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Articoli e note

 

MAURIZIO BORGO
(Procuratore dello Stato)

Non chiamatela più "accessione invertita"!
Brevi note di commento alla sentenza della Corte Costituzionale
4 febbraio 2000, n. 24.

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"Occupazione acquisitiva, occupazione appropriativa, accessione invertita"; questi i termini utilizzati, comunemente, dagli operatori del diritto per indicare l’istituto, di creazione pretoria, attraverso il quale la proprietà di un’area privata viene acquisita, in capo alla Pubblica Amministrazione, mercé la realizzazione di un’opera dichiarata di pubblica utilità, in ordine alla quale non sia intervenuto un formale provvedimento di esproprio.

Con la sentenza, cui sono dedicate le presenti brevi note, la Corte Costituzionale ha chiarito che l’istituto prefato nulla ha a che spartire con la fattispecie, disciplinata dall’articolo 938 del Codice Civile, etichettata, nel linguaggio giuridico corrente, come "accessione invertita".

Da qui, l’invito che, chi scrive, ha voluto sintetizzare nel titolo, a non utilizzare più il termine, da ultimo menzionato, per indicare quella che, da ora in poi, sarà opportuno chiamare "occupazione acquisitiva" ovvero "occupazione appropriativa".

Ma veniamo all’esame della pronuncia che si commenta.

La Consulta era stata chiamata, dal Tribunale di Mistretta, a giudicare sulla legittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

Il Tribunale siciliano, più precisamente, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 938 cod. civ. e 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella parte in cui, nel disciplinare gli effetti della occupazione illegittima da parte della pubblica amministrazione, prevede in favore del soggetto privato del suolo di sua proprietà un risarcimento di entità pressoché pari al valore venale dimezzato del bene, e, perciò "manifestamente sperequato" rispetto a quello disciplinato dal predetto art. 938 cod. civ. che, nei rapporti tra privati, riconosce al proprietario sacrificato, in una situazione analoga, il diritto alla corresponsione di una somma pari al doppio del valore del suolo occupato, oltre al risarcimento del danno.

Le perplessità, manifestate dal giudice a quo, in ordine alla legittimità costituzionale della norma, più sopra indicata, vengono sintetizzate, dalla Corte Costituzionale, nel modo seguente: "il diritto vivente, al fine di giustificare l'istituto dell'accessione invertita in favore della p.a., ha rinvenuto nell'ordinamento un principio generale in base al quale regola per la composizione del conflitto tra costruttore e proprietario del fondo è l'attribuzione della proprietà sia del suolo che della costruzione al soggetto portatore dell'interesse ritenuto prevalente, secondo una valutazione di ordine economico-sociale correlata al livello di sviluppo della società civile. Il fondamento positivo del citato principio generale viene ravvisato nell'art. 938 cod. civ., che ammette l'inversione della ordinaria regola dell'accessione, che privilegia, invece, il proprietario del fondo.

Peraltro, mentre nell'ipotesi, prevista dalla predetta norma codicistica, di rapporto tra costruttore privato e proprietario del fondo, le conseguenze economiche a carico del primo sono quelle della corresponsione del doppio del valore del suolo occupato e del risarcimento del danno, ingiustificatamente discriminatoria nei confronti del proprietario del fondo occupato da un soggetto pubblico costruttore di un'opera di pubblica utilità sarebbe la previsione di cui alla norma impugnata, che pone a carico della p.a. l'obbligo di corrispondere una somma pari alla indennità di esproprio (senza l'abbattimento del quaranta per cento), maggiorata del 10 per cento, equivalente, cioè, a circa la metà del valore venale del fondo occupato (circa un quarto, rileva il Collegio, della somma dovuta dal suo omologo costruttore privato).

Né la circostanza dell'avvenuta dichiarazione di pubblica utilità dell'opera di cui si tratta costituirebbe elemento idoneo a giustificare la rilevata disparità di trattamento, in quanto, ad avviso del Tribunale rimettente, solo la ritualità del procedimento ablatorio attualizzerebbe la funzione sociale della proprietà, legittimandone il sacrificio a condizioni non necessariamente corrispondenti al controvalore del bene ablato, purché eque e tali da non rendere irrisorio il ristoro del pregiudizio subito dal proprietario".

La Consulta ha ritenuto le predette censure infondate con la seguente motivazione: "la questione è priva di fondamento, in quanto il termine di comparazione, invocato per sostenere la irragionevole discriminazione e sperequazione, non è suscettibile di essere utilizzato, trattandosi di ipotesi di accessione completamente diverse sia sotto il profilo dei soggetti che dei presupposti di applicabilità e della natura delle norme.

