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Articoli e note

 

GIOVANNI CIARAVINO
(Cultore di diritto amministrativo 
nell’Università degli Studi di Palermo)

La progressione verticale nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni: questioni di costituzionalità e di giurisdizione

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SOMMARIO: 1. La progressione di carriera dalla L. n. 312/1980 ai nuovi C.C.N.L.: una rapida sintesi. - 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 4.1.1999 e suoi riflessi sui C.C.N.L. e sulla giurisdizione. - 3. Critica all'applicabilità dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale ai nuovi C.C.N.L.. - 4. Attuali limiti normativi e contrattuali alla progressione interna, con particolare riferimento al C.C.N.L. del comparto EELL.

1. Nell'ordinamento antecedente alla L. n. 312 dell’11 luglio 1980, che prevedeva la suddivisione del personale in carriere (per gli impiegati civili dello Stato erano quattro: direttiva, di concetto, esecutiva e ausiliaria) e l'articolazione delle carriere in numerose qualifiche, la progressione da una qualifica all'altra avveniva con il sistema delle promozioni, attuate con diversi metodi: per titoli (scrutinio per merito comparativo, scrutinio per merito assoluto) e per esami (merito distinto) (1).

Con la legge n. 312/1980 vennero abolite le carriere ed il relativo sistema delle promozioni, sostituito con il pubblico concorso (art. 7). A un dipendente pubblico che dunque avesse voluto migliorare la propria posizione non rimaneva che partecipare al concorso per la qualifica superiore; concorso che, peraltro, doveva essere aperto a tutti (come ribadito dall'art. 1, 1° comma, D.P.R. n. 487 del 9.5.1994).

A tale regola vennero tuttavia apportate numerose eccezioni, sia con disposizioni contrattuali, previste dagli Accordi Nazionali, recepiti con D.P.R., sia con norme di legge, specifiche per alcuni settori della P.A., che consentivano l'accesso a qualifica superiore mediante concorsi interni (2).

Così, l'art. 6, 12° comma, L. n. 127 del 15.5.1997 dispone che "gli enti locali, che non versino in situazioni strutturalmente deficitarie... possono prevedere concorsi interamente riservati al personale dipendente, in relazione a particolari profili o figure professionali caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all'interno dell'ente".

Il disposto di tale norma è stato poi esteso alle Aziende Unità Sanitarie Locali dall'art. 2, 17° comma, della L. 16.6.1998, n. 191.

Infine, con l'art. 3, commi 205, 206 e 207 della L. 28.12.1995, n. 549, come modificato dall'art. 6, comma 6 bis, del D.L. 31.12.1996, n. 669, convertito con L. 28.2.1997, n. 30, veniva prevista la copertura dei posti disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione finanziaria, per i livelli dal quinto al nono, attraverso procedimenti di riqualificazione riservata al personale appartenente alle qualifiche funzionali inferiori, e consistenti in una prova scritta, in un corso e in una prova tecnico‑pratica finale.

Ed è stata proprio tale ultima norma ad originare, su ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato (3), la sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 4 gennaio 1999, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, seppure, per ragioni meramente procedurali, limitatamente alla riqualificazione per l'accesso alla 7 qualifica funzionale (4): ed è su tale sentenza che occorrerà fermare l'attenzione al fine di esaminare se e come i principi ivi enunciati si attaglino al nuovo sistema di progressione verticale.

Infatti, quasi contemporaneamente a tale sentenza, i nuovi contratti collettivi di lavoro per il periodo 1998‑2001, dopo aver abolito il sistema delle qualifiche sostituendolo con quello delle "categorie" e delle "posizioni economiche", hanno previsto il "passaggio interno" non solo nell'ambito della stessa categoria (c.d. progressione orizzontale), ma anche da una categoria ad un'altra (c.d. progressione verticale: art. 15 C.C.N.L. ministeri; art. 4 C.C.N.L. regioni ed enti locali; art. 15 C.C.N.L. parastato; art. 32 C.C.N.L. scuola).

Nel contratto collettivo di lavoro relativo alle regioni e agli enti locali, che prenderemo come specifico punto di riferimento, sono previste quattro categorie (A, B, C, D), che, a loro volta, comprendono varie posizioni economiche differenziate (1, 2, 3, 4, 5, 6). Il dipendente pubblico può muoversi orizzontalmente tra le varie posizioni economiche all'interno della stessa categoria (ad es.: passare da C1 a C2), ed anche verticalmente, cioè passare da una categoria professionale ad un'altra (ad es.: da C a D); in quest'ultimo caso, dunque, il dipendente non solo ottiene un trattamento economico migliore, ma va ad occupare un profilo professionale diverso da quello precedentemente posseduto. Inoltre, la disciplina di tali passaggi interni viene demandata "agli atti previsti dai rispettivi ordinamenti", che devono essere emanati dagli stessi enti, e, quindi, in buona sostanza, devono essere contenute nel regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi ex artt. 36 e 36‑bis del D.L.vo n. 29/1993, di cui tuttavia debbono rispettare i principi.

