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n. 10/2009 - © copyright

FRANCESCO ALBO
(Magistrato della Corte dei Conti)

L’applicazione dell’art. 3 commi 27 e seguenti della legge n. 244 del 2007 negli enti locali [*].

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1. Premessa

Con l’art. 3 commi 27/32 ter della legge n. 244 del 2007, il legislatore ha inteso – sia pur a più riprese [1] – offrire una regolamentazione delle partecipazioni societarie delle pubbliche amministrazioni, mirata ad arginarne la proliferazione indiscriminata, e a ricondurne l’utilizzo nell’alveo delle reali necessità istituzionali degli enti.

Il sempre più frequente abuso di formule privatistiche, infatti, che aveva dato luogo nel tempo alla presenza della mano pubblica in ambiti assolutamente estranei dal raggio d’azione istituzionale dei vari enti, ha posto da tempo [2] seri interrogativi in ordine all’esistenza o meno di limiti alla generale capacità di diritto privato degli enti pubblici, con riferimento all’utilizzo dei moduli societari.

Con i commi 27 e ss., il legislatore ha voluto introdurre una stretta correlazione fra le finalità proprie dell’ente pubblico e l’utilizzo dello strumento societario, al fine di evitare che il ricorso indiscriminato a tali strumenti privatistici si rivelasse elusivo del rischio d’impresa e delle discipline pubblicistiche in materia contrattuale, nonché lesivo della concorrenza.

Non secondarie, inoltre, le finalità di riduzione dei costi di funzionamento di tali organismi, gravanti sulla finanza pubblica, nel più generale contesto delle politiche mirate alla riduzione della spesa pubblica.

La presente trattazione si propone di analizzare brevemente, e senza alcuna pretesa di esaustività, gli aspetti di maggior interesse per gli enti locali, anche al fine di chiarire meglio alcune possibili problematiche applicative.

2. I rapporti con l’art. 13 del D.L. 4.7.2006 n. 223 (cd. “D.L. Bersani”)

Le norme dell’art. 3 commi 27 e ss. trovano il loro antecedente storico nell’art. 13 del D.L. 4.7.2006 n. 223 (cd. ”decreto Bersani”), conv. in L. n. 248/2006, che ha stabilito che le società a capitale interamente pubblico o misto costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza, hanno l’obbligo di operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti. Tali società, che sono ad oggetto sociale esclusivo, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale [3].

Sul concetto di strumentalità, la giurisprudenza amministrativa [4] ha avuto modo di precisare che possono definirsi strumentali all’attività delle amministrazioni pubbliche regionali e locali , con esclusione dei servizi pubblici locali,  tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l’ente di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali. Le società strumentali sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali (per le quali il Decreto fa esplicita eccezione) che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività.

Con la norma contenuta nel decreto Bersani, il legislatore ha voluto porre un freno al sempre più frequente abuso degli affidamenti in house nei confronti di società che, allontanandosi da tale modello organizzativo, finiscono per minare la libera concorrenzialità del mercato; [5], usufruendo della particolare posizione di vantaggio di cui godono, derivante sia  dalle asimmetrie informative di cui beneficiano, sia dal capitale pubblico.

In assenza di idonea regolamentazione, tali vantaggi rischiano di alterare la par condicio con gli altri operatori agenti nello stesso mercato, e di eludere sostanzialmente il rischio d’impresa [6].

La tutela della concorrenza e del mercato costituisce, dunque, un importante punto di analogia con l’art. 3 commi 27 e ss., che  pone le due norme in rapporto di continuità temporale.

A questo proposito, la Corte costituzionale [7] ha sostenuto che anche le disposizioni contenute nell’art. 3 commi 27 e ss. mirano, da un canto, a rafforzare la distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica (posta in essere da società che operano per una pubblica amministrazione) ed attività di impresa di enti pubblici, dall’altro, ad evitare che quest’ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in quanto pubblica amministrazione.

Tali privilegi, infatti, possono dar luogo ad una commistione ritenuta dal legislatore pregiudizievole della concorrenza [8] nella misura in cui le pubbliche amministrazioni, abusando della posizione di vantaggio di cui godono, svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò sia imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse generale [9].

Entrambe le norme, inoltre, mirano ad evitare, più in generale, che l’abuso di moduli privatistici sottragga una buona parte dell’agire amministrativo al controllo [10] da parte degli enti pubblici, nonchè ai canoni della trasparenza e delle regole giuscontabili [11].

Chiaramente, oltre alle analogie appena evidenziate, l’art. 13 del D.L. Bersani e l’art. 3 commi 27 ss. presentano ambiti di applicazione diversi, da un punto di vista soggettivo ed oggettivo.

In estrema sintesi, con riferimento al primo aspetto può dirsi che l’art. 3 comma 27 si rivolge ad una platea più ampia di soggetti destinatari, che va oltre il ristretto ambito degli enti locali [12], estendendosi a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 [13].

Da un punto di vista contenutistico, le norme, pur nell’analogia di intenti, operano in modo sostanzialmente diverso: l’art. 13  fissando essenzialmente limitazioni dal punto di vista territoriale, ossia vietando sostanzialmente l’attività extra moenia da parte di società pubbliche che producono  beni e servizi strumentali all’attività degli enti (con esclusione dei pubblici servizi), l’art. 3 commi 27 e ss., invece, imponendo una verifica delle partecipazioni pubbliche in ordine all’imprescindibilità dell’attività societaria per il perseguimento delle finalità istituzionali degli enti, o per l’erogazione di servizi di interesse generale o di servizi di committenza.

Da un rapporto di pura e semplice “strumentalità” si passa, dunque, ad un rapporto di “stretta necessità” per il perseguimento della mission istituzionale dell’ente [14].

