamente alla riqualificazione per l'accesso alla 7 qualifica
funzionale (4): ed è su
tale sentenza che occorrerà fermare l'attenzione al fine di esaminare se e come
i principi ivi enunciati si attaglino al nuovo sistema di progressione
verticale.
Infatti, quasi contemporaneamente a tale sentenza, i nuovi
contratti collettivi di lavoro per il periodo 1998‑2001, dopo aver abolito
il sistema delle qualifiche sostituendolo con quello delle "categorie"
e delle "posizioni economiche", hanno previsto il "passaggio
interno" non solo nell'ambito della stessa categoria (c.d. progressione
orizzontale), ma anche da una categoria ad un'altra (c.d. progressione
verticale: art. 15 C.C.N.L. ministeri; art. 4 C.C.N.L. regioni ed enti locali;
art. 15 C.C.N.L. parastato; art. 32 C.C.N.L. scuola).
Nel
contratto collettivo di lavoro relativo alle regioni e agli enti locali, che
prenderemo come specifico punto di riferimento, sono previste quattro categorie
(A, B, C, D), che, a loro volta, comprendono varie posizioni economiche
differenziate (1, 2, 3, 4, 5, 6). Il dipendente pubblico può muoversi
orizzontalmente tra le varie posizioni economiche all'interno della stessa
categoria (ad es.: passare da C1 a C2), ed anche verticalmente, cioè passare da
una categoria professionale ad un'altra (ad es.: da C a D); in quest'ultimo
caso, dunque, il dipendente non solo ottiene un trattamento economico migliore,
ma va ad occupare un profilo professionale diverso da quello precedentemente
posseduto. Inoltre, la disciplina di tali passaggi interni viene demandata
"agli atti previsti dai rispettivi ordinamenti", che devono essere
emanati dagli stessi enti, e, quindi, in buona sostanza, devono essere contenute
nel regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi ex artt. 36 e
36‑bis del D.L.vo n. 29/1993, di cui tuttavia debbono rispettare i
principi.
2.
Con la sopra calendata sentenza la Corte poneva, in buona sostanza, tre
importanti principi: 1) i passaggi ad una fascia funzionale superiore
costituiscono una forma di reclutamento e, conseguentemente, non si sottraggono
al regime del pubblico concorso; 2) alla regola generale del pubblico concorso
per l'assunzione del personale si può derogare solo ove le deroghe siano poste
al fine di garantire il buon andamento della P.A., o altri principi
costituzionali destinati a garantire la peculiarità degli uffici di volta in
volta presi in considerazione; 3) è costituzionalmente illegittima, per
contrasto con l'art. 97, in tema di efficienza dell'azione amministrativa e di
pubblico concorso, nonché con il principio di ragionevolezza, una norma che
consenta, in un sistema siffatto (quello delle qualifiche funzionali che non
prevede carriere, o le prevede entro limiti ristretti), la copertura dei posti
disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione (finanziaria nel caso
de quo) attraverso procedimenti di riqualificazione riservati al
personale dipendente, in quanto, in tal modo, si finisce con il coprire tutti i
posti disponibili attraverso un reclutamento soltanto interno.
Giova ricordare che, a questo punto, per
salvare le procedure già in corso, il legislatore, con l’art. 22 L.
13/05/1999, n. 133, disponeva che tali procedure di riqualificazione fossero
limitate al personale interno per il 70% dei posti disponibili.
Ci si deve chiedere, ora, se e come i principi enunciati
dalla Corte Costituzionale vanno applicati anche al sistema di inquadramento e
di progressione previsto dai contratti collettivi nazionali relativi al periodo
1998/2001.
Sul punto vi è chi sostiene che: a) nonostante la sentenza
riguardi delle specifiche norme legislative e non delle clausole contrattuali, e
che, inoltre, essa si riferisca ad un sistema di qualifiche non più vigente,
tuttavia i principi enunciati dalla Corte vanno comunque applicati alla
progressione verticale prevista dai nuovi contratti collettivi, in quanto si
tratterebbe di principi generali ed indefettibili, poiché legati al rispetto
delle norme costituzionali relative alla P.A.; b) inoltre il passaggio da una
categoria all'altra, previsto nell'ambito dei nuovi C.C.N.L., è, in buona
sostanza, equivalente al passaggio dalla qualifica inferiore a quella superiore
del precedente sistema (5).