 

2. Con la sopra calendata sentenza la Corte poneva, in buona sostanza, tre importanti principi: 1) i passaggi ad una fascia funzionale superiore costituiscono una forma di reclutamento e, conseguentemente, non si sottraggono al regime del pubblico concorso; 2) alla regola generale del pubblico concorso per l'assunzione del personale si può derogare solo ove le deroghe siano poste al fine di garantire il buon andamento della P.A., o altri principi costituzionali destinati a garantire la peculiarità degli uffici di volta in volta presi in considerazione; 3) è costituzionalmente illegittima, per contrasto con l'art. 97, in tema di efficienza dell'azione amministrativa e di pubblico concorso, nonché con il principio di ragionevolezza, una norma che consenta, in un sistema siffatto (quello delle qualifiche funzionali che non prevede carriere, o le prevede entro limiti ristretti), la copertura dei posti disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione (finanziaria nel caso de quo) attraverso procedimenti di riqualificazione riservati al personale dipendente, in quanto, in tal modo, si finisce con il coprire tutti i posti disponibili attraverso un reclutamento soltanto interno.

Giova ricordare che, a questo punto, per salvare le procedure già in corso, il legislatore, con l’art. 22 L. 13/05/1999, n. 133, disponeva che tali procedure di riqualificazione fossero limitate al personale interno per il 70% dei posti disponibili.

Ci si deve chiedere, ora, se e come i principi enunciati dalla Corte Costituzionale vanno applicati anche al sistema di inquadramento e di progressione previsto dai contratti collettivi nazionali relativi al periodo 1998/2001.

Sul punto vi è chi sostiene che: a) nonostante la sentenza riguardi delle specifiche norme legislative e non delle clausole contrattuali, e che, inoltre, essa si riferisca ad un sistema di qualifiche non più vigente, tuttavia i principi enunciati dalla Corte vanno comunque applicati alla progressione verticale prevista dai nuovi contratti collettivi, in quanto si tratterebbe di principi generali ed indefettibili, poiché legati al rispetto delle norme costituzionali relative alla P.A.; b) inoltre il passaggio da una categoria all'altra, previsto nell'ambito dei nuovi C.C.N.L., è, in buona sostanza, equivalente al passaggio dalla qualifica inferiore a quella superiore del precedente sistema (5).

Orbene, la prima conseguenza della rigida applicazione dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale al "sistema delle categorie" è che la giurisdizione sulle controversie, relative alla progressione verticale regolata dal nuovo sistema, spetta al giudice amministrativo, seppur nei limiti stabiliti dall'art. 68 D.L.vo n. 29/1993.

Infatti, se l'ipotesi di un passaggio di un dipendente da una categoria ad un'altra costituisce una forma di reclutamento, di assunzione, allora ex art. 68, 4° comma, D.L.vo n. 29/1993, tali procedure concorsuali restano devolute alla giurisdizione del G. A. ex art. 68, 4° comma (6).

E' certo questa una conseguenza di vasta portata che, peraltro, contrasterebbe con quella che, per il momento, sembra essere la soluzione pacificamente accolta dalla giurisprudenza sia amministrativa che ordinaria (anche sulla scorta di un parere dell'ARAN), e cioè di ritenere che la giurisdizione relativa alla progressione interna sia del G.O. piuttosto che del G.A. (7).

A questa prima ripercussione determinata dall'applicazione dei principi suesposti se ne accompagnano, però, altre.

Innanzitutto, data l'illegittimità costituzionale di una norma (anche solo contrattuale) che prevedesse la possibilità di coprire la totalità dei posti vacanti solo attraverso riqualificazioni interne, tale copertura dovrà, necessariamente, essere compiuta garantendo l'accesso dall'esterno.

Ciò vuol dire che, quando si dovrà provvedere alla copertura di posti vacanti, non potrà aversi, ad es., solo un concorso riservato agli interni ma dovrà essere riservata un'aliquota di posti ai candidati esterni.

