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Articoli e note

 

MAURIZIO BORGO
(Procuratore dello Stato)

L’occupazione acquisitiva torna in Cassazione. Riflessioni sulle ordinanze nn. 13 e 17 del 23 gennaio 2001 della Corte Costituzionale.

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Le brevi riflessioni, che seguono, sono dedicate alle ordinanze nn. 13 e 17 della Corte Costituzionale, depositate in data 23 gennaio 2001.

Con le pronunzie, or ora menzionate, la Consulta ha restituito, rispettivamente al Tribunale di Trapani ed alla Suprema Corte di Cassazione, gli atti relativi a due questioni di legittimità costituzionale, entrambe concernenti la conformità alle previsioni della nostra Carta fondamentale, dell’articolo 34 del D. Lgs. n. 80/98, nella parte in cui, lo stesso, prevedeva una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva con riferimento alla fattispecie che va sotto il nome di occupazione acquisitiva.

Chi scrive non si soffermerà sui problemi interpretativi, legati all’art. 34, sopra menzionato ed alla sua applicabilità alle ipotesi di occupazione appropriativa, in quanto gli stessi sono stati affrontati, in modo approfondito da copiosa dottrina e da numerose pronunce giurisprudenziali, di merito e di legittimità.

La finalità di questo breve scritto, infatti, è quella di esaminare se le questioni di legittimità costituzionale (ma sarebbe forse meglio dire la questione, stante l’affinità di contenuto delle due ordinanze pronunciate dal Tribunale di Trapani e dalla Corte di Cassazione) rivestano ancora attualità ovvero, per usare il termine tecnico-giuridico più corretto, rilevanza, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 205/2000 che, come noto, con il suo articolo 7, ha riscritto, apportandovi solo minime modifiche, l’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98.

Ed invero, la Corte Costituzionale, con le recentissime ordinanze nn. 13 e 17, ha onerato i due giudici a quibus della predetta valutazione, affermando "che, dopo la proposizione della questione di legittimità costituzionale, è sopravvenuta la legge n. 205 del 2000 (in vigore dal 10 agosto 2000), la quale - con l'art. 7 - ha formalmente sostituito il testo dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, ripetendo integralmente il contenuto della norma originaria, ma - naturalmente - attribuendole l’efficacia della legge formale e non più quella della legge sostanziale; che la valutazione dell’incidenza dell’indicato jus superveniens in ordine al persistere della rilevanza della questione compete alla rimettente".

La domanda, cui si cercherà di dare una risposta, qui di seguito, è, dunque, la seguente: la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98 (nella sua originaria formulazione) conserva, ancora, una sua rilevanza?

Chi scrive ritiene che, alla predetta domanda, vada data risposta affermativa.

Ed invero, come noto, le censure, rivolte dai giudici rimettenti, alla norma, sopra menzionata, si accentravano sul c.d. eccesso di delega; la Suprema Corte di Cassazione, nella propria ordinanza di rimessione, afferma: "che, pertanto, detto articolo 34 trasferisce dal giudice ordinario al giudice amministrativo, per l'indicato settore delle espropriazioni, le controversie in cui si faccia valere il diritto alla riacquisizione del bene occupato senza titolo (per originaria carenza o successiva inefficacia del titolo stesso), il diritto al risarcimento del danno per occupazione illegittima, od il diritto al risarcimento del danno prodotto dal tradursi dell'occupazione medesima nella cosiddetta accessione invertita od espropriazione sostanziale; che, rispetto a tale estensione alle controversie espropriative da ultimo indicate della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34 del decreto legislativo 80/1998, in relazione all'articolo 76 della Costituzione, tenendosi conto della configurabilità dell'eccesso di delega quando la norma delegata sconfini dal fisiologico "riempimento" della norma delegante, violando specifici principi e criteri direttivi, ovvero divergendo dalle finalità della delega desumibili dai principi e criteri medesimi (v., ex pluribus, Corte costituzionale 198/1998)".

Occorre chiedersi, quindi, se lo ius superveniens, costituito, lo ripetiamo, dall’art. 7 della legge n. 205/2000 valga a "sanare" il vizio di costituzionalità, evidenziato dalla Suprema Corte.

La risposta deve essere desunta dai principi, dettati in materia di individuazione del momento determinativo della giurisdizione nonché da quelli concernenti l’efficacia, nel tempo, delle sentenze di incostituzionalità.

Quanto ai primi, occorre andare alla previsione contenuta nell’art. 5 c.p.c., nel testo novellato dall’art. 2 della legge n. 353/90, a tenore del quale "la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente…. Al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge".