Orbene, la prima conseguenza della rigida applicazione dei
principi enunciati dalla Corte Costituzionale al "sistema delle
categorie" è che la giurisdizione sulle controversie, relative alla
progressione verticale regolata dal nuovo sistema, spetta al giudice
amministrativo, seppur nei limiti stabiliti dall'art. 68 D.L.vo n. 29/1993.
Infatti, se l'ipotesi di un passaggio di un dipendente da una
categoria ad un'altra costituisce una forma di reclutamento, di assunzione,
allora ex art. 68, 4° comma, D.L.vo n. 29/1993, tali procedure concorsuali
restano devolute alla giurisdizione del G. A. ex art. 68, 4° comma (6).
E' certo questa una conseguenza di vasta portata che,
peraltro, contrasterebbe con quella che, per il momento, sembra essere la
soluzione pacificamente accolta dalla giurisprudenza sia amministrativa che
ordinaria (anche sulla scorta di un parere dell'ARAN), e cioè di ritenere che
la giurisdizione relativa alla progressione interna sia del G.O. piuttosto che
del G.A. (7).
A questa prima ripercussione determinata dall'applicazione
dei principi suesposti se ne accompagnano, però, altre.
Innanzitutto, data l'illegittimità costituzionale di una
norma (anche solo contrattuale) che prevedesse la possibilità di coprire la
totalità dei posti vacanti solo attraverso riqualificazioni interne, tale
copertura dovrà, necessariamente, essere compiuta garantendo l'accesso
dall'esterno.
Ciò vuol dire che, quando si dovrà provvedere alla
copertura di posti vacanti, non potrà aversi, ad es., solo un concorso
riservato agli interni ma dovrà essere riservata un'aliquota di posti ai
candidati esterni.
In secondo luogo, e per conseguenza, il metodo della
selezione interna si rivela inapplicabile ove il posto vacante sia uno solo,
dato che, in questo caso, l'accesso dall'esterno sarebbe completamente precluso.
Ricapitolando: 1) la giurisdizione relativa alla progressione
interna spetta al G.A. in quanto anche il passaggio da una categoria all'altra
è una forma di reclutamento; 2) al regime generale del pubblico concorso non si
sottraggono le selezioni interne; 3) la copertura di posti vacanti non può
essere riservata in toto agli interni, e, dunque, nell'ipotesi di un solo
posto vacante in organico non è applicabile la selezione interna.
Tutto questo, però, si ha, è il caso di ribadirlo, ove si
considerino applicabili, senza ulteriori distinguo, i principi enunciati dalla
Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/1999 (e ripresi, per ciò che riguarda
la concezione della procedura concorsuale interna come procedura di accesso,
dall'ordinanza del 4 gennaio 2001, n. 2) alla progressione verticale prevista
dai nuovi contratti collettivi.
Tale conclusione ci sembra, però, non condivisibile, in via
teorica, in relazione ai principi scaturenti dalla c.d. privatizzazione del
rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni.
3. L'applicazione dei suindicati
principi enunciati dalla Corte Costituzionale viene fatta discendere, in buona
sostanza, dal fatto che essi, pur riferendosi a situazioni diverse, possono
essere applicati anche al nuovo ordinamento professionale, in quanto non sono
che delle specificazioni di principi costituzionali relativi alla Pubblica
Amministrazione (buon andamento, imparzialità, accesso mediante pubblico
concorso, e via dicendo).
E' indubitabilmente vero che i principi
costituzionali relativi alla P.A. debbono essere applicati, oggi come allora, ai
contratti collettivi, quali che essi siano; è altresì incontestabile, in
relazione al vecchio inquadramento nella qualifica superiore, che da tali
principi discendano le conseguenze enunciate dalla Corte; ma ci si chiede ora:
è valida e condivisibile anche l'ultima parte del ragionamento, e, cioè, che
tali enunciati impediscano, nella sostanza, la progressione interna così come
strutturata nel Nuovo Ordinamento Professionale?
La
risposta a tale interrogativo non può prescindere da una considerazione di
fondo.
I nuovi contratti collettivi di lavoro, infatti, non
realizzano solo una semplice vicenda
successoria di norme pattizie;
essi, piuttosto, costituiscono l'applicazione pratica di una nuova concezione
del rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica.