In secondo luogo, e per conseguenza, il metodo della selezione interna si rivela inapplicabile ove il posto vacante sia uno solo, dato che, in questo caso, l'accesso dall'esterno sarebbe completamente precluso.

Ricapitolando: 1) la giurisdizione relativa alla progressione interna spetta al G.A. in quanto anche il passaggio da una categoria all'altra è una forma di reclutamento; 2) al regime generale del pubblico concorso non si sottraggono le selezioni interne; 3) la copertura di posti vacanti non può essere riservata in toto agli interni, e, dunque, nell'ipotesi di un solo posto vacante in organico non è applicabile la selezione interna.

Tutto questo, però, si ha, è il caso di ribadirlo, ove si considerino applicabili, senza ulteriori distinguo, i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/1999 (e ripresi, per ciò che riguarda la concezione della procedura concorsuale interna come procedura di accesso, dall'ordinanza del 4 gennaio 2001, n. 2) alla progressione verticale prevista dai nuovi contratti collettivi.

Tale conclusione ci sembra, però, non condivisibile, in via teorica, in relazione ai principi scaturenti dalla c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni.

 

3. L'applicazione dei suindicati principi enunciati dalla Corte Costituzionale viene fatta discendere, in buona sostanza, dal fatto che essi, pur riferendosi a situazioni diverse, possono essere applicati anche al nuovo ordinamento professionale, in quanto non sono che delle specificazioni di principi costituzionali relativi alla Pubblica Amministrazione (buon andamento, imparzialità, accesso mediante pubblico concorso, e via dicendo).

E' indubitabilmente vero che i principi costituzionali relativi alla P.A. debbono essere applicati, oggi come allora, ai contratti collettivi, quali che essi siano; è altresì incontestabile, in relazione al vecchio inquadramento nella qualifica superiore, che da tali principi discendano le conseguenze enunciate dalla Corte; ma ci si chiede ora: è valida e condivisibile anche l'ultima parte del ragionamento, e, cioè, che tali enunciati impediscano, nella sostanza, la progressione interna così come strutturata nel Nuovo Ordinamento Professionale?

La risposta a tale interrogativo non può prescindere da una considerazione di fondo.

I nuovi contratti collettivi di lavoro, infatti, non realizzano solo una semplice vicenda successoria di norme pattizie; essi, piuttosto, costituiscono l'applicazione pratica di una nuova concezione del rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica.

Con essi, invero, si è passati ad applicare, alle procedure selettive interne, non più la nozione di acquisizione e di reclutamento del personale, che era (ed è) propria dei processi selettivi dall'esterno, ma la diversa concezione dello sviluppo professionale del personale dipendente, di cui all'art. 1, 1° comma, lett. c), del D.L.vo n. 29/1993.

Se prima, quindi, la progressione interna era "reclutamento", adesso, invece, è "sviluppo professionale" all'interno dell'ente. Tale principio, si è giustamente sostenuto, consente una concezione diversa del rapporto di impiego, una concezione che si può definire unitaria, "monistica".

In buona sostanza, oggi il rapporto di lavoro del pubblico dipendente si evolve e si sviluppa all'interno della P.A. senza che vi sia, tra le fasi di questo sviluppo, alcuna soluzione di continuità (8).

Si vengono così a stravolgere quelle che erano le categorie concettuali precedentemente applicate a tale rapporto. Non più, infatti, un rapporto in più fasi variamente, nel corso degli anni, denominate, ma un rapporto unitario, in cui l'unica distinzione valida è tra chi è già dentro tale rapporto (e in esso si muove sia orizzontalmente che verticalmente) e chi, invece, ne è fuori.

Tale visione del rapporto di pubblico impiego non solo ci sembra la più aderente allo spirito della sua privatizzazione, ma anche, ci sembra, a quelle che le stesse clausole contrattuali concretamente prevedono.

In conclusione, chi scrive ritiene che i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. l/1999 vadano "riletti" in relazione al nuovo ordinamento professionale ed allo spirito che lo informa.

Ciò in quanto la concezione del rapporto di lavoro cui la Corte Costituzionale si riferisce, e che è fondata sulla nozione dell'acquisizione del personale anche quando il movimento sia solo all'interno della P.A., è stata completamente modificata dalla privatizzazione del rapporto, e così accolta dai contratti collettivi per gli anni 1998/2001, in cui, ormai, la progressione interna nel rapporto di lavoro si distingue nettamente dall'accesso dall'esterno.

Progressione interna, dunque, non come accesso, ma come sviluppo professionale.

Da tutto ciò discendono due conseguenze fondamentali.