3. La ricognizione delle partecipazioni dell’ente. In particolare, la produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali

L’art. 3 comma 27 prevede che ogni singolo ente locale debba effettuare una ricognizione di tutte le proprie partecipazioni societarie, direttamente detenute, o che intenda detenere attraverso la costituzione di una nuova società, valutando, caso per caso, sulla base dell’oggetto sociale, se la propria partecipazione sia vietata ex lege - nell’ipotesi di attività di produzione di beni e di servizi “non inerenti” [15], ossia non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali-, o se invece sia legislativamente consentita - nel caso di produzione di servizi di interesse generale, o di servizi di committenza o di centrali di committenza-.

Con riferimento al primo aspetto, per comprendere appieno la portata della norma, bisogna innanzitutto chiarire quali siano le finalità istituzionali dell’ente, attraverso una disamina delle funzioni fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce a ciascun ente locale, nel proprio ambito di competenza.

A questo proposito, bisogna considerare che nel nuovo assetto istituzionale delineato a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, il nuovo art.118 Cost. ha stabilito che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che il legislatore intervenga, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, per conferirle ad altro livello di governo (Provincia, Città metropolitana, Regione o Stato),  al fine di assicurarne l’esercizio unitario.

Benché tale riforma sia rimasta ad oggi pressoché inattuata, a causa anche del mancato esercizio della delega prevista dall’art. 2 della legge 5.6.2003 n. 131,  possono rinvenirsi utili indizi proprio nella legge La Loggia, ove si considerano funzioni fondamentali quelle essenziali sia per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane, sia per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento [16].

In attesa dell’emanazione della Carta delle autonomie locali [17], o comunque delle normative statali e regionali che delineino in maniera chiara l’allocazione delle varie funzioni tra i vari livelli di governo, utili indicazioni possono provenire già dal D.Lgs. n. 267/00, sebbene anteriore alla riforma costituzionale, che (art. 13) attribuisce genericamente al Comune, nel suo ruolo di interprete primario dei bisogni della collettività locale [18], di cui rappresenta gli interessi e promuove lo sviluppo, tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio, con particolare riferimento ai settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale. Alle Province, invece, il TUEL assegna una serie di funzioni amministrative di interesse sovracomunale [19], elencate all’19.

Ruolo estremamente importante è inoltre riconosciuto allo statuto, che caratterizza l’autonomia degli enti locali, tutelata dall’art. 114 c. 2 della Costituzione, e che, nel rispetto del quadro ordinamentale vigente, delinea i contorni dell’attività istituzionale dell’ente, ed  indica le finalità dell’azione amministrativa, oltre che i fini istituzionali “tipici” che si sottintendono.

Questi ultimi sono specificati ed attuati in ciascuna amministrazione anche dalle linee programmatiche di mandato, che segnano, sin dall’insediamento dell’amministrazione, le direttrici entro cui tale attività dovrà svilupparsi, e che orientano, anche tramite il piano generale di sviluppo, le linee strategiche della programmazione di bilancio nel corso del mandato.

Utili indizi per delineare l’attività istituzionale degli enti, infine, possono provenire dalla stessa struttura del bilancio dell’ente [20], e precisamente dalle funzioni, - che individuano in modo  articolato le spese in relazione alla tipologia delle attività espletate e cioè all’oggettivo esercizio di operazioni da parte delle articolazioni organizzative dell’ente -,  e dai servizi, - che individuano le attività che fanno capo alle varie compagini organizzative dell’ente -.

Una volta individuato con chiarezza da parte di ciascun ente l’esatto perimetro della propria attività istituzionale, e, conseguentemente, le finalità cui questa tende, sarà possibile verificare se le partecipazioni ricadano o meno nel divieto di cui al comma 27, che riguarda non solo la costituzione di nuove società, ma anche l’assunzione o il mantenimento di partecipazioni dirette, anche di minoranza.

A quest’ultimo proposito, va detto che la modifica recentemente introdotta dall’art. 18 comma 4-octies del D.L. 29 novembre 2008 n. 185 (convertito in L. n. 2/2009), che ha espunto dal testo originario il riferimento anche alle partecipazioni indirette, sembra indicativa della volontà del legislatore di circoscrivere il vincolo di inerenza agli scopi istituzionali nei confronti delle sole società partecipate cd. “di primo livello”, e non più, per esempio, nei confronti delle holding.

In realtà, tale novella legislativa rischia di sminuire l’efficacia della norma contenuta nel comma 27, in quanto postula un’autonomia decisionale della società partecipata che rischia di depotenziare, di fatto, i poteri di controllo dell’ente su scelte strategiche molto importanti da parte delle proprie società, quali quelle di dar luogo a partecipazioni di secondo livello [21].

3 b. I servizi di interesse generale e i servizi di committenza

Oltre alle partecipazioni vietate, il comma 27 individua una serie di tipologie - quelle relative a produzione di servizi di interesse generale, e a servizi di committenza o a centrali di committenza - espressamente consentite ex lege .

Con riferimento alla prima tipologia di servizi, l’espressione “servizi di interesse generale” [22], secondo una prima opzione interpretativa [23] , sarebbe da ricondursi al concetto di “servizi di interesse economico generale”, usato nella prassi comunitaria con riferimento a quei servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati membri o la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico.

Secondo questa accezione, l’espressione “servizi di interesse generale”, più ampia di quella relativa ai servizi di interesse economico generale, includerebbe sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico.

Rientrerebbero, pertanto, in tale categoria  i servizi offerti  dalle grandi industrie di rete quali energia, servizi postali, trasporti e telecomunicazioni, nonché la sanità, l'istruzione e i servizi sociali, nonché qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico.