Infatti, l'art. 938 cod. civ. regola l'occupazione di porzione di fondo contiguo, quale modo di acquisto della proprietà, nel rapporto tra soggetti privati in posizione paritaria, caratterizzata dalla natura privata altresì dell'edificio realizzato (in parte su suolo del costruttore ed in parte sul fondo attiguo), ed insieme dalla posizione di buona fede (ignoranza di costruire sul suolo altrui) dello stesso costruttore, di fronte alla inerzia (mancanza di opposizione entro un termine a pena di decadenza) del proprietario per un periodo di tre mesi dall'inizio della costruzione. L'attribuzione della proprietà al costruttore avviene non automaticamente, per il semplice fatto della esistenza dei requisiti materiali previsti dalla legge, ma ope iudicis, sulla base di una domanda e per effetto di una decisione del giudice civile non assolutamente vincolata, ma secondo una valutazione delle circostanze dello sconfinamento e dell'opportunità del trasferimento secondo una ponderazione degli interessi (ambedue privati) in gioco.

Invece, elemento essenziale, nella ipotesi contemplata dalla norma denunciata, è la occupazione di suoli per causa di pubblica utilità, rimanendo irrilevanti sia la circostanza dell'avvenuto sconfinamento in buona fede nel fondo altrui, sia l'esistenza di una contigua proprietà preesistente del costruttore. Si tratta, quindi, di attività della pubblica amministrazione (o di un suo concessionario) destinata alla realizzazione dell'opera pubblica, che, con la irreversibile trasformazione del suolo occupato, determina l'acquisto della proprietà da parte della stessa amministrazione, senza necessità di intervento del giudice civile".

Trattasi di affermazioni che confermano, ancora una volta, la peculiarità dell’istituto della "occupazione acquisitiva" che, proprio per la sua natura pubblicistica, risulta sottratto alle regole ordinarie disciplinanti la commisurazione del risarcimento del danno spettante al soggetto che si sia visto privato della proprietà dell’area.

Una peculiarità che non consente di potere applicare alla fattispecie de qua una norma, come quella invocata, dal giudice rimettente, come termine di comparazione (art. 938 cod. civ.) la quale "risulta palesemente disomogenea rispetto a quella denunciata, trattandosi di previsioni del tutto diversificate - come sopra sottolineato - per di più con finalità profondamente distinte ed autonome, che nell'art. 938 cod. civ. si riconducono alla tutela in via permanente, attraverso una valutazione e una sentenza del giudice civile, del generale interesse allo sviluppo e mantenimento delle costruzioni di privati, nonché alla protezione della buona fede del costruttore privato di fronte al comportamento inerte del proprietario del fondo, comunque garantito sul piano economico. Invece, lo scopo della norma denunciata è quello di assicurare sempre, nella scelta del legislatore, in presenza di determinati presupposti, una prevalente tutela del pubblico interesse alla conservazione dell'opera pubblica realizzata".

Le argomentazioni, utilizzate dalla Corte Costituzionale al fine di pervenire alla pronuncia di infondatezza della questione di legittimità appaiono, a sommesso avviso di chi scrive, pienamente condivisibili.

L’istituto della "occupazione appropriativa" gode di un proprio regime, seppure provvisorio, proprio in virtù del fatto che esso trova applicazione nelle ipotesi in cui viene in rilievo un’opera dichiarata di pubblica utilità.

A tale proposito, merita una particolare sottolineazione il punto della sentenza in cui i giudici costituzionali affermano che nell’ipotesi in argomento "non si ha una mera apprensione senza titolo da parte di un soggetto privato di un bene parimenti privato, ma una occupazione, ancorché illegittima, della pubblica amministrazione, sostenuta da valida dichiarazione di pubblica utilità, di modo che in mancanza di tale dichiarazione (cui viene equiparata la dichiarazione annullata) si è al di fuori dell'ambito della norma denunciata, secondo un indirizzo giurisprudenziale di legittimità".

Trattasi di un’affermazione importante, in quanto conferma l’opinione espressa, da chi scrive, in un precedente contributo sull’argomento, apparso sulla rivista on line "Giustizia Amministrativa", secondo la quale ogni valutazione sull’istituto, di creazione pretoria, della "occupazione appropriativa" non può prescindere da un presupposto fondamentale ovvero che il meccanismo di acquisizione della proprietà dell’area in capo al privato può operare soltanto se l’opera realizzata è stata previamente dichiarata di pubblica utilità; è proprio la natura pubblica dell’opera, riconosciuta alla stessa con un provvedimento formale, che consente alla Pubblica Amministrazione di acquistare la proprietà dell’area di sedime; ed è la stessa natura pubblica dell’opera che giustifica una limitazione dell’ammontare del risarcimento del danno spettante al soggetto "ablato".

A conclusione di queste brevi note, è possibile affermare che l’istituto della "occupazione acquisitiva", passate indenne o quasi, le numerose questioni di legittimità costituzionale, sollevate in ordine allo stesso, può tornare a "veleggiare" (per usare un termine in voga in queste settimane) nel mare dell’ordinamento giuridico, in attesa di conoscere in quale porto (giudice amministrativo o giudice ordinario) potrà trovare riparo.


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