Con essi, invero, si è passati ad applicare, alle procedure
selettive interne, non più la nozione di acquisizione e di reclutamento del
personale, che era (ed è) propria dei processi selettivi dall'esterno, ma la
diversa concezione dello sviluppo professionale del personale dipendente, di cui
all'art. 1, 1° comma, lett. c), del D.L.vo n. 29/1993.
Se prima, quindi, la progressione interna era
"reclutamento", adesso, invece, è "sviluppo professionale"
all'interno dell'ente. Tale principio, si è giustamente sostenuto, consente una
concezione diversa del rapporto di impiego, una concezione che si può definire
unitaria, "monistica".
In
buona sostanza, oggi il rapporto di lavoro del pubblico dipendente si evolve e
si sviluppa all'interno della P.A. senza che vi sia, tra le fasi di questo
sviluppo, alcuna soluzione di continuità (8).
Si vengono così a stravolgere quelle che erano le categorie
concettuali precedentemente applicate a tale rapporto. Non più, infatti, un
rapporto in più fasi variamente, nel corso degli anni, denominate, ma un
rapporto unitario, in cui l'unica distinzione valida è tra chi è già dentro
tale rapporto (e in esso si muove sia orizzontalmente che verticalmente) e chi,
invece, ne è fuori.
Tale
visione del rapporto di pubblico impiego non solo ci sembra la più aderente
allo spirito della sua privatizzazione, ma anche, ci sembra, a quelle che le
stesse clausole contrattuali concretamente prevedono.
In conclusione, chi scrive ritiene che i principi enunciati
dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. l/1999 vadano "riletti"
in relazione al nuovo ordinamento professionale ed allo spirito che lo informa.
Ciò in quanto la concezione del rapporto di lavoro cui la
Corte Costituzionale si riferisce, e che è fondata sulla nozione
dell'acquisizione del personale anche quando il movimento sia solo all'interno
della P.A., è stata completamente modificata dalla privatizzazione del
rapporto, e così accolta dai contratti collettivi per gli anni 1998/2001, in
cui, ormai, la progressione interna nel rapporto di lavoro si distingue
nettamente dall'accesso dall'esterno.
Progressione
interna, dunque, non come accesso, ma come sviluppo professionale.
Da tutto
ciò discendono due conseguenze fondamentali.
La prima è che, ovviamente, sulle controversie relative alle
procedure selettive interne alla P.A., la giurisdizione sarà del G.O. e non del
G.A., dato che esse non sono qualificabili come procedure d'accesso ai sensi del
quarto comma dell'art. 68 D.L.vo n. 29/1993.
La seconda è che, non parlandosi più di
accesso, il regime a cui sottoporre le procedure selettive interne non sarà più,
necessariamente, quello del pubblico concorso.
Questa
seconda conseguenza è di grande momento.
Posto, infatti, che progressione interna non è più uguale ad
assunzione, a reclutamento, o ad accesso
che dir si voglia, la P.A., ai fini della determinazione della procedura
selettiva per la progressione interna, non sarà più vincolata alla forma del
pubblico concorso, ma potrà scegliere la forma che più riterrà opportuna al
raggiungimento dei propri interessi.
Non vi sarà più, in sostanza, quel rapporto di regola ed
eccezione che legava prima tra loro il pubblico concorso (la regola) con le
altre procedure selettive (le eccezioni); adesso tutte le procedure selettive
vanno considerate sullo stesso piano.
Ovviamente, poi, la P.A. nella scelta concreta della
procedura selettiva interna dovrà tenere conto dei principi costituzionali di
buon andamento e di efficienza. Adesso, però, non vi è più quell'uguaglianza
aprioristica tra pubblico concorso e rispetto di tali principi che ancora la
Corte fa nella sentenza n. l/1999 (ciò significa, peraltro, che anche
l'eventuale scelta della forma del pubblico concorso dovrà essere giustificata
sul piano di tali principi).
Infine, si deve analizzare il problema della legittimità
della riserva dei posti vacanti ai soli interni.
Come abbiamo già visto, la Corte Costituzionale, per ciò
che riguarda questa problematica, ritiene illegittimo costituzionalmente, in
quanto contrario ai principi di buon andamento ed efficienza della P.A., un
sistema di norme in cui sia possibile ricoprire la vacanza dei posti attraverso
la sola riqualificazione interna.