A conclusioni simili giunge altro orientamento interpretativo [24], secondo cui con tale espressione il legislatore ha voluto far riferimento alla generale categoria dei servizi pubblici. Ciò sarebbe confermato innanzitutto dal fatto che la norma richiede un parametro di adeguatezza coincidente con il livello di competenza dell’ente che intende assumere la partecipazione (con conseguente collegamento tra territorio dell’ente e ambito di erogazione dei servizi).

Ad ulteriore conferma di tale assunto starebbe anche la formulazione dell’art. 23 bis comma 1 del D.L. n. 112/2008, ove si fa riferimento ai servizi di interesse generale in ambito locale nel più generale contesto della disciplina dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica [25] e [26].

Oltre alla categoria dei servizi di interesse generale, la novella introdotta dall'art. 18 comma 4-octies del D.L. 29 novembre 2008 n. 185 ha consentito agli enti locali la possibilità di costituire o mantenere partecipazioni in società che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale, a supporto di enti senza scopo di lucro e delle amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3 comma 25 del codice dei contratti [27].

La norma, in buona sostanza, fa riferimento ad un modello introdotto per la prima volta in Italia dieci anni fa, ad opera dell’art. 26 della legge n. 488/99, ed il cui esempio più importante, con riferimento ai sistemi di acquisto centralizzato di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche, è oggi costituito da CONSIP s.p.a.

Tale modello, che consente grazie ad un alto volume degli acquisti un aumento della concorrenza e dell'efficacia della commessa pubblica, è stato riconosciuto a livello comunitario dalla direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, che definisce la centrale di committenza come un'amministrazione aggiudicatrice che acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici.

Pressoché identica è la definizione fornita dal codice dei contratti (art. 3 comma 34),  approvato con D.Lgs. n. 163/2006.

Il legislatore, evidentemente in un’ottica di favor nei confronti di queste forme di accentramento delle procedure di gara, nonché di razionalizzazione della spesa pubblica, con il medesimo D. L. 185/2008 ha provveduto (art. 18 comma septies ) ad escludere le medesime società dal campo di applicazione dell’art. 13 del decreto Bersani.

4. L’ attività istruttoria da parte dell’ente

Poiché il ricorso allo strumento societario è consentito solo per attività strettamente necessarie alle finalità istituzionali degli enti e per servizi d’interesse generale o per servizi di committenza, la costituzione di società o il mantenimento di partecipazioni azionarie da parte degli enti locali, a prescindere dalla qualificazione privatistica di tali soggetti, richiede come presupposto la “funzionalizzazione” [28] dell’attività di carattere imprenditoriale alla cura di interessi generali, giuridicamente organizzati in funzioni o servizi pubblici [29], attribuiti ad una pubblica amministrazione.

Ne discende che la possibilità di costituire o mantenere una partecipazione societaria deve essere verificata in ragione delle finalità che l’ente intenda con essa realizzare, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, nonché della particolare natura del servizio da erogare.

In questo contesto, la scelta delle caratteristiche dell’intervento pubblico nell’economia locale non può che spettare all’organo consiliare, nella sua qualità di supremo organo di indirizzo e controllo politico amministrativo, cui competono  anche (art. 42 comma 2 lett. e del D.lgs. n. 267/00) le decisioni relative alla partecipazione dell’ente a società di capitali e all’organizzazione dei pubblici servizi [30].

Tale organo è chiamato a svolgere, con riferimento a ciascuna partecipazione,  un’attività ricognitiva mirante a verificare caso per caso, attraverso un raffronto  tra l’attività che costituisce l’oggetto sociale e le attività riconosciute di competenza dell’ente, la sussistenza o meno delle condizioni di compatibilità e di inerenza rispetto alle finalità istituzionali, attenendosi ad una valutazione di stretta necessità, ovvero la sussistenza di servizi espressamente consentiti dalla legge.

L’esito di tale ricognizione dovrà essere sorretto da una puntuale ed esaustiva motivazione della delibera, secondo il noto principio previsto dall’art. 3 della L. n. 241/90, ribadito dall’art. 3 comma 28 in esame.

L’impianto motivazionale, oltre ai presupposti legislativi e alla sussistenza dell’interesse pubblico nell’utilizzo di forme privatistiche, dovrà evidenziare tutte quelle esigenze di ordine tecnico (ad esempio, con riferimento alle caratteristiche strutturali dei servizi erogati o da erogare), o economico che depongano in favore dell’opzione societaria [31] rispetto a moduli gestionali alternativi.

La sussistenza dei presupposti di legittimità della singola partecipazione, infatti, assume in questo contesto una valenza prodromica rispetto ad una più complessa analisi da parte dell’ente, mirata anche a valutare attentamente in termini di costi e benefici l’affidamento del servizio alla società, e ad evidenziare le ragioni di ordine tecnico e di convenienza economica che depongano per la scelta di tale modulo gestionale.

La complessità e l’importanza di tali valutazioni inducono a ritenere necessaria un’attività ricognitiva e valutativa circoscritta alla singola partecipazione, attraverso una delibera ad hoc [32].

L’esame caso per caso, infatti, soprattutto in presenza di una molteplicità di partecipazioni, è da ritenersi  sicuramente preferibile rispetto ad una valutazione cumulativa ed onnicomprensiva [33], che, anche se apparentemente più semplice, rischierebbe di sfociare in deliberazioni standardizzate, che non tengono adeguatamente conto delle singole peculiarità.

L’esito positivo di tali valutazioni indurrà il consiglio comunale ad autorizzare l’assunzione di nuove partecipazioni o il mantenimento delle attuali, mentre l’eventuale accertamento di condizioni ostative ai sensi del comma 27 darà luogo all’alienazione delle partecipazioni non consentite, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.