Quanto ai secondi, occorre fare riferimento all’art. 136 Cost. e all’art. 30 L. n. 87/55, il cui combinato disposto comporta che "le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale di una norma di legge (cd. sentenze di accoglimento) hanno infatti efficacia retroattiva, in quanto non si limitano a porre termine alla vigenza delle norme dichiarate incostituzionali ma, a partire dal giorno successivo dalla loro pubblicazione, ne impediscono l’applicazione". E ciò in quanto, si precisa, "tali sentenze operano una ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma, la cui eliminazione dall’ordinamento non è assimilabile a quella disposta per effetto di abrogazione, in virtù di una norma sopravvenuta".

Applicando i superiori principi alla fattispecie, che ci occupa, si ottiene la seguente conclusione: l’eventuale (ma sarebbe più giusto dire, scontata, stante le conclusioni cui è giunta la Consulta, nella sentenza n. 292/2000, con riferimento all’art. 33 del D.Lgs. n. 80/98) dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98 (vecchia formulazione) per c.d. eccesso di delega, avrebbe, come sopra ricordato, efficacia retroattiva ovvero investirebbe tutti i rapporti giuridici, ancorché insorti anteriormente alla stessa, con la sola limitazione costituita dalla loro pendenza.

Da ciò discenderebbe che le controversie, aventi ad oggetto ipotesi di occupazione acquisitiva, che fossero state portate (come nei casi di cui alle due ordinanze di rimessione del Tribunale di Trapani e della Suprema Corte di Cassazione) davanti al giudice ordinario, sarebbero state incardinate correttamente, non potendo trovare applicazione, con riferimento alle stesse, l’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98 (vecchia formulazione), espunto dall’ordinamento, con effetto ex tunc, a seguito della pronunzia di incostituzionalità dello stesso.

Né, al fine di pervenire alla soluzione opposta, varrebbe osservare che il legislatore, con l’art. 7 della legge n. 205/2000, ha reintrodotto, riproducendolo quasi alla lettera, il testo dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98; ed invero, quest’ultima circostanza, configurandosi alla stregua di un mutamento successivo della legge, non vale ad incidere sulla giurisdizione, giusta la regola dettata dall’art. 5 c.p.c..

Né, agli stessi fini, vale richiamare il recente insegnamento dello stesso Giudice delle Leggi (C. Cost. ordinanza n. 134/2000) il quale ha affermato che: "nonostante l’art. 5 C.p.c., abbia stabilito il principio dell’irrilevanza dei successivi mutamenti di legge in ordine alla determinazione della giurisdizione e della competenza, può ritenersi ormai acquisito che il processo deve continuare avanti al giudice adito non solo nel caso in cui questi, originariamente competente, cessi di esserlo a seguito di un mutamento legislativo, ma anche nel caso in cui, aditosi un giudice incompetente, il medesimo diventi competente per una sopravvenuta modifica legislativa" e che "tale interpretazione della regola della perpetuatio iurisdictionis avallata più volte dalla giurisprudenza di legittimità al punto da costituire diritto vivente, trova il proprio fondamento nella necessità di evitare pronunce di incompetenza che avrebbero come unico risultato quello di un inutile rallentamento dell’attività processuale".

Ed invero, il predetto insegnamento trova applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui venga adito un giudice incompetente che, a seguito di un mutamento legislativo, diventa competente a conoscere di una determinata controversia.

E’ il caso, per rimanere alla fattispecie che ci occupa, del giudice amministrativo che, nella vigenza dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98 (vecchia formulazione) sia stato investito di una controversia vertente in materia di occupazione appropriativa.

Ebbene, nell’ipotesi in cui dovesse intervenire una sentenza dichiarativa della incostituzionalità del predetto articolo, il giudice amministrativo non dovrebbe spogliarsi della causa, in quanto, a seguito del mutamento legislativo, rappresentato dalla reintroduzione della disposizione di cui all’art. 34 citato, ad opera dell’art. 7 della legge n. 205/2000, esso è divenuto competente in materia.

Lo stesso non vale, invece, per il giudice ordinario, in quanto lo stesso, a seguito della eventuale sentenza di incostituzionalità dell’art. 34 (vecchia formulazione), risulterebbe, lo ripetiamo, essere stato adito correttamente, con impossibilità, pertanto, di una pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte dello stesso.

Quanto sopra dimostra, a parere di chi scrive, come la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98 (vecchia formulazione) conservi, ancora, una sua rilevanza (con la sola esclusione dei giudizi ordinari in cui sia intervenuta una pronuncia declinatoria della giurisdizione dell’A.G.O., ormai coperta dal giudicato) e vada, pertanto, decisa, nel merito, dai giudici della Consulta.


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