Anche tale opinione, che pure è in linea con la vecchia
concezione del p.i., ci sembra non accoglibile alla luce della nuova concezione
del rapporto di lavoro.
In buona sostanza, l'uguaglianza aprioristica che la Corte fa
tra rispetto dei principi e riserva dell'accesso dall'esterno (dove c'è
quest'ultimo, c'è sicuramente buon andamento ed efficienza della P.A.), non ha
più alcuna ragione d'essere nell'ambito del procedimento di privatizzazione del
rapporto di lavoro, in cui, come abbiamo visto, il pubblico concorso non ha
neanche più valore di regola generale per la progressione interna.
Così come, dunque, la P.A. è libera nella scelta della
procedure selettive interne, deve riconoscersi alla stessa la libertà di
riservare ai soli interni la totale copertura dei posti vacanti. Anche qui,
peraltro, per il rispetto dei principi costituzionali, la P.A. dovrà comunque
giustificare le proprie scelte, anche in termini di imparzialità ed efficienza,
ma la verifica della legittimità di esse avverrà a posteriori.
Naturalmente, tali affermazioni di principio devono, allo
stato, tener conto del concreto (e diverso) quadro normativo e contrattuale.
4. Così, secondo i primi commenti, l'art. 4 del C.C.N.L.
1998‑2001 del comparto ELL. (9) pone dei
limiti all'accesso dall'interno, così individuati: a) che il posto non sia
stato destinato all'accesso dall'esterno; b) che si tratti di posto di categoria
immediatamente superiore a quella in cui è inquadrato il dipendente.
Per
quanto concerne il punto sub a), è stato precisato che:
1) "un primo limite sarà dato dalla
necessità di destinare almeno un posto per ogni categoria all'accesso
dall'esterno, in quanto il nuovo ordinamento ha separatamente disciplinato (v.
comma 2 dell'art. 4) la fattispecie di accesso esclusivamente riservato al
personale interno, richiedendosi un ulteriore requisito, per cui tranne che non
si ricada in detta casistica dovrà essere consentito anche l'accesso
dall'esterno;
2) un secondo limite sarà rappresentato dalla necessità di
salvaguardare l'applicazione della normativa in tema di accesso riservato alle
categorie protette;
3) un terzo limite sarà dato dalla necessità di
privilegiare, dato che pure emerge dal nuovo ordinamento, l'accesso
dall'interno, il che dovrà tradursi nella necessaria riserva agli interni di un
numero di posti per ogni categoria superiore alla metà" (10).
Sul problema dell'accesso dall'interno nel caso di posto
unico ‑ e per giunta apicale ‑ le opinioni divergono, in quanto il
metodo della selezione interna si rivela inapplicabile nell'ipotesi di unico
posto vacante in organico, perché in tal caso, l'accesso dall'esterno sarebbe
completamente precluso (11).
Le
opinioni divergono anche per quanto concerne il problema del possesso del titolo
di studio.
Secondo alcuni autori, la deroga al possesso del titolo di
studio, previsto dal comma 3 dell'art. 4 del C.C.N.L. succitato,
"sembrerebbe essere di portata estremamente ampia, in quanto, diversamente
dal passato non si parla di titolo di studio immediatamente inferiore o di
titolo previsto per l'accesso alla categoria immediatamente inferiore.
Ciò significa che, in linea teorica, potrebbe essere
possibile, per effetto di progressione verticale interna, l'accesso alla
categoria D anche con il possesso della sola scuola dell'obbligo" (12).
Un'ipotesi di riserva totale agli interni viene ravvisata da
alcuni autori nel 2° comma dell'art. 4 in esame, che, sostanzialmente,
riproduce il citato comma 12 dell'art. 6 della L. n. 127/1997, e i cui
presupposti per l'applicazione sono due:
a) che si tratti... di "profili
caratterizzati da una professionalità acquisibile esclusivamente dall'interno
degli stessi enti";
b) che l'ente "non versi in condizioni strutturalmente
deficitarie" (13).
L'ambito della disposizione in esame, che trova il suo
precedente nell'art. 24, 6° comma del D.P.R. n. 347/1983, "è da
ricercarsi nella individuazione di percorsi di professionalità, che escludano
contestualmente la possibilità di raggiungere dall'esterno un identico
contenuto di specializzazione, ritenuta indispensabile ai fini della copertura
del posto" (14).