Nella prassi sino ad ora registrata, è stata, ad esempio, ritenuta coerente con il precetto dell’art. 3 comma 27 l’attività di gestione delle farmacie comunali [34], in quanto costituisce esercizio di un pubblico servizio, ed in particolare di un’attività rivolta a fini sociali secondo il disposto dell’art. 112 del TUEL.

Giudizio di segno opposto, invece, è stato espresso con riferimento alla partecipazione ad  una società multiservizi avente ad oggetto sociale attività variegate di tipo prevalentemente industriale e commerciale [35] (che andavano dalla progettazione, costruzione e gestione di scali ferroviari, all’effettuazione di consulenze, alla commercializzazione e la vendita di pezzi di ricambio per mezzi di trasporto, all’esecuzione d’interventi di pulizia ordinaria e straordinaria di fabbricati e di mezzi di trasporto ad uso civile, alla somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, ivi compresa la distribuzione di generi alimentari preparati e pronti al consumo), anche in ragione del fatto che nella fattispecie difettava il requisito della stretta connessione fra l’attività societaria e il perseguimento degli interessi della comunità amministrata.

5. La trasmissione della delibera alla Corte dei conti

A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 19 comma 2 lett. a) del D.L. 1° luglio 2009 n. 78, la delibera consiliare di autorizzazione all’assunzione di nuove partecipazioni o al mantenimento delle attuali, deve essere trasmessa dall’ente alla sezione competente della Corte dei conti, ossia, per gli enti locali, alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti territorialmente competente.

La formulazione della norma appare alquanto sibillina, in quanto non specifica in alcun modo le finalità cui tende tale adempimento.

A questo proposito, va evidenziato che la previsione di un obbligo di trasmissione alla Corte dei conti, al di là dei consueti connotati di deterrenza, non può essere fine a sé stessa, ma deve essere propedeutica all’esercizio di competenze, da parte di quest’ultima,  che sono desumibili dal quadro normativo che ne regola l’attività, nonché dai principi generali [36].

In attesa di un chiarimento da parte del legislatore, o della stessa magistratura contabile [37], dovrebbero privilegiarsi, probabilmente, quelle soluzioni interpretative che meglio garantiscano modelli uniformi di controllo, applicabili all’intera platea degli enti destinatari della norma.

In questo senso, la scelta potrebbe cadere sui controlli sulla gestione, ossia su una tipologia di controllo, disciplinata principalmente dall’art. 3 commi 4/6 della L. n. 20/94, che è applicabile a tutte le  amministrazioni pubbliche, e che si attiva previa programmazione della Corte dei conti in tal senso [38].

Essa si concreta in un controllo di tipo successivo (pur potendo avvenire “in corso di esercizio”), che accerta la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa a quanto stabilito dalla legge, e che ha ad oggetto la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione, e mira ad accertare, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa.

Si tratta, come ha ricordato la Corte costituzionale [39], di un controllo non di stretta legalità, e strumentale a processi di autocorrezione che mirano all’adozione da parte del soggetto controllato delle misure necessarie a ovviare alle disfunzioni segnalate.

In questo ambito, ma con specifico riferimento agli enti locali, si  collocano i controlli di cui all’art. 7 comma 7 della L. n. 131/2003, posti in essere dalle Sezioni regionali di controllo per verificare, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni. Gli esiti di tali verifiche sono relazionati esclusivamente ai consigli degli enti controllati.

Secondo un’altra possibile chiave di lettura, la trasmissione delle delibere da parte degli enti locali potrebbe essere propedeutica a controlli di tipo collaborativo sulla sana gestione finanziaria degli enti locali, secondo il modello e l’iter procedurale stabilito  dall’art. 1 commi 166 e ss. della L. n. 266/2005 con riferimento ai controlli finanziari, analogamente a quanto avvenuto con riferimento ai controlli sulle disposizioni regolamentari in materia di incarichi esterni (art. 3 comma 57 della L. n. 244/2007) [40].

Ed invero, un’eventuale applicazione analogica dei principi di cui all’art. 1 commi 166 e ss. anche all’ipotesi in questione potrebbe giustificarsi per la maggiore tempestività di tali controlli, che sono, peraltro, attivabili anche in assenza delle relazioni dell’organo di revisione [41].

In un’ipotesi del genere, le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ove riscontrassero decisioni su asset societari non coerenti con i canoni previsti dal comma 27, dovrebbero adottare una specifica pronuncia, consistente sostanzialmente in una richiesta di riesame delle delibere alla luce delle irregolarità riscontrate, nonché vigilare, successivamente, sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive [42] e [43].

Questa ricostruzione rinviene però un limite nel fatto che tale modello di controllo, pur riconducibile al controllo sulla gestione [44], è stato configurato normativamente con esclusivo riferimento alla realtà degli enti locali e del servizio sanitario nazionale, e non anche delle altre amministrazioni – centrali e periferiche - destinatarie della norma.

6. La dismissione delle partecipazioni non consentite

La cessione a terzi, tramite procedure ad evidenza pubblica, delle società e delle partecipazioni che all’esito della ricognizione risulteranno vietate ai sensi del comma 27, dovrà avvenire entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2008, ossia entro l’1.1.2011. 

Tale termine, a seguito di continue modifiche [45], risulta oggi raddoppiato rispetto a quello  originariamente previsto dalla legge n. 244/2007, in scadenza al 30.06.2009.

  La formulazione della norma contenuta nel comma 29 non chiarisce, però,  se tale termine si riferisca all’attivazione oppure al perfezionamento della procedura di dismissione degli asset vietati.