La prima è che, ovviamente, sulle controversie relative alle procedure selettive interne alla P.A., la giurisdizione sarà del G.O. e non del G.A., dato che esse non sono qualificabili come procedure d'accesso ai sensi del quarto comma dell'art. 68 D.L.vo n. 29/1993.

La seconda è che, non parlandosi più di accesso, il regime a cui sottoporre le procedure selettive interne non sarà più, necessariamente, quello del pubblico concorso.

Questa seconda conseguenza è di grande momento.

Posto, infatti, che progressione interna non è più uguale ad assunzione, a reclutamento, o ad accesso che dir si voglia, la P.A., ai fini della determinazione della procedura selettiva per la progressione interna, non sarà più vincolata alla forma del pubblico concorso, ma potrà scegliere la forma che più riterrà opportuna al raggiungimento dei propri interessi.

Non vi sarà più, in sostanza, quel rapporto di regola ed eccezione che legava prima tra loro il pubblico concorso (la regola) con le altre procedure selettive (le eccezioni); adesso tutte le procedure selettive vanno considerate sullo stesso piano.

Ovviamente, poi, la P.A. nella scelta concreta della procedura selettiva interna dovrà tenere conto dei principi costituzionali di buon andamento e di efficienza. Adesso, però, non vi è più quell'uguaglianza aprioristica tra pubblico concorso e rispetto di tali principi che ancora la Corte fa nella sentenza n. l/1999 (ciò significa, peraltro, che anche l'eventuale scelta della forma del pubblico concorso dovrà essere giustificata sul piano di tali principi).

Infine, si deve analizzare il problema della legittimità della riserva dei posti vacanti ai soli interni.

Come abbiamo già visto, la Corte Costituzionale, per ciò che riguarda questa problematica, ritiene illegittimo costituzionalmente, in quanto contrario ai principi di buon andamento ed efficienza della P.A., un sistema di norme in cui sia possibile ricoprire la vacanza dei posti attraverso la sola riqualificazione interna.

Anche tale opinione, che pure è in linea con la vecchia concezione del p.i., ci sembra non accoglibile alla luce della nuova concezione del rapporto di lavoro.

In buona sostanza, l'uguaglianza aprioristica che la Corte fa tra rispetto dei principi e riserva dell'accesso dall'esterno (dove c'è quest'ultimo, c'è sicuramente buon andamento ed efficienza della P.A.), non ha più alcuna ragione d'essere nell'ambito del procedimento di privatizzazione del rapporto di lavoro, in cui, come abbiamo visto, il pubblico concorso non ha neanche più valore di regola generale per la progressione interna.

Così come, dunque, la P.A. è libera nella scelta della procedure selettive interne, deve riconoscersi alla stessa la libertà di riservare ai soli interni la totale copertura dei posti vacanti. Anche qui, peraltro, per il rispetto dei principi costituzionali, la P.A. dovrà comunque giustificare le proprie scelte, anche in termini di imparzialità ed efficienza, ma la verifica della legittimità di esse avverrà a posteriori.

Naturalmente, tali affermazioni di principio devono, allo stato, tener conto del concreto (e diverso) quadro normativo e contrattuale.

4. Così, secondo i primi commenti, l'art. 4 del C.C.N.L. 1998‑2001 del comparto ELL. (9) pone dei limiti all'accesso dall'interno, così individuati: a) che il posto non sia stato destinato all'accesso dall'esterno; b) che si tratti di posto di categoria immediatamente superiore a quella in cui è inquadrato il dipendente.

Per quanto concerne il punto sub a), è stato precisato che:

1) "un primo limite sarà dato dalla necessità di destinare almeno un posto per ogni categoria all'accesso dall'esterno, in quanto il nuovo ordinamento ha separatamente disciplinato (v. comma 2 dell'art. 4) la fattispecie di accesso esclusivamente riservato al personale interno, richiedendosi un ulteriore requisito, per cui tranne che non si ricada in detta casistica dovrà essere consentito anche l'accesso dall'esterno;

2) un secondo limite sarà rappresentato dalla necessità di salvaguardare l'applicazione della normativa in tema di accesso riservato alle categorie protette;

3) un terzo limite sarà dato dalla necessità di privilegiare, dato che pure emerge dal nuovo ordinamento, l'accesso dall'interno, il che dovrà tradursi nella necessaria riserva agli interni di un numero di posti per ogni categoria superiore alla metà" (10).