La materia, è, pertanto, in evoluzione, anche perché
affidata alla contrattazione collettiva, che tende a dare pienezza di contenuti
alla privatizzazione in un reale processo di assimilazione al rapporto di lavoro
privato, pur dovendo tener conto della peculiarità del rapporto di lavoro con
le pubbliche amministrazioni (15).
![]()
(1) Per (ordinamento antecedente alla legge n. 312/1980 (cal. legge di
riassetto) e per quello scaturente da quest'ultima, P. Virga, Il pubblico
impiego, Milano, 1990, 104‑111; dello stesso autore, Progressione verticale mediante procedure selettive, Nuova Rassegna,
n. 1/2000, 82.
(2) Per quanto concerne gli Accordi Nazionali, appare opportuno ricordare che
l'art. 24, comma 6, del D.P.R. n. 347 del 25.6.1983 disponeva che
"fermo restando quanto previsto dal precedente 3° comma, gli enti
possono prevedere nell'apposito regolamento, in accordo con le
organizzazioni sindacali, i profili professionali che debbono essere
ricoperti, sulla base di esperienze professionali acquisibili all'interno
dell'ente stesso, mediante procedure concorsuali interne".
Il richiamato 3° comma prevedeva che "il 50% dei posti
messi a concorso, arrotondato per eccesso, è riservato al personale in
servizio presso l'ente appartenente alla qualifica funzionale immediatamente
inferiore e con almeno 3 anni di anzianità nella qualifica".
Il successivo 4° comma precisava poi i requisiti, concernenti (anzianità ed il possesso del titolo di studio, che il personale doveva possedere per concorrere a tale riserva).
L'art. 5 del successivo Accordo, recepito con D.P.R. n. 268
del 13 maggio 1987, dopo aver previsto che il reclutamento del personale
avviene mediante: a) concorso pubblico; b) ricorso al collocamento; c)
corso‑concorso pubblico, così poi disponeva:
"In relazione ai programmi annuali di occupazione di cui all'art. 2, i bandi di concorso dovranno prevedere una riserva per il personale in servizio di ruolo pari al 35% dei posti disponibili messi a concorso. Tale percentuale potrà giungere fino al 40% recuperando le quote eventualmente non utilizzate per la mobilità di cui all'ari 6, comma 8" (8° comma).
"Alla riserva dei posti può accedere il personale di
ruolo appartenente alla qualifica funzionale immediatamente inferiore al
posto messo a concorso in possesso del titolo di studio richiesto per
l'accesso dall'esterno al posto anzidetto e con una anzianità di servizio
di due anni. Per i posti messi a concorso fino alla 7' qualifica funzionale
compresa è ammessa la partecipazione del personale appartenente alla
qualifica immediatamente inferiore con una anzianità di almeno tre anni
nella stessa area funzionale o di cinque anni in aree funzionali diverse in
possesso del titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto
per il posto messo a concorso" (9° comma).
"La riserva non opera per l'accesso a posti unici delle
qualifiche apicali delle diverse aree funzionali. In tutti gli altri casi la
riserva opera attraverso compensazioni fra i diversi profili professionali
della stessa qualifica funzionale" (10° comma).
(3)
Ordinanza Sez. IV 5.5.1998, n. 648 bis; su tale ordinanza, C. Cittadino,
Il Consiglio di Stato mette in dubbio la legittimità costituzionale di
procedimenti di riqualificazione del personale riservati ai soli interni,
in Comuni d'Italia, 1998, 978; Sgarbi,
Un concorso interno sospettato di violare l'art. 97 della Costituzione,
in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 1998, n. 3‑4,
885.
(4)
In Cons. Stato 1999, II, 1; Giur. Cost., 1999, 1;
Riv. Amm. R.I. 1999, 453; Foro It. 1999, I, 1; Riv. Corte
Conti 1999, f. 1,180; Giust. Civ. 1999, I, 641, Comuni d'Italia 1999, 944;
Giornale diritto amministrativo 1999, 536 (con nota di Talamo, Concorsi
interni: prassi vecchie e nuove del legislatore davanti alla Corte
Costituzionale, Lavoro nelle p.a. 1999, 119, con nota di M. MontiNI,
Il nuovo ordinamento professionale dei
pubblici dipendenti alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 1/1999; D.L.