A questo proposito, non può che condividersi l’orientamento espresso dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia [46], che ritiene che il termine si riferisca all’avvio delle procedure, in quanto tale opzione tutelerebbe meglio le amministrazioni dal rischio di svendite o di speculazioni da parte dei soggetti privati nella determinazione del prezzo di acquisto della partecipazione o della società in mano pubblica.

Diversamente opinando, infatti, si creerebbe un’asimmetria tra la posizione delle pubbliche amministrazioni alienanti e quella dei terzi concorrenti alla gara, non vincolati, al contrario delle prime, ad un termine legale ed obbligatorio di alienazione, che potrebbe dar luogo a speculazioni private tese al ribasso del prezzo di acquisto.

Rafforza, inoltre, tali conclusioni il fatto che gli enti di maggiori dimensioni potrebbero trovarsi in oggettive difficoltà nell’ultimare in tempi brevi le procedure di cessione, alla luce, peraltro, dell’elevato numero di dismissioni da gestire contemporaneamente, nonché dei tempi tecnici, e dei rischi (ad es., gara deserta, insorgenza di contenzioso, ecc.) fisiologicamente connessi a questo genere di operazioni [47].

Al fine di gestire in modo ottimale tali evenienze, potrebbe essere utile in seno alla stessa delibera autorizzativa stilare un programma che scandisca i tempi e le modalità delle previste dismissioni, anche con riferimento alla gestione delle fasi e degli adempimenti a carico del soggetto partecipato, secondo i principi del diritto societario contenuti nel codice civile [48].

Nonostante  la proroga recentemente concessa per la cessione delle azioni potrebbe indurre qualche interprete ad approdare a conclusioni opposte, in attesa di un auspicabile chiarimento legislativo, si ritiene che il termine continui a far riferimento alla fase di avvio della cessione, in quanto tale soluzione, impedendo possibili speculazioni miranti alla svalutazione degli asset da alienare, tutela meglio l’interesse pubblico alla sana e corretta gestione del patrimonio e delle risorse della collettività. 

In merito alle conseguenze sanzionatorie derivanti dall’ingiustificata inerzia dell’ente, al di là di quanto previsto dal comma 32, va detto che l’avvenuta abrogazione della fattispecie di responsabilità prevista nell’ultimo inciso del comma 29 [49], lascia comunque impregiudicata l’eventuale sussistenza di ipotesi di responsabilità amministrativa “tradizionale”, in presenza dei relativi presupposti, soprattutto con riferimento al mantenimento in vita di strutture societarie non più consentite, i cui costi di funzionamento gravano sulla finanza pubblica [50].

7. Il trasferimento del personale e le competenze dell’organo di revisione contabile

Le amministrazioni che a seguito della ricognizione costituiscono società o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in società, consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di riorganizzazione, sono tenute ad adottare, sentite le organizzazioni sindacali per le ricadute  derivanti sul personale, i necessari provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate, rideterminando, conseguentemente, la propria dotazione organica.

Tale obbligo costituisce attuazione del principio generale stabilito dall’art. 31 del D.Lgs. n. 165/2001, secondo cui nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano le norme sul trasferimento di azienda di cui all'articolo 2112 del codice civile, con conseguente continuazione del rapporto di lavoro con il soggetto cessionario.

Ciò è spiegabile abbastanza semplicemente, se si pensa che il personale costituisce un importante fattore della produzione ai fini dell’erogazione di un determinato servizio, e quindi, proprio perché funzionale ad esso, ne segue le sorti in caso di esternalizzazione.

La norma, nel ribadire tale principio, mira a colpire prassi distorte, che in passato hanno visto il trattenimento in servizio presso l’ente del personale da trasferire come un  valido escamotage per eludere misure quali il turn over , o il blocco delle assunzioni.

Per rendere effettivo l’obbligo di cui al comma 30, il legislatore ha agito sul duplice versante delle dotazioni organiche e dei controlli interni.

Con riferimento al primo aspetto, gli enti locali che costituiscono società o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in società, consorzi o altri organismi, nelle more della rideterminazione definitiva delle dotazioni organiche (da effettuarsi al termine del trasferimento del personale), sono tenuti a rideterminarle anche in via provvisoria, in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell’anno precedente all’istituzione o all’assunzione di partecipazioni, diminuito delle unità di personale effettivamente trasferito.

La norma, peraltro, prevede alcuni correttivi, quali ad esempio la possibilità di escludere dalla rideterminazione provvisoria i posti per cui sono già in corso procedure di mobilità (anche interna), nonché di riqualificazione professionale, che rischiano in qualche modo di vanificare quelle finalità antielusive cui prima si è fatto riferimento.

Sul versante dei controlli interni, il legislatore ha posto l’organo di revisione contabile [51] a presidio della correttezza delle operazioni e delle procedure, nella loro sequenza temporale.

Tale organo, infatti, dovrà verificare l’adeguatezza delle risorse umane, finanziarie e strumentali da trasferire sulla base del piano di fattibilità economico- finanziario predisposto in occasione del progetto di esternalizzazione, la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione economico finanziaria dell’ente (ossia, in primis, con il bilancio di previsione annuale e pluriennale, e con la relazione previsionale e programmatica), nonché l’avvenuta rideterminazione provvisoria e definitiva della dotazione organica conformemente a quanto previsto dal comma 31.

Al termine di tali controlli, dovrà asseverare l’effettivo trasferimento delle risorse umane e finanziarie, e dovrà compilare una relazione, da inviare al Dipartimento della funzione pubblica e alla Ragioneria generale dello Stato, segnalando eventuali inadempienze alla Sezione regionale di controllo territorialmente competente.