Sul problema dell'accesso dall'interno nel caso di posto unico ‑ e per giunta apicale ‑ le opinioni divergono, in quanto il metodo della selezione interna si rivela inapplicabile nell'ipotesi di unico posto vacante in organico, perché in tal caso, l'accesso dall'esterno sarebbe completamente precluso (11).

Le opinioni divergono anche per quanto concerne il problema del possesso del titolo di studio.

Secondo alcuni autori, la deroga al possesso del titolo di studio, previsto dal comma 3 dell'art. 4 del C.C.N.L. succitato, "sembrerebbe essere di portata estremamente ampia, in quanto, diversamente dal passato non si parla di titolo di studio immediatamente inferiore o di titolo previsto per l'accesso alla categoria immediatamente inferiore.

Ciò significa che, in linea teorica, potrebbe essere possibile, per effetto di progressione verticale interna, l'accesso alla categoria D anche con il possesso della sola scuola dell'obbligo" (12).

Un'ipotesi di riserva totale agli interni viene ravvisata da alcuni autori nel 2° comma dell'art. 4 in esame, che, sostanzialmente, riproduce il citato comma 12 dell'art. 6 della L. n. 127/1997, e i cui presupposti per l'applicazione sono due:

a) che si tratti... di "profili caratterizzati da una professionalità acquisibile esclusivamente dall'interno degli stessi enti";

b) che l'ente "non versi in condizioni strutturalmente deficitarie" (13).

L'ambito della disposizione in esame, che trova il suo precedente nell'art. 24, 6° comma del D.P.R. n. 347/1983, "è da ricercarsi nella individuazione di percorsi di professionalità, che escludano contestualmente la possibilità di raggiungere dall'esterno un identico contenuto di specializzazione, ritenuta indispensabile ai fini della copertura del posto" (14).

La materia, è, pertanto, in evoluzione, anche perché affidata alla contrattazione collettiva, che tende a dare pienezza di contenuti alla privatizzazione in un reale processo di assimilazione al rapporto di lavoro privato, pur dovendo tener conto della peculiarità del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni (15).

 

 

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(1) Per (ordinamento antecedente alla legge n. 312/1980 (cal. legge di riassetto) e per quello scaturente da quest'ultima, P. Virga, Il pubblico impiego, Milano, 1990, 104‑111; dello stesso autore, Progressione verticale mediante procedure selettive, Nuova Rassegna, n. 1/2000, 82.

(2) Per quanto concerne gli Accordi Nazionali, appare opportuno ricordare che l'art. 24, comma 6, del D.P.R. n. 347 del 25.6.1983 disponeva che "fermo restando quanto previsto dal precedente 3° comma, gli enti possono prevedere nell'apposito regolamento, in accordo con le organizzazioni sindacali, i profili professionali che debbono essere ricoperti, sulla base di esperienze professionali acquisibili all'interno dell'ente stesso, mediante procedure concorsuali interne".

Il richiamato 3° comma prevedeva che "il 50% dei posti messi a concorso, arrotondato per eccesso, è riservato al personale in servizio presso l'ente appartenente alla qualifica funzionale immediatamente inferiore e con almeno 3 anni di anzianità nella qualifica".

Il successivo 4° comma precisava poi i requisiti, concernenti (anzianità ed il possesso del titolo di studio, che il personale doveva possedere per concorrere a tale riserva).

L'art. 5 del successivo Accordo, recepito con D.P.R. n. 268 del 13 maggio 1987, dopo aver previsto che il reclutamento del personale avviene mediante: a) concorso pubblico; b) ricorso al collocamento; c) corso‑concorso pubblico, così poi disponeva:

"In relazione ai programmi annuali di occupazione di cui all'art. 2, i bandi di concorso dovranno prevedere una riserva per il personale in servizio di ruolo pari al 35% dei posti disponibili messi a concorso. Tale percentuale potrà giungere fino al 40% recuperando le quote eventualmente non utilizzate per la mobilità di cui all'ari 6, comma 8" (8° comma).

"Alla riserva dei posti può accedere il personale di ruolo appartenente alla qualifica funzionale immediatamente inferiore al posto messo a concorso in possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso dall'esterno al posto anzidetto e con una anzianità di servizio di due anni. Per i posti messi a concorso fino alla 7' qualifica funzionale compresa è ammessa la partecipazione del personale appartenente alla qualifica immediatamente inferiore con una anzianità di almeno tre anni nella stessa area funzionale o di cinque anni in aree funzionali diverse in possesso del titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per il posto messo a concorso" (9° comma).