Riv. Critica diritto lavoro 1999, 492, con nota di A. Guariso,
"Insiders" e "Outsiders": la dura lotta per il posto
di lavoro pubblico continua; cfr. pure: C. Cittadino, Qualche nota
di commento alla decisione n. I del 1999 della Corte Cost., in materia di
procedure di riqualificazioni riservate al personale interno, in Comuni
d'Italia, 1999, 180).
(5) P. VIRGA, Progressione verticale, cit.
(6)
Con recente ordinanza del 5 gennaio 2001, n. 2, la Corte Costituzionale
sembrerebbe voler ribadire tale principio.
Infatti, nel dichiarare infondata la questione di
costituzionalità dell'art. 68 del D.L.vo n. 29/1993, sollevata con
ordinanza del T.A.R.S. ‑ Catania ‑ del 30 novembre 1999, afferma
"la palese erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il
rimettente, secondo cui la procedura concorsuale di cui si tratta avrebbe
differente natura per i concorrenti in quota di riserva e per quelli
esterni, trattandosi viceversa, sia per gli uni che per gli altri, di una
procedura concorsuale di assunzione nella qualifica indicata nel bando;
pertanto, l'intera controversia deve ritenersi attribuita alla giurisdizione
del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 68, comma 4, del decreto
legislativo n. 29 del 1993" (www.lexitalia.it.; sulla stessa rivista
può essere consultata la ordinanza di rimessione).
(7) Così, il T.A.R.S. ‑ Palermo ‑ Sez. I, con ordinanza 23
novembre 2000, n. 1925, (in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/tar1/tarsiciliapa1_2000-1925o.htm
) ha affermato che "ai sensi dell’art. 68, commi 1 e 4, del D.L.vo n.
29/1993, continuano a rientrare nella giurisdizione del giudice
amministrativo le sole controversie relative agli atti amministrativi di
organizzazione nonché - per quanto attiene alla tradizionale materia del
pubblico impiego - le sole "controversie in materia di procedure
concorsuali per (assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni", deve ritenersi che rientri tuttora nella
giurisdizione del Giudice amministrativo una controversia concernente
l'impugnazione di un regolamento aziendale per la disciplina delle modalità
di svolgimento delle selezioni interne del personale dipendente, atteso che
tale controversia si riferisce ad un atto di organizzazione. Viceversa, deve
ritenersi che ormai esuli dalla giurisdizione del Giudice amministrativo la
impugnazione di un concorso interno per il passaggio a categoria o qualifica
superiore (alla stregua del principio nella specie il ricorso è stato
ritenuto inammissíbile per ciò che concerneva l'impugnazione dell'avviso
della selezione interna, mentre è stato ritenuto ammissibile per ciò che
concerneva l'impugnativa del regolamento aziendale)".
Il Tribunale di Trapani - G.L. dott. P. Grillo -, con ordinanza
2 gennaio 2001 (in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/ago1/tribtp_2000-12-29.htm
con nota contraria di A. Provenzano), ha, dal canto suo, statuito che "rientra nella
giurisdizione dell'A.G.O. una controversia riguardante un provvedimento di
esclusione di un pubblico dipendente dalla selezione interna per
progressione verticale; invero, come ha rilevato l'ARAN nel parere del 12
aprile 2000, «a seguito dell'entrata in vigore del C.C.N.L. del 31.3.1999
sul nuovo modello di classificazione del personale, si è indubbiamente
realizzata la netta distinzione tra le procedure selettive o concorsuali
pubbliche, affidate al regolamento dell'Ente nel rispetto dei principi
stabiliti dagli artt. 36 e 36 bis del D.Lgs. n. 2911993, e le
procedure selettive interne, meglio definite "progressioni verticali
nel sistema di classificazione" dall'art. 4 del C.C.N.L. citato».
La distinzione non è solo terminologica ma ha valenza
sostanziale in quanto: a) le prime appartengono ancora all'area
pubblicistica, richiedono l'adozione di provvedimenti amministrativi,
scontano un contenzioso avanti al T.A.R, e al Consiglio di Stato; b) le
seconde, derivando da una fonte negoziale, ricadono interamente nell'area
del diritto civile, richiedono la formalizzazione delle decisioni con atti
di diritto privato, sono ricomprese, più precisamente, nella vasta attività
di gestione del rapporto di lavoro che è affidato alla competenza dei
dirigenti che la esercitano con i poteri e le capacità del privato datore
di lavoro ai sensi dell'art. 4, comma 2, del D.Lgs. 29193 e successive
modificazioni ed integrazioni.