Anche in questo caso, non risulta chiaro, al di là degli aspetti di deterrenza della norma, se tale segnalazione  sia propedeutica all’attivazione di controlli sulla gestione - che mirano anche a verificare il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione -, o di controlli collaborativi, adottati sulla falsariga dei controlli finanziari di cui all’art. 1 comma 166 e ss. della L. n. 266/2005, vista anche la comune attivabilità su iniziativa dell’organo di revisione.

In attesa, anche qui, di un chiarimento da parte del legislatore, o della Corte dei conti [52] , si rinvia alle considerazioni sopra espresse [53].

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[*]  Legge 24-12-2007 n. 244

Art. 3

27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 , del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 , non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 , del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza.

27-bis. Per le amministrazioni dello Stato restano ferme le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze già previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. In caso di costituzione di società che producono servizi di interesse generale e di assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze, che esercita i diritti dell’azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia.

28. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27. La delibera di cui al presente comma è trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti.

28-bis. Per le amministrazioni dello Stato, l’autorizzazione di cui al comma 28 è data con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. Per le società partecipate dallo Stato, restano ferme le disposizioni di legge in materia di alienazione di partecipazioni.

30. Le amministrazioni che, nel rispetto del comma 27, costituiscono società o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in società, consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di riorganizzazione, trasformazione o decentramento, adottano, sentite le organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale, provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i soggetti di cui al presente comma e provvedono alla corrispondente rideterminazione della propria dotazione organica.

31. Fino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 30, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell’anno precedente all’istituzione o all’assunzione di partecipazioni di cui al comma 30, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale, diminuito delle unità di personale effettivamente trasferito.

32. I collegi dei revisori e gli organi di controllo interno delle amministrazioni e dei soggetti interessati dai processi di cui ai commi 30 e 31 asseverano il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettono una relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei conti.

32-bisomissis

32-ter. Le disposizioni dei commi da 27 a 31 non si applicano per le partecipazioni in società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati.

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[1] Le norme in commento hanno subito notevoli riformulazioni, ad  opera dell'art. 18 comma 4-octies del D.L. 29 novembre 2008 n. 185 , conv. in L. n. 2/2009, nonchè  dall’art. 71 della L. 18 giugno 2009 n. 69 , e, da ultimo, dall'art. 19 comma 2 del D.L. 1° luglio 2009 n. 78 , conv. in L. n. 102/2009.

[2] Cfr., per tutti, AA.VV. (Bassi, Massari, Capacci, Moretti), Le società a partecipazione pubblica locale, 2006, pag. 78 e ss. e Atelli M., Esternalizzazioni: no alle società a capitale pubblico “non inerenti”, in Diritto e pratica amministrativa 1/2008, pag. 95 e ss. 

[3] Cfr. Manassero L. Commento alla versione definitiva dell’art 13 del c.d. decreto Bersani, come convertito dalla l. 4 agosto 2006 n. 248, con particolare riferimento agli effetti sull’attività delle società pubbliche locali; Guzzo G. Le società costituite e partecipate dagli enti locali tra incertezze giurisprudenziali e codificazione legislativa; Urso M.G. La natura giuridica delle società partecipate dagli enti pubblici e la disciplina applicabile, tutte reperibili su questa rivista.

[4] Cfr. TAR Lazio - Roma Sez. II - sentenza 5 giugno 2007, n. 5192, su questa rivista e, in termini, TAR Veneto Sez. I, 788/2008 su www.giustizia-amministrativa.it. Cfr. anche, in argomento, TAR Lazio - Roma, Sez. I ter - sentenza 20 febbraio 2007 n. 1486 e TAR Lombardia - Milano, Sez. I - sentenza 31 gennaio 2007 n. 140, entrambe su questa rivista.

[5] Cfr. anche Corte Costituzionale, sentenza 1 agosto 2008 n. 326, su questa rivista,  secondo cui l’art. 13 del D.l. Bersani  mira a evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa,  soggetta alle regole del mercato, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione. Infatti, prosegue la Corte costituzionale, non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza.

[6] Cfr. parere Consiglio di Stato, Sezione III, 25/9/2007 n. 322, su www.giustizia-amministrativa.it, e  deliberazione Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, 9/5/2007, n. 135 in www.autoritacontrattipubblici.it .

[7] Cfr. Corte costituzionale, sentenza 8 maggio 2009 n. 148, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/91/ccost_2009-05-08-4.htm.

[8] Cfr. anche Corte cost., sentenza 1 agosto  2008 n. 326, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/82/ccost_2008-08-01-2.htm.

[9]  Come ricordato anche dai lavori preparatori alla L. n. 244/2007, l’abuso dei moduli privatistici rischia, inoltre, di sottrarre l’agire amministrativo ai canoni della trasparenza e del controllo da parte degli enti pubblici e della stessa opinione pubblica.

[10]   Negli ultimi anni, è stata posta sempre maggiore attenzione al problema dei controlli nei confronti delle partecipate. Importanti segnali in questo senso, da ultimo, provengono dallo schema di disegno di legge recante disposizioni in materia di organi e funzioni degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell’ordinamento e Carta delle autonomie, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 15 luglio 2009, ove si prevede un articolato sistema di governante. Esso prevede la preliminare definizione di obiettivi da parte degli enti, anche in termini di standard qualitativi e quantitativi del servizio, nonché un sistema di monitoraggio dell’andamento della gestione societaria sia rispetto agli obiettivi, sia in ordine alla situazione  gestionale e  finanziaria, nonché un sistema di rilevazione dei risultati complessivi della gestione dell’ente locale e degli organismi partecipati attraverso il bilancio consolidato in termini di competenza economica. Per quest’ultimo aspetto, oltre all’art. 230 c. 6 del TUEL, che dà facoltà agli enti locali di dotarsi di un conto consolidato patrimoniale per tutte le attività e passività interne ed esterne, vedasi anche la bozza del principio contabile n. 4 dell’Osservatorio per la finanza e contabilità degli enti locali. Cfr., sul punto, Principato P., intervento al convegno internazionale “I controlli amministrativi: bilancio di una riforma”, Assisi, 28-29 maggio 2009, in corso di pubblicazione, e  Castellani M., Partecipazioni, dismissioni subito,  in Italia Oggi, 10 luglio 2009.