"La riserva non opera per l'accesso a posti unici delle qualifiche apicali delle diverse aree funzionali. In tutti gli altri casi la riserva opera attraverso compensazioni fra i diversi profili professionali della stessa qualifica funzionale" (10° comma).

(3) Ordinanza Sez. IV 5.5.1998, n. 648 bis; su tale ordinanza, C. Cittadino, Il Consiglio di Stato mette in dubbio la legittimità costituzionale di procedimenti di riqualificazione del personale riservati ai soli interni, in Comuni d'Italia, 1998, 978; Sgarbi, Un concorso interno sospettato di violare l'art. 97 della Costituzione, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 1998, n. 3‑4, 885.

(4) In Cons. Stato 1999, II, 1; Giur. Cost., 1999, 1; Riv. Amm. R.I. 1999, 453; Foro It. 1999, I, 1; Riv. Corte Conti 1999, f. 1,180; Giust. Civ. 1999, I, 641, Comuni d'Italia 1999, 944; Giornale diritto amministrativo 1999, 536 (con nota di Talamo, Concorsi interni: prassi vecchie e nuove del legislatore davanti alla Corte Costituzionale, Lavoro nelle p.a. 1999, 119, con nota di M. MontiNI, Il nuovo ordinamento professionale dei pubblici dipendenti alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 1/1999; D.L. Riv. Critica diritto lavoro 1999, 492, con nota di A. Guariso, "Insiders" e "Outsiders": la dura lotta per il posto di lavoro pubblico continua; cfr. pure: C. Cittadino, Qualche nota di commento alla decisione n. I del 1999 della Corte Cost., in materia di procedure di riqualificazioni riservate al personale interno, in Comuni d'Italia, 1999, 180).

(5) P. VIRGA, Progressione verticale, cit.

(6) Con recente ordinanza del 5 gennaio 2001, n. 2, la Corte Costituzionale sembrerebbe voler ribadire tale principio.

Infatti, nel dichiarare infondata la questione di costituzionalità dell'art. 68 del D.L.vo n. 29/1993, sollevata con ordinanza del T.A.R.S. ‑ Catania ‑ del 30 novembre 1999, afferma "la palese erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, secondo cui la procedura concorsuale di cui si tratta avrebbe differente natura per i concorrenti in quota di riserva e per quelli esterni, trattandosi viceversa, sia per gli uni che per gli altri, di una procedura concorsuale di assunzione nella qualifica indicata nel bando; pertanto, l'intera controversia deve ritenersi attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 68, comma 4, del decreto legislativo n. 29 del 1993" (www.lexitalia.it.; sulla stessa rivista può essere consultata la ordinanza di rimessione).

(7) Così, il T.A.R.S. ‑ Palermo ‑ Sez. I, con ordinanza 23 novembre 2000, n. 1925, (in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/tar1/tarsiciliapa1_2000-1925o.htm ) ha affermato che "ai sensi dell’art. 68, commi 1 e 4, del D.L.vo n. 29/1993, continuano a rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo le sole controversie relative agli atti amministrativi di organizzazione nonché - per quanto attiene alla tradizionale materia del pubblico impiego - le sole "controversie in materia di procedure concorsuali per (assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", deve ritenersi che rientri tuttora nella giurisdizione del Giudice amministrativo una controversia concernente l'impugnazione di un regolamento aziendale per la disciplina delle modalità di svolgimento delle selezioni interne del personale dipendente, atteso che tale controversia si riferisce ad un atto di organizzazione. Viceversa, deve ritenersi che ormai esuli dalla giurisdizione del Giudice amministrativo la impugnazione di un concorso interno per il passaggio a categoria o qualifica superiore (alla stregua del principio nella specie il ricorso è stato ritenuto inammissíbile per ciò che concerneva l'impugnazione dell'avviso della selezione interna, mentre è stato ritenuto ammissibile per ciò che concerneva l'impugnativa del regolamento aziendale)".

Il Tribunale di Trapani - G.L. dott. P. Grillo -, con ordinanza 2 gennaio 2001 (in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/ago1/tribtp_2000-12-29.htm con nota contraria di A. Provenzano), ha, dal canto suo, statuito che "rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. una controversia riguardante un provvedimento di esclusione di un pubblico dipendente dalla selezione interna per progressione verticale; invero, come ha rilevato l'ARAN nel parere del 12 aprile 2000, «a seguito dell'entrata in vigore del C.C.N.L. del 31.3.1999 sul nuovo modello di classificazione del personale, si è indubbiamente realizzata la netta distinzione tra le procedure selettive o concorsuali pubbliche, affidate al regolamento dell'Ente nel rispetto dei principi stabiliti dagli artt. 36 e 36 bis del D.Lgs. n. 2911993, e le procedure selettive interne, meglio definite "progressioni verticali nel sistema di classificazione" dall'art. 4 del C.C.N.L. citato».

La distinzione non è solo terminologica ma ha valenza sostanziale in quanto: a) le prime appartengono ancora all'area pubblicistica, richiedono l'adozione di provvedimenti amministrativi, scontano un contenzioso avanti al T.A.R, e al Consiglio di Stato; b) le seconde, derivando da una fonte negoziale, ricadono interamente nell'area del diritto civile, richiedono la formalizzazione delle decisioni con atti di diritto privato, sono ricomprese, più precisamente, nella vasta attività di gestione del rapporto di lavoro che è affidato alla competenza dei dirigenti che la esercitano con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro ai sensi dell'art. 4, comma 2, del D.Lgs. 29193 e successive modificazioni ed integrazioni.

Ne consegue che il passaggio alla categoria superiore per effetto dell'art. 4 del C.C.N.L. del 31.3.1999 non comporta la cessazione del precedente rapporto di lavoro nella categoria inferiore e l'inizio di un rapporto nuovo nella categoria superiore; poiché il C.C.N.L. qualifica detto passaggio come "progressione verticale" si verifica soltanto una modificazione parziale del rapporto di lavoro già in essere che continua anche nella nuova categoria senza soluzione di continuità".

Nello stesso senso, Tribunale di Trapani ‑ G.L. dott. P. Venuti, sentenza n. 385 del 28.6.2000 inedita, concernente un concorso per l'accesso al profilo professionale di coordinatore capo sala, interamente riservato al personale dipendente presso 1'A.U.S.L. n. 9, "qualunque sia la posizione funzionale e il profilo professionale di appartenenza"

(8) Così, L. TAMASSIA, La valorizzazione delle professionalità nel sistema contrattuale tra sviluppo professionale e progressioni verticali: l'evoluzione del sistema, in Riv. del personale dell'ente locale, n. 512000, 516: "Da tale principio consegue una diversa visione dello sviluppo delle professionalità interne all'ente, essenzialmente fondato sulla visione «monistíca» del rapporto di lavoro, cioè sulla concezione unitaria del rapporto stesso con l'ente pubblico e sul conseguente concetto di evoluzione professionale nell'ambito di unitarietà che, oggi, il rapporto presenta, un rapporto che si evolve e si sviluppa, senza alcuna soluzione di continuità con l'amministrazione titolare del rapporto stesso, in una visione granitica ed unitaria che rivoluziona le tradizionali culture stratificatesi sulla nozione e sulle relative categorie giuridiche del rapporto di lavoro".

Tra l'altro, se la disciplina dello «sviluppo professionale» non è assimilabile a quella dell'accesso, ne consegue, secondo alcuni autori, che essa debba ritenersi sottratta alla riserva di legge prevista dall'art. 97, comma 3, della Cost. e demandata alla contrattazione collettiva: M. MONTINI, Il nuovo ordinamento professionale, cit., 133, che richiama FORLENA, TERRACCIANO, VOLPE, La riforma del pubblico impiego. Mílano, 1998, 96.

(9) Esso così dispone:

"Gli enti disciplinano, con gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti, nel rispetto dei principi di cui all'art. 36 del D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dagli artt. 22 e 23 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e tenendo conto dei requisiti professionali indicati nelle declaratorie delle categorie di cui all'allegato A, le procedure selettive per la progressione verticale finalizzate al passaggio dei dipendenti alla categoria immediatamente superiore del nuovo sistema di classificazione, nel limite dei posti vacanti della dotazione organica di tale categoria che non siano stati destinati all'accesso dall'esterno.

Analoga procedura può essere attivata dagli enti per la copertura dei posti vacanti dei profili delle categorie B e D di cui all'art. 3, comma 7, riservando la partecipazione alle relative selezioni al personale degli altri profili professionali delle medesime categorie.

Gli enti che non versino nelle condizioni strutturalmente deficitarie ai sensi delle vigenti disposizioni procedono alla copertura dei posti vacanti dei profili caratterizzati da una professionalità acquisibíle esclusivamente dall'interno degli stessi con le medesime procedure previste dal presente articolo.

Alle procedure selettive del presente articolo è consentita la partecipazione del personale interno anche prescindendo dai titoli di studio ordinariamente previsti per l'accesso dall'esterno, fatti salvi quelli prescritti dalle norme vigenti.