Ne consegue che il passaggio alla categoria superiore per
effetto dell'art. 4 del C.C.N.L. del 31.3.1999 non comporta la cessazione
del precedente rapporto di lavoro nella categoria inferiore e l'inizio di un
rapporto nuovo nella categoria superiore; poiché il C.C.N.L. qualifica
detto passaggio come "progressione verticale" si verifica soltanto
una modificazione parziale del rapporto di lavoro già in essere che
continua anche nella nuova categoria senza soluzione di continuità".
Nello stesso senso, Tribunale di Trapani ‑ G.L. dott.
P. Venuti, sentenza n. 385 del 28.6.2000 inedita, concernente un concorso
per l'accesso al profilo professionale di coordinatore capo sala,
interamente riservato al personale dipendente presso 1'A.U.S.L. n. 9,
"qualunque sia la posizione funzionale e il profilo professionale di
appartenenza"
(8) Così, L. TAMASSIA, La valorizzazione
delle professionalità nel sistema contrattuale tra sviluppo professionale e
progressioni verticali: l'evoluzione del sistema, in Riv. del
personale dell'ente locale, n. 512000, 516: "Da tale principio
consegue una diversa visione dello sviluppo delle professionalità interne
all'ente, essenzialmente fondato sulla visione «monistíca» del rapporto
di lavoro, cioè sulla concezione unitaria del rapporto stesso con l'ente
pubblico e sul conseguente concetto di evoluzione professionale nell'ambito
di unitarietà che, oggi, il rapporto presenta, un rapporto che si evolve e
si sviluppa, senza alcuna soluzione di continuità con l'amministrazione
titolare del rapporto stesso, in una visione granitica ed unitaria che
rivoluziona le tradizionali culture stratificatesi sulla nozione e sulle
relative categorie giuridiche del rapporto di lavoro".
Tra l'altro, se la disciplina dello «sviluppo professionale»
non è assimilabile a quella dell'accesso, ne consegue, secondo alcuni
autori, che essa debba ritenersi sottratta alla riserva di legge prevista
dall'art. 97, comma 3, della Cost. e demandata alla contrattazione
collettiva: M. MONTINI, Il nuovo
ordinamento professionale, cit., 133, che richiama FORLENA, TERRACCIANO,
VOLPE, La riforma del pubblico impiego. Mílano, 1998, 96.
(9) Esso così dispone:
"Gli enti disciplinano, con gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti, nel rispetto dei principi di cui all'art. 36 del D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dagli artt. 22 e 23 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e tenendo conto dei requisiti professionali indicati nelle declaratorie delle categorie di cui all'allegato A, le procedure selettive per la progressione verticale finalizzate al passaggio dei dipendenti alla categoria immediatamente superiore del nuovo sistema di classificazione, nel limite dei posti vacanti della dotazione organica di tale categoria che non siano stati destinati all'accesso dall'esterno.
Analoga procedura può essere attivata dagli enti per la
copertura dei posti vacanti dei profili delle categorie B e D di cui
all'art. 3, comma 7, riservando la partecipazione alle relative selezioni al
personale degli altri profili professionali delle medesime categorie.
Gli enti che non versino nelle condizioni strutturalmente
deficitarie ai sensi delle vigenti disposizioni procedono alla copertura dei
posti vacanti dei profili caratterizzati da una professionalità acquisibíle
esclusivamente dall'interno degli stessi con le medesime procedure previste
dal presente articolo.
Alle procedure selettive del presente articolo è consentita
la partecipazione del personale interno anche prescindendo dai titoli di
studio ordinariamente previsti per l'accesso dall'esterno, fatti salvi
quelli prescritti dalle norme vigenti.
Anche i posti messi a selezione ai sensi del comma 1 sono
coperti mediante accesso dall'esterno se la selezione stessa ha avuto esito
negativo o se mancano del tutto all'interno le professionalità da
selezionare.
Il personale riclassificato nella categoria immediatamente
superiore a seguito delle procedure selettive previste dal presente
articolo, non è soggetto al periodo di prova".