[11] Sotto questi ultimi due profili, si segnalano alcuni recenti interventi normativi, tra cui, in particolare, l’art. 18 del D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008 e s. m. i., che da un lato (commi 1 e 2) ha esteso alle società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica l’obbligo di adeguare le proprie procedure di reclutamento del personale e per il conferimento di incarichi ai criteri di cui all’art. 35 comma 3 del TU sul pubblico impiego (per tutte le altre è stato imposto di attenersi a principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità), e, dall’altro (comma 2 bis), ha esteso ad alcune tipologie di società e norme sul patto di stabilità interno, secondo modalità attuative previste in un apposito decreto ministeriale, nonchè i divieti o le limitazioni alle assunzioni di personale poste all’amministrazione controllante, e gli obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze.

[12] Cfr. parere Consiglio di Stato, Sezione III, 25/9/2007 n. 322, cit., secondo cui nell’art. 13 del DL Bersani il riferimento normativo alle “amministrazione pubbliche locali” si riferisce a tutte le amministrazioni pubbliche che perseguono il soddisfacimento di interessi pubblici entro un dato ambito territoriale.

[13] Tale ambito include tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[14] Cfr. Atelli M., cit., pag. 97.

[15] Cfr. Atelli M., cit., pag. 95.

[16] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 23/2008/PAR, in www.corteconti.it , secondo cui il ruolo centrale dell’amministrazione locale quale interprete primario dei bisogni della collettività locale, riconosciuto anche a livello costituzionale, non può essere messo in discussione dalla mancanza di un organico quadro legislativo che individui le funzioni comunali perché, semmai, il legislatore può solo specificare quali siano gli ambiti che non rientrano nella competenza comunale. Spetta, quindi, al singolo ente valutare quali siano le necessità della comunità locale e, nell’ambito delle compatibilità finanziarie e gestionali, avviare le “politiche” necessarie per soddisfarle. 

[17] Lo schema di disegno di legge recente disposizioni in materia di organi e funzioni degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell’ordinamento e Carta delle autonomie, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 15 luglio 2009, individua agli artt. 2, 3 e 4 le funzioni fondamentali  (obbligatorie) di comuni, province e città metropolitane, disciplinate dalla legge statale o regionale secondo l’art. 117 c. 2 lett. p) della Costituzione. Con successivi decreti legislativi, inoltre, è previsto che siano trasferite agli enti locali le ulteriori funzioni amministrative (ad es., quelle relative alle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato), da allocare secondo principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, nei termini previsti dagli artt. 8 e ss. del d.d.l. .

[18] Cfr. Sezione regionale di controllo per il Piemonte, delibera 33/2008/PAR e Sezione regionale di controllo per la Basilicata, delibera 30/2008/PAR, entrambe su www.corteconti.it.

[19] I settori interessati dalla norma sono i seguenti: difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità, tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, valorizzazione dei beni culturali, viabilità e trasporti, protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali, caccia e pesca nelle acque interne, organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore, servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale, compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale, raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

[20] Cfr. Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibera 5/2009/PAR, cit.

[21] Cfr. Principato P. , cit.

[22] Sulla nozione di servizio di interesse generale, cfr. Vivian G. Riparte la ricognizione delle società partecipate, in Italia Oggi 11 settembre 2009.

[23] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 195/2009/PAR,  e Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibera 5/2009/PAR, cit., in www.corteconti.it.

[24] Cfr. Principato P., cit.

[25] Cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, n. 3767 del 10/2/2009, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui la distinzione, accolta dal “decreto Bersani”, tra società strumentali da un lato, e società per la gestione di servizi pubblici locali dall’altro,  è stata confermata nell’art. 3 comma 27 della legge n. 244/ 2007, ove si fa riferimento, rispettivamente, alle attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e ai servizi di interesse generale.

[26] Con riferimento alle amministrazioni dello Stato, è previsto che in caso di costituzione di società che producono servizi di interesse generale e di assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni siano attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze, che esercita i diritti dell’azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia.

[27] Rientrano in tale nozione le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.

[28] Cfr. Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibera 5/2009/PAR, cit.

[29] Con specifico riferimento a questi ultimi, la  Sezione regionale di controllo per la Calabria, con delibera 59/2006/PAR aveva ricordato che la ratio delle disposizioni in materia di s.p.a. pubbliche, maggioritarie e minoritarie, interamente contenuta nel Titolo V del T.U.E.L., è unicamente quella di migliorare, attraverso l’utilizzo di moduli privatistici e, segnatamente, dello strumento delle società di capitale, la gestione dei servizi pubblici, ossia  quelle attività che mirano a soddisfare esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti ed il cui gestore sia sottoposto ad una serie di obblighi volti a garantire il rispetto, nell’erogazione del servizio, di norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica. Pertanto, secondo la Sezione, su queste basi normative deve essere escluso che gli enti locali possano procedere alla costituzione di società per azioni per finalità diverse rispetto a quelle stabilite dalla legge, ivi incluse, finalità esclusive di natura prettamente commerciale ed imprenditoriale.