Anche i posti messi a selezione ai sensi del comma 1 sono coperti mediante accesso dall'esterno se la selezione stessa ha avuto esito negativo o se mancano del tutto all'interno le professionalità da selezionare.

Il personale riclassificato nella categoria immediatamente superiore a seguito delle procedure selettive previste dal presente articolo, non è soggetto al periodo di prova".

(10) E. BARUSSO, Selezione e carriera del personale, Milano, 1999, 198; dello stesso autore, La progressione interna: progressione verticale e progressione orizzontale, in AA.VV., Il nuovo contratto collettivo del personale degli EE.LL., Milano, 1999; da altri autori viene pure ricordato che il comma 1 dell'art. 4 del C.C.N.L. fa espresso richiamo al "rispetto dei principi di cui all'art. 36 del D.L.vo 3.2.1993, n. 29, come modificato dagli artt. 22 e 23 del D.L.vo 31.3.1998, n. 80". Pertanto, "l'avanzamento della carriera da parte del personale interno incontra il limite espresso dal principio contenuto nella lett. a) del comma 1 dell'art. 36 del D.L.vo n. 29/1993, in quanto le procedure selettive debbono garantire l'accesso dall'esterno «in misura adeguata», in modo da consentire al personale in possesso delle necessarie competenze tecniche di operare in un'azienda qual è oggi l'Ente locale, oltreché favorire ed assecondare i processi di innovazione in atto": L. LARDO, Nuovo contratto e nuovo ordinamento professionale del comparto regioni ‑EE.LL., in Nuova Rassegna, 1999, n. 18, 1876.

(11) P. VIRGA, Progressione verticale, cit.

(12) BARUSSO, op. cit., 96‑97; lo stesso autore ritiene, peraltro, che il comma in esame usi una "formula piuttosto sibillina". Secondo L. LARDO, op. cit., "Part. 4... conferisce ampie possibilità alle amministrazioni di bandire selezioni per la copertura dei posti vacanti, consentendo di prescindere dal possesso del titolo di studio in forza del comma 3 dell'art. 4".

Secondo il Barusso, peraltro, l'inciso "fatti salvi quelli [i titoli] prescritti dalle norme vigenti", starebbe a significare: "a) che norme speciali possono prevedere il possesso di particolari titoli di studio, in connessione con la specifica professionalità richiesta, fattispecie in cui la deroga non sarà possibile; b) che le fonti locali potrebbero restringere il campo d'applicazione della deroga, ad esempio, con la partecipazione solo a coloro che possiedano almeno il titolo immediatamente inferiore".

Altri autori tentano di interpretare l'inciso "fatti salvi quelli prescritti dalle norme vigenti", ricorrendo ad esempi che però si appalesano pacifici (G. PANASSIDI e G. BISSO, Il nuovo ordinamento professionale, in Il nuovo contratto collettivo del personale degli EELL., cit., 65, fanno l'esempio degli ingegneri, degli avvocati e dei geometri).

(13) E. Barusso, Selezione e carriera del personale, cit., 201, il quale precisa ancora che la clausola contrattuale differisce dal comma 12 dell'art. 6 L. n. 127/1997, "semplificando la lettura della previsione normativa ove parla di «professionalità acquisibile» e non di «professionalità acquisita»".

(14) E. MAGGIORA, Ordinamento degli uffici e dei servizi, in AA.VV., Lo snellimento dell'attività amministrativa, Milano, 1998, 53‑54. L'Autore prosegue, precisando: "come ad esempio, in un impianto di depurazione particolarmente complesso può ipotizzarsi che per l'accesso al posto di capo operaio addetto a quell'impianto sia richiesto come requisito l'avere svolto le funzioni di addetto allo stesso per un certo periodo di tempo (Circ. Min. dell'Interno, n. 1 del 1997)".

(15) M. Montini, Il nuovo ordinamento professionale, cit., 135, osserva che la sentenza della Corte Costituzionale appare intrinsecamente contraddittoria laddove richiama, a fondamento della decisione, proprio la privatizzazione del rapporto, non tenendo nel debito conto che la contrattazione collettiva ha da sempre considerato centrale il riconoscimento della professionalità acquisita ai fini dell'avanzamento professionale

Secondo l'autore, pertanto, la vera questione irrisolta rimane quella dei limiti della peculiarità del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, "dal momento che resta ancora tutt'altro che chiaro se la funzionalizzazione dell'organizzazione e dell'attività amministrativa, derivante dall'art. 97 Cost. possa riflettersi, conformandoli, su istituti privatistici come la progressione in carriera".


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