(10)
E. BARUSSO, Selezione e carriera del personale, Milano, 1999, 198; dello
stesso autore, La progressione interna: progressione verticale e
progressione orizzontale, in AA.VV., Il nuovo contratto collettivo del
personale degli EE.LL., Milano, 1999; da altri autori viene pure
ricordato che il comma 1 dell'art. 4 del C.C.N.L. fa espresso richiamo al
"rispetto dei principi di cui all'art. 36 del D.L.vo 3.2.1993, n. 29,
come modificato dagli artt. 22 e 23 del D.L.vo 31.3.1998, n. 80".
Pertanto, "l'avanzamento della carriera da parte del personale interno
incontra il limite espresso dal principio contenuto nella lett. a) del comma
1 dell'art. 36 del D.L.vo n. 29/1993, in quanto le procedure selettive
debbono garantire l'accesso dall'esterno «in misura adeguata», in modo da
consentire al personale in possesso delle necessarie competenze tecniche di
operare in un'azienda qual è oggi l'Ente locale, oltreché favorire ed
assecondare i processi di innovazione in atto": L. LARDO, Nuovo
contratto e nuovo ordinamento professionale del comparto regioni ‑EE.LL.,
in Nuova Rassegna, 1999, n. 18, 1876.
(11) P. VIRGA, Progressione verticale, cit.
(12)
BARUSSO, op. cit., 96‑97; lo stesso autore ritiene, peraltro, che il
comma in esame usi una "formula piuttosto sibillina". Secondo L.
LARDO, op. cit., "Part. 4... conferisce ampie possibilità alle
amministrazioni di bandire selezioni per la copertura dei posti vacanti,
consentendo di prescindere dal possesso del titolo di studio in forza del
comma 3 dell'art. 4".
Secondo il Barusso, peraltro, l'inciso "fatti salvi quelli [i titoli] prescritti dalle norme vigenti", starebbe a significare: "a) che norme speciali possono prevedere il possesso di particolari titoli di studio, in connessione con la specifica professionalità richiesta, fattispecie in cui la deroga non sarà possibile; b) che le fonti locali potrebbero restringere il campo d'applicazione della deroga, ad esempio, con la partecipazione solo a coloro che possiedano almeno il titolo immediatamente inferiore".
Altri autori tentano di interpretare l'inciso "fatti
salvi quelli prescritti dalle norme vigenti", ricorrendo ad esempi che
però si appalesano pacifici (G. PANASSIDI e G. BISSO, Il nuovo ordinamento professionale, in Il nuovo contratto collettivo del personale degli EELL., cit., 65,
fanno l'esempio degli ingegneri, degli avvocati e dei geometri).
(13) E. Barusso, Selezione
e carriera del personale, cit., 201, il quale precisa ancora che la
clausola contrattuale differisce dal comma 12 dell'art. 6 L. n. 127/1997,
"semplificando la lettura della previsione normativa ove parla di «professionalità
acquisibile» e non di «professionalità acquisita»".
(14)
E. MAGGIORA, Ordinamento degli uffici
e dei servizi, in AA.VV., Lo
snellimento dell'attività amministrativa, Milano, 1998, 53‑54.
L'Autore prosegue, precisando: "come ad esempio, in un impianto di
depurazione particolarmente complesso può ipotizzarsi che per l'accesso al
posto di capo operaio addetto a quell'impianto sia richiesto come requisito
l'avere svolto le funzioni di addetto allo stesso per un certo periodo di
tempo (Circ. Min. dell'Interno, n. 1 del 1997)".
(15)
M. Montini, Il nuovo
ordinamento professionale, cit., 135, osserva che la sentenza della
Corte Costituzionale appare intrinsecamente contraddittoria laddove
richiama, a fondamento della decisione, proprio la privatizzazione del
rapporto, non tenendo nel debito conto che la contrattazione collettiva ha
da sempre considerato centrale il riconoscimento della professionalità
acquisita ai fini dell'avanzamento professionale
Secondo l'autore, pertanto, la vera questione irrisolta
rimane quella dei limiti della peculiarità del rapporto di lavoro dei
pubblici dipendenti, "dal momento che resta ancora tutt'altro che
chiaro se la funzionalizzazione dell'organizzazione e dell'attività
amministrativa, derivante dall'art. 97 Cost. possa riflettersi,
conformandoli, su istituti privatistici come la progressione in
carriera".