[30] Per quanto concerne le amministrazioni statali,  restano ferme le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze, che acquisisce  le relative partecipazioni ed esercita i diritti dell’azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia, mentre l’autorizzazione di cui al comma 28 è data con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

[31] Cfr. Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibera 5/2009/PAR, cit.

[32] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 48/2008/PAR, cit., e Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibera 5/2009/PAR, cit.

[33] Cfr. Cerisano F., Enti, partecipazioni a raggi x, in Italia Oggi 12 giugno 2009.

[34] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Puglia, delibera 3/2008/PAR, in www.corteconti.it .

[35] Cfr.  Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 48/2008/PAR, cit.

[36] Alle medesime conclusioni la Corte dei conti era pervenuta con riferimento ad un’analoga problematica relativa all’esame dei regolamenti in materia di incarichi esterni ai sensi dell’art. 3 comma 57 della L. n. 244/2007. Cfr. Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, delibera 6/AUT/2008, in www.corteconti.it.

[37] L’applicabilità della normativa in esame anche alle amministrazioni dello Stato, oltre che a quelle locali,  lascia prefigurare che l’eventuale questione di massima sia demandata alle Sezioni riunite in sede di controllo ai sensi dell’art. 6 comma 2 del regolamento per le funzioni di controllo del 14.6.2000 e s. m. i. . 

[38] Tale controllo si svolge sulla base di programmi annualmente predisposti da ciascuna Sezione – centrale o regionale - a seguito della definizione da parte delle Sezioni riunite in sede di controllo del quadro di riferimento programmatico, anche pluriennale, comprensivo dei relativi indirizzi di coordinamento e dei criteri metodologici di massima per le indagini, ed i cui esiti, oltre che alle assemblee elettive, sono inviati altresì alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Queste ultime comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate.

[39] Cfr. Corte cost., sent. 12-27 gennaio 1995 n. 29, in www.cortecostituzionale.it.

[40] Cfr. Sezione delle Autonomie, delibera 6/AUT/2008, cit.

[41] Tali controlli, infatti, come recita l’art. 1 comma 168 della L. n. 266/05, sono attivabili dalla Corte dei conti “anche  (ma non necessariamente) sulla base delle relazioni di cui al comma 166 ”. Sia consentito, sul punto, rinviare ad Albo F. Gli incarichi  di collaborazione nella pubblica amministrazione dopo l’entrata in vigore della legge n. 133/2008, su questa rivista.

[42] Questo modello di controllo, che trova il proprio fondamento costituzionale negli artt. 100, ma anche art. 81 Cost., 97 primo comma, 28 e 119 ultimo comma della Costituzione, è stato peraltro recentemente giudicato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 179/2007) compatibile con l’autonomia degli enti locali, in quanto realizza una netta separazione tra la funzione di controllo della Corte dei conti e l’attività amministrativa degli enti medesimi, sottoposti al controllo stesso. La vigilanza sull’adozione delle misure necessarie da parte degli enti interessati non può implicare in alcun modo un’invasione delle competenze amministrative di questi ultimi, in quanto essa è indispensabile per l’effettività del controllo stesso.

[43] In quest’ottica, l’inoltro della delibera esecutiva – o eventualmente dichiarata immediatamente eseguibile ai sensi dell’art. 134 comma 4 del TUEL – alla Sezione dovrebbe avvenire entro un termine abbastanza ravvicinato dalla sua adozione, che  alla luce della comune natura collaborativa e del similare iter procedurale, potrebbe ritenersi individuato per analogia nel termine di trenta giorni dall’adozione previsto dall’art. 3 comma 57 della L. n. 244/2007 con riferimento al controllo sui regolamenti in materia di incarichi esterni.

[44] Cfr. Corte cost, sent. 7/6/2007 n. 179, in www.cortecostituzionale.it, che con riferimento al controllo di cui all’art. 1 commi 166 e ss., ha precisato che “tale controllo, che è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, ha tuttavia la caratteristica, in una prospettiva non più statica (com'era il tradizionale controllo di legalità-regolarità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normtso assume anche i caratteri propri del controllo sulla gestione in senso stretto e concorre, insieme a quest'ultimo, alla formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela dell'equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno, che la Corte dei conti può garantire”.

[45] Il termine finale, originariamente fissato al 30 giugno 2009, è stato posticipato al 31.12.2010 dall'articolo 71 comma 1 della legge n. 69 del 2009, poi anticipato al 30.9.2009 dall’art. 19 comma 2 del D.L. 1-7-2009 n. 78,  e poi nuovamente posticipato dalla legge di conversione n. 102/2009 all’1.1.2011.

[46] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 48/2008/PAR, cit., e Cerisano F., Enti, partecipazioni a raggi x, cit..

[47] Si ricorda, inoltre, che al mancato avvio, e non alla fase di conclusione delle procedure di alienazione delle partecipazioni vietate, il legislatore aveva ricondotto una particolare  ipotesi di responsabilità amministrativa, poi abrogata dalla legge n. 102/2009.

[48] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 48/2008/PAR, cit.

[49] La norma in questione, abrogata dalla L. n. 102/2009, stabiliva che “Il mancato avvio delle procedure finalizzate alla cessione determina responsabilità erariale”.

[50] Sulla tematica, cfr. Minerva M, Danno derivante da cattiva gestione delle società a partecipazione pubblica (ovvero per una società a partecipazione pubblica “sincera”), in Riv. Corte conti n. 2/2008, pag. 387 e ss., e Principato P., cit.

[51] Cfr. Castellani C., Partecipate, dismissioni subito, in Italia Oggi del 10 luglio 2009.

[52] Cfr. supra, nota 37.

[53] Cfr. supra, par. 